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ARCHITETTO LUCA BELTRAMI

DISPARERI IN MATERIA D'ARCHITETTURA E DI PROSPETTIVA NELLA QUESTIONE DEL PROLUNGAMENTO DEL LATO SETTENTRIONALE DELLA PIAZZA DEL DUOMO Le ragioni di prospettiva, grazie a Dio, sono ragioni di geometria, la quale tra tutte le altre cose del mondo è quella che meglio si presta a soluzioni chiare e precise.

CARLO CATTANEO, Sulla Piazza del Duomo di Milano nel POLITECNICO, Anno I835.

MDCCCLXXXVI

SOCIETà STORICA LOMBARDA

MILANO TIPOGRAFIA F. PAGNONI COLLEGIO degli INGEGNERI ED ARCHITETTI MILANO Milano, 29 Dicembre 1886.

Egregio Signore. Il Socio Signor Arch. Beltrami Cav. Luca ha fatto omaggio a tutti i membri del Collegio della sua memoria, testè pubblicata, sulla questione del completamento della piazza del Duomo. Nell' accompagnare a V. S. la unita copia, questa Presidenza si fa dovere di segnalare il pregevole dono. Colla massima stima Il Presidente C. BERMANI. Il Segretario T. MAGRIGLIo. DISPARERI IN MATERIA D'ARCHITETTURA E PROSPETTIVA ARCHITETTO LUCA BELTRAMI

DISPARERI IN MATERIA D'ARCHITETTURA E DI PROSPETTIVA NELLA QUESTIONE DEL PROLUNGAMENTO DEL LATO SETTENTRIONALE DELLA PIAZZA DEL DUOMO

Noi non sappiamo ciò che avverrà in seguito della nostra Piazza del Duomo : ma chi ha immaginazione e senso dell'arte rifuggirà sempre da una grandezza la quale non risulti dalla ricchezza del pensiero ma da una meccanica ripetizione di un meschino elemento; e nei suoi desiderii vagheggerà piuttosto una varia e magnifica aggregazione di edifici i quali, nel cuore della città, esprimano la piena e multiforme esistenza di una vera città.

CARLO CATTANEO, Sulla Piazza del Duomo di Milano nel POLITECNICO, Anno I839.

MDCCCLXXXVI MILANO TIPOGRAFIA F. PAGNONI La questione del prolungamento del lato settentrionale della Piazza del Duomo venne - nelle sue linee generali - risolta dal voto unanime del Consiglio Comunale nella seduta del 14 luglio u. s. Il voler riprendere tale questione coll'intento, e più ancora colla persuasione di ottenere un mutamento nelle opinioni e nelle deliberazioni già prese a tale riguardo, potrà quindi sembrare cieca ostinazione, fors'anco ingenuità. Ciò malgrado, io non esito ad intraprendere, con tale intento, la esposizione di quelle idee e di quelle conclusioni che mi mantengono in un ordine di idee diametralmente opposto a quello che venne accolto dal Consiglio Comunale, perché - qualunque possa essere l' esito della lotta di sentimenti artistici che si svolge intorno tale questione - io sento tutto il dovere di compiere con ciò uno stretto dovere di cittadino e di artista, non essendo privilegio degli egregi fautori della tesi contraria il poter asserire di « combattere per decoro artistico della città nostra. » Per trattare seriamente e ponderatamente il problema edilizio attuale, è necessario risalire alla questione generale e più complessa della Piazza del Duomo, e ciò allo scopo di stabilire un vero punto di partenza spoglio di quelle inesattezze e di quegli equivoci i quali - benché possano facilmente essere mascherati collo splendore della frase e colla eleganza del discorso - non cessano per questo di appoggiarsi a ragioni molto vaghe e superficiali. Analizzare i difetti d' origine della Piazza del Duomo, gli errori e gli ostacoli che si verificarono nel suo svolgimento, per rintracciare e giudicare, alla stregua di questi dati di fatto, le conseguenze delle deliberazioni prese o che si vogliono prendere in tale argomento, ecco il còmpito che io mi propongo. E se mi verrà fatto di dimostrare che i concetti formulati nell' Ordine del Giorno del 14 luglio u. s. (1) nei n.i 3 e 4 non sono nè utili nè necessarii, io potrò dire di aver vinto la causa che combatto per il decoro artistico della città nostra e del nostro massimo monumento.

(1) L'Ordine del Giorno fu il seguente : Il Consiglio Comunale, Considerata la eccezionale gravità della questione delle nuove costruzioni che devono sorgere lungo il lato settentrionale della Piazza del Duomo, e la necessità che essa sia oggetto di studii ulteriori, onde le nuove costruzioni possano corrispondere al carattere di monumentalità degli edificii circostanti, Sospendo per ora ogni deliberazione in proposito; prega la on. Giunta perchè, in seguito a nuovi studii e ad opportuni accordi coi proprietarii onde conciliare gli interessi dell' edilità cittadina con quelli delle finanze comunali, voglia in una prossima convocazione del Consiglio presentare un definitivo progetto, presi in considerazione i concetti seguenti: 1.° Arretramento sulla linea della fronte mengoniana fino alla sua intersezione con quella generata dal prolungamento della fronte di Camposanto, di là piegando ad angolo fino a raggiungere lo sbocco di via Agnello. 2.° Continuazione dei portici ad arco per la prima tratta di arretramento, serbato il livello col portico mengoniano. 3.° Coordinamento dei nuovi agli edifizii monumentali del medesimo lato, serbate costanti, per la prima tratta, l'altezza e le ricorrenze dei maggiori scomparti orizzontali. 4.° Imbocco ad angolo retto della via di Santa Radegonda per una tratta non minore di m. 20. L'idea di formare attorno al Duomo una piazza, per modo da mettere in rilievo tutta l'imponenza del massimo monumento cittadino, è stata l'aspirazione secolare del popolo milanese (1): aspirazione la quale, quanto fu continuamente contrastata dalle vicende politiche ed edilizie della città, altrettanto si mantenne viva, ed insistente, cosicchè il rinnovamento edilizio cui Milano s'accinse, appena tornata a libertà, si imperniò sulla questione della Piazza del Duomo. Sgraziatamente questa idea popolare, la quale, lungamente meditata sembrava dovesse presentarsi matura alla soluzione, ebbe a subire fin dai primi passi del suo sviluppo, la influenza di opinioni traviate, per modo da fallire completamente la meta. Mentre il punto di partenza più naturale e logico del problema doveva consistere nel concetto di una piazza subordinata al monumento del quale doveva costituire il complemento, la questione venne ad impiantarsi sul concetto esclusivamente soggettivo di una piazza monumentale, monumentale per sè, senza tener calcolo, anzi a dispetto di quella massa essenzialmente artistica e decorativa che ne doveva essere il nucleo, il centro d'attrazione, la nota dominante cui bisognava coordinare ogni linea ed ogni motivo della piazza. E' mancata, fin dai primi passi, la percezione netta, precisa, degli elementi che devono concorrere a formare una piazza, e dei

(1) « Proposito quod ampliatio plateae, facta inter tenentes spatia terrae ante portam de medio pradictae majoris ecclesiae, cedit decori et ornamento tam pradictae ecclesiae praesidentibusque ejusdem, quam totius civitatis, resque ista non solum valde ab ill.mo dom° Ludovico Maria, sed etiam a toto populo exitit laudata... » 15 novembre 1489, Annali della Veneranda Fabbrica del Duomo. requisiti necessarii a dar vita a questa: sintomo sconfortante pel senso pratico delle masse d'oggidì, poichè non v'ha forse altro argomento edilizio che più di questo della piazza sia in noi spiccatamente tradizionale e si presenti altrettanto ricco per numero e varietà d'esempii. Per una città la quale , all' epoca cui risaliamo , serbava ancora intatto l'orgoglio medioevale per la propria Cattedrale, e si addensava e si raggruppava disordinatamente attorno a questo monumento quasi volesse viverne all'ombra, per una città priva quasi completamente di tutti quegli edifici specialmente destinati alle varie manifestazioni ed esigenze della vita pubblica, era veramente un' occasione rara quella che si presentava nel problema della piazza del Duomo, per risolvere questo conforme alle nostre tradizioni. Senza storpiare o scomporre l'irregolare, ma pur logico organismo della città, senza perder di vista il punto fondamentale della questione, il vero caposaldo, il Duomo, bastava seguire il concetto di provvedere ai bisogni della viabilità nella giusta misura e di spiegare attorno al monumento il libero contrasto degli effetti decorativi che possono presentare quegli edifici nei quali si riassumono a grandi pagine tutte le vicende del passato, le prosperità e le promesse d'avvenire della città, per arrivare così, senza grandi sforzi , ad un risultato che sarebbe stato la vera figliazione del concetto italiano della Piazza Maggiore, della Piazza Comunale, di quella piazza che costituisce la vera fisionomia della città, l'espressione fedele della sua vita e del suo carattere. Si noti che fin dal 1838 - epoca nella quale l'Amministrazione Comunale aveva deliberato di intraprendere l'esecuzione della Piazza per dedicarla all'imperatore Ferdinando I, venuto in quell' anno ad incoronarsi in Duomo - non era mancata la voce di un uomo di buon senso per metter in guardia l' opinione pubblica contro le fatali conseguenze che poteva apportare l' effettuazione di un progetto ciecamente monumentale: Carlo Cattaneo, analizzando il problema della Piazza, osservava fin da quell'epoca, nel Politecnico : « Una piazza destinata ad aggiungere magnificenza ad un edificio deve primamente coordinarsi ad esso. Nel medesimo tempo, consistendo essa in una certa disposizione delle fabbriche circostanti, non può svincolarsi del tutto dalle loro necessarie condizioni. Quando poi si tratta di aprirla nel mezzo d'una antica città, bisogna pure tenerne in qualche conto la costruzione generale ; perchè fare una piazza non è rifare una città. La nostra piazza dovrebbe adunque riescire un mezzo-termine sagace fra la pianta civica e quella del Duomo. A questo punto le difficoltà sono molte. Perchè, mentre il Duomo, perfettamente orientato come vuole l'uso vetusto, si presenta ai quattro venti, la direzione quasi generale della più interna e antica parte della città gli riesce obliqua; cosicchè la più estesa ed agevole rettificazione dell'abitato non si collega colla giacitura del Duomo; ed è mestieri che l' arte non dimentichi di velare questo disaccordo, o di conciliarlo. » E, venendo poi all'esame di alcune idee messe avanti in quella circostanza, e basate sulla vacua grandiosità di una uniforme decorazione riprodotta sui quattro lati di un vasto rettangolo, osservava come le quattro linee nella sterile loro uniformità, invece di far transizione tra la città e il Duomo, verrebbero a crescerne la sconnessione e il contrasto, essendochè renderebbero assai più manifesta l'obliquità della Corte, della Piazza Mercanti e dei due Corsi verso le Porte Orientale e Ticinese. » E quindi concludeva: « Il pensiero di una piazza unica e uniforme, a simiglianza d'un lazzaretto bislungo involge dispendio impossibile, spazii inutili da una parte, meschini dall'altra, disaccordo colle libere altezze e sporgenze del Duomo , contrasto col piantato della Corte e delle tre vie principali, e, ciò che più monta, una tediosa povertà d'effetto. » Non si poteva più esattamente e più minutamente prevedere tutti gli inconvenienti che si ebbero poi nella Piazza del Duomo per la trascuranza assoluta di senso pratico nella sua effettuazione. A queste considerazioni non si limitava Carlo Cattaneo, ma passava a metter in rilievo l'insegnamento che dalla massa del Duomo poteva e doveva ricavare chi si accingeva al problema della piazza. « Qual è la ragione per la quale lo sguardo non si stanca mai di ritornare al Duomo? E perchè da poche file di piloni, acuminati al disopra in aguglia, collegati fra loro con un recinto e coperti con una volta, l' uomo di genio seppe ricavare un tale intreccio di linee, di piani, di risalti, di fughe che, all' avanzar d'un passo o al salir d'un gradino, tutte quelle forme sembrano muoversi armonicamente intorno a noi, alzarsi, abbassarsi, scomporsi e ricomporsi in nuovi pensieri, come se la pietra non avesse peso o cemento, e fosse mobile come l'idea. Non è a dirsi per questo che si debbano stipare tanti pensieri diversi quanti sono gli aspetti del Duomo, e trar linee d' ogni parte a mero caso. Quando noi afferrassimo un pensiero di rara bellezza, potrebbe anche darsi il portento che la posterità se ne innamorasse tenacemente e lo inoltrasse di lato in lato fino al compimento dell' intero circuito. Ebbene, trovateci questo pensiero, mettiamolo alla prova dell'opera, incorporiamolo su uno spazio regolare, ma sia tale che possa stare da sè, che la posterità possa adottarlo e riprodurlo, ma possa anche lasciarlo solo e proseguire in altro modo senza deformità. Nessuna ragione ci vieta d'avere a lato al Duomo una Corte e un Palazzo Arcivescovile, a tergo una chiesa succursale, un orologio, un portico, di fronte una piazza rettilinea, dall'altro lato altri spazii, altri edifici, altri pensieri. Perché stendere il livello dell'uniformità sulla Corte e sulle chiese, sui palazzi e sulle botteghe? Perchè mascherare e falsare sì diversi offici e sì diversi destini? Intorno a un tempio svariato e fantastico avremo le svariate e naturali apparenze d' una città che ha già vissuto almeno ventiquattro secoli, e non può essere condannata ad affondarsi tutta sotterra per risorgere quadrettata come un panno scozzese. »


Codeste considerazioni, esposte così chiaramente e così semplicemente, non trovarono però un terreno propizio nell'opinione pubblica fuorviata da una causa maggiore, vale a dire dall'intervento di quei concetti teorici, di quelle aspirazioni rettoriche, e di quelle reminiscenze vitruviane che, come osservava lo stesso Carlo Cattaneo « non sanno elevar la mente ad una idea che metta senso e vita negli atomi dell'arte. » Non v'è fra noi chi, a Venezia davanti alla Piazza di S. Marco, o alla Piazzetta, a Firenze o a Siena davanti alle Piazze della Signoria o del Comune, non senta fortemente l'impressione che quelle varie soluzioni d' uno stesso tema producono per l' assenza completa d' ogni proposito e di concetto ligio ad uniformità di riscontri, a leggi di simmetria o a vincoli di ricorrenze. All'atto pratico però, questo vero e sano entusiasmo che ognuno di noi sente per così vive e libere manifestazioni dell' arte, si raffredda, si spegne sotto l'incubo di un complesso di formole, regole e canoni di proporzioni, teorie di riscontri, ricette empiriche, massime convenzionali colle quali riesce troppo facile alla mediocrità il simulare un senso qualsiasi d' arte. Questo contrasto fra la facile e spontanea impressione dell'arte quale si presenta libera e pratica nel medioevo, e la misurata e fredda influenza di dottrine e precetti, ultima eco, lontani bagliori d' un' epoca classica, costituisce oggidì il più grave ostacolo allo svolgimento di qualsiasi concetto originale, caratteristico. La piazza è per sè stessa la scena, il campo d'azione della vita pubblica: la sua configurazione quindi si deve adattare a questa. Era naturale che nell' antichità si svolgesse in composizioni armonicamente castigate, solennemente equilibrate, tendenti a costituire un punto di vista unico, eliminando di proposito qualsiasi manifestazione della vita privata: il tempio , la basilica , il teatro, il foro, vi formavano un assieme che sembrava dovesse servire di fondo allo svolgimento logico, chiaro, sintetico d'una tragedia. Ma, allorquando, nel medio evo la vita pubblica e sociale , collo svolgimento delle individualità presentò un aspetto vario, mutabile, a contrasti, il concetto della piazza cambiò radicalmente: la vita cittadina vi affluì da ogni lato, mettendovi nettamente l'impronta dell'iniziativa privata, cosicchè la piazza si svolse con tutta la libertà di concetto e la indipendenza di forme e di caratteri: sembrava - per terminare il contrasto - che la piazza così trasformata dovesse servire di fondo allo svolgimento mutabile, imprevisto, a colpi di scena, di una commedia. Ammessa la radicale differenza degli ambienti sociali che hanno inspirato e svolto in modo così opposto uno stesso tema, non è possibile l'applicare allo stato presente della società, - in cui la manifestazione e l'iniziativa, individuale hanno raggiunto un estremo sviluppo - quel concetto che forma l'estrinsecazione di un altro stato sociale ormai affatto scomparso. Ma non basta aver presente questa diversità di concetto nella piazza: bisogna ricordare altresì come la legge delle proporzioni negli edifici antichi non sia la stessa degli edificii medioevali: basta paragonare fra loro alcuni monumenti antichi per riconoscere come tutti siano coordinati - tanto nell'assieme che nel dettaglio, ad una proporzione relativa : sia grande o piccolo , nel monumento non si tiene calcolo delle dimensioni reali, diremo umane. Il piccolo edificio non è che una riduzione di uno grande , il grande si può considerare come l'esagerazione di uno piccolo. Si hanno, per esempio, nei tempii greci e romani dei gra- dini alti più di mezzo metro, che bisognò poi suddividere e frazionare là dove si volle potessero realmente servire come gradini. Il S. Pietro di Roma, è un tipo immenso di esagerazione di questa proporzione antica, e il suo merito, che sta nella esattezza delle proporzioni nelle singole parti, vi forma il difetto capitale, quello per cui le dimensioni del monumento non figurano quali sono veramente, e ciò per l' assenza di una unità comparativa inerente al monumento stesso. Negli edifici medioevali invece, nelle cattedrali e nelle chiese specialmente, si riscontra sempre infallantemente l'applicazione di una legge fissa invariabile, quella delle proporzioni umane sostituite alle proporzioni relative: il monumento, sia grande o sia piccolo, ha i suoi elementi costruttivi o decorativi di dimensioni quasi costanti perchè in essi l' uomo serve, diremo, di unità di misura, cosicchè una chiesa appare grande quand'essa è realmente grande e piccola quando è piccola: ognuna dà rigorosamente e matematicamente l'idea di ciò che è, poichè la loro proporzione ha un termine fisso, un' unità invariabile colla quale si può apprezzare la dimensione vera d'ogni parte, e questo termine è l'uomo. Ecco il principio fondamentale che gli artisti del medioevo hanno compreso e pei primi applicato con tanto successo: ecco il principio che bisognava rispettare ed applicare scrupolosamente nella decorazione della Piazza del Duomo, sia per rispetto alla destinazione pratica degli edificii che la dovevano costituire, sia in omaggio al risultato che lo stesso principio aveva già splendidamente ottenuto nell' effetto monumentale del tempio. Si può ideare - e lo si è fatto più volte - una piazza grandiosa e monumentale nel senso antico, e lo si è fatto ogni qualvolta s'ebbe il campo libero per svolgerne il motivo senza vincoli od esigenze da superare, ogniqualvolta si volle che la piazza dovesse costituire per sè stessa il monumento: ma gravissimo errore è, e sarà sempre il voler tentare tale concetto allorquando questo non può a meno d'essere in aperta contraddizione colla vita pubblica, una violazione delle esigenze di questa e quindi una maschera alla sua vera e spontanea estrinsecazione. « Fare una piazza non è rifare una città, ha detto Carlo Cattaneo. Una piazza è uno spazio libero fra diversi edifici. La più adatta sua decorazione sarà adunque quella che meglio corrisponde alla natura degli edifici stessi: e quindi sarà secondo i casi, quella che più si conviene ad una Chiesa, o ad una Corte, o ad una Borsa o ad un Teatro, o ad un Tribunale, o ad una linea di case a porticato per uso di commercio e di passeggio. Qual' è la decorazione della piazza di Venezia ? E tanto quella del Palazzo ducale, quanto quella del tempio di S. Marco, quella delle Procuratie Vecchie e quella delle Procuratie Nuove. L'architettura non deve far bugie; una città deve far bella e sincera mostra di sè: non deve appiattarsi dietro una cortina di muraglie false. » Ciò malgrado, il concorso bandito venticinque anni or sono per la Piazza del Duomo ebbe a subire completamente il traviamento dell'opinione pubblica. Il Mengoni, il quale, a molte qualità di architetto, sapeva opportunamente accoppiare una grande pratica dell'ambiente sociale, non tardò a scorgere il lato debole della questione, quello dal quale era possibile arrivare al risultato di soddisfare o meglio impressionare l'opinione pubblica. Egli che logicamente avrebbe dovuto partire dallo studio fondamentale, tanto dell' organismo topografico della città che delle esigenze da soddisfare mediante l'opportuna destinazione degli erigendi fabbricati - per arrivare così gradatamente a quella soluzione pratica del quesito la quale, spontaneamente, e senza gravi difficoltà sarebbe riuscita altresì in armonia colle esigenze estetiche del monumento che ne doveva formare la nota dominante - invertì e mutilò tale procedimento logico, partendo dal punto cui doveva arrivare, e cioè proponendosi o imponendosi dapprima un tema, e cercando poi di adattarvi,o meglio assoggettarvi tutte le esigenze della questione. Gli è ch'egli aveva compreso come, anzichè persuadere con ragioni, fosse più facile colpire l' immaginazione e come alle aspirazioni incerte e retoricamente classiche, non potesse corrispondere che la facile e superficiale scenografia. Ne risultò quindi un concetto così teorico nel suo complesso, da presentare un assieme di fabbricati che vollero essere palazzi, benchè destinati a privata abitazione, soverchiando e schiacciando gratuitamente quegli edifici che erano o dovevano essere considerati monumentali, falsando il rapporto umano nelle dimensioni, a puro dispendio e a discomodo delle abitazioni, e falsandolo appunto là dove i pregi caratteristici che danno grandiosità al Duomo rendevano più che mai necessario e prezioso il conservare il rapporto umano nelle dimensioni degli edifici circostanti (1). Ne risultò un concetto così astratto nel suo organismo, da non legarsi menomamente coll' impianto topografico della città cosicchè, quanto era stato facile il tracciare sulla carta dei rettilinei monumentali, altrettanto si presentò difficile il collegare e l'immedesimare questo tracciato, il quale - compiuto in parte - rimane ancora oggidì come intruso nella planimetria della città. Eppure bisogna essere indulgenti verso l' architetto Mengoni allorquando si pensi che la 3a Commissione, nominata per giudicare il concorso, così riferiva al Consiglio Comunale il 15 settembre 1863 riguardo al progetto Mengoni: « Le decorazioni tolte in parte alle fabbriche toscane dei tempi medii ed in parte allo stile dell'ultimo periodo del cinquecento, quantunque abbastanza felicemente applicate in alcune parti, furono trovate senza sufficiente movenza. Eleganti nella loggia e nel fabbricato d' ingresso alla via Vittorio Emanuele, riescono alquanto modeste e disadatte nel corpo di fronte al Duomo e nei corpi laterali. Al tutto manca quella grandiosità e quello splendore di forme che, anche serbando i debiti riguardi alla destinazione degli edificii, sono necessarie ad imprimere alla piazza un carattere monumentale. » Edificii alti quasi quaranta metri erano giudicati semplicemente eleganti, il palazzo della Indipendenza alto più di 36 metri si considerava modesto e disadatto: e si rimproverava all'architetto « di essersi scostato da quel concetto architettonico complessivo dal quale dovesse risultare l'idea d'una piazza appositamente costrutta ! » Quale traviamento del senso comune! E così pure bisogna esser indulgenti verso l'opinione pubblica che si lasciò affascinare da tutti i lenocinii d'esecuzione e gli artifizi di disegno della veduta prospettica della piazza Mengoniana, quando si pensi che, altrettanto facilmente, si lasciò affascinare il Giurì il quale, tuttochè composto di architetti e professori di prospettiva , sanzionò il verdetto (1) Per comprendere come la grandiosità di un edificio non dipenda dalla sua altezza, ma dalla proporzione delle varie sue parti, basterebbe aver presente le altezze di alcuni edificii monumentali più noti: il Palazzo di Brera a Milano non arriva a m. 19 d'altezza, e il Palazzo Marino tocca appena i m. 24 al cornicione, e sono due veri palazzi. Il Palazzo Ducale di Venezia, così grandioso d'effetto, è pure alto m. 24,00, mentre le Procuratie Vecchie sono alte solo 20 metri, o la loggia dei Lanzi, tanto imponente nelle suo linee, non oltrepassa i m. 24. popolare senza neppure avvertire - e pare a noi cosa incredibile - come l'effetto imponente che presentava il disegno era esclusivamente basato sull'artifizio della scelta di un punto di vista puramente immaginario, poichè situato lungo la verticale passante per l'aguglia maggiore del Duomo; cosicchè tale effetto imponente del disegno ammetteva implicitamente la nec essità di levare e distruggere tutte le navate della Cattedrale per essere effettivamente raggiunto. Ma l'opinione popolare, impaziente, affascinata, sorvolò a tutto: si voleva una piazza, la si voleva monumentale: questo bastava. Il resto, e cioè « l'intrattabilità degli accidenti locali che si rivelavano nel piano Mengoniano » i dubbi che il concetto fosse troppo grandioso, e che la piazza toccasse l'estremo dell'ampiezza, tutti questi quesiti che richiedevano ulteriori studi, si considerarono cose astratte e si abbandonarono all'architetto. L' intelligenza umana però, per quanto pronta ed audace, se può arrivare a vincere le difficoltà non può sopprimerle. Il concetto Mengoniano, nato dall'artifizio, rimase ben presto da questo stesso artifizio soffocato: le difficoltà le quali nei disegni e nelle vaghe e sconnesse discussioni di commissioni si erano potute facilmente nascondere o tacere, riapparvero all' atto pratico più gravi e rese insormontabili. La larghezza della Piazza apparve ben presto non proporzionata nè allo sfondo nè alle esigenze, o più esattamente in tal caso, ai comodi della viabilità: si rese evidente l'inopportunità, per non dire l'impossibilità, del palazzo di fondo: spaventò l'idea di una Loggia la quale non dovesse essere che il riscontro simmetrico dell'arco d'ingresso della Galleria Vittorio Emanuele, quasi contrappeso necessario ad un equilibrio estetico immaginario: si vide che questi edificii colossali, nel mentre non bastavano a mascherare le tristi realtà degli sbocchi angolari, venivano a schiacciare la massa del Duomo. Il concetto si era presentato completamente fallito dacchè i milioni profusi non ci avevano dato nè le vagheggiate proporzioni armoniche della piazza, nè la possibilità di svilupparvi un concetto completo, nè il miglioramento desiderato per l' effetto monumentale del tempio.


Dopo tutto questo antefatto, dopo questa lunga serie di errori e delusioni che avrebbero dovuto apportarci almeno il frutto dell'esperienza, non dovrebbe esser concesso di riprendere la questione della Piazza del Duomo coll'entusiasmo, le aspirazioni, i facili ideali di vent'anni or sono. Eppure con grande nostra maraviglia non sono mancati nel seno del Consiglio Comunale i sostenitori del concetto Mengoniano come se questo potesse presentare tutte le attrattive, le seduzioni, e il miraggio col quale si era presentato molti anni or sono. Infatti l' on. Massarani , nella seduta consigliare del 14 luglio u. s. ebbe a dire non esservi « nessuna maggiore opera edilizia in Milano che il compimento della Piazza del Duomo: o rinviarla dunque o fare che si eseguisca in modo degno. » E dal canto suo l' on. Sala Gerolamo dichiarava che « il concetto del Mengoni, in grandissima parte attuato, deve prevalere, come prevalgono i fatti compiuti in ogni futura deliberazione. » Orbene nulla di più superficiale ed incerto di queste due asserzioni. Che il concetto Mengoniano, quale lo intende l'on. Sala, non sia in grandissima parte attuato, è cosa la quale appare anche ai meno intelligenti in materia architettonica, e che il compimento del concetto stesso sia ormai cosa impossibile, è cosa la quale appare facilmente a chiunque voglia darsi la pena di andare un poco addentro nelle cose, e non si accontenti della fugace impressione di una frase. Questo proposito, con tanta sicurezza accampato dagli onorevoli Massarani e Sala, di continuare il concetto Mengoniano deve necessariamente includere l'intima persuasione di poter completare il concetto stesso: non si potrebbe comprendere altrimenti il voler mirare ad un risultato che non si potesse raggiungere. E qui è necessario stabilire cosa si debba intendere per concetto Mengoniano. Il progetto Mengoni ebbe due fasi: la prima è quella dei Concorsi banditi dal 1860 al 1863, quando il progetto si limitava alla parte anteriore della piazza del Duomo, quella che risultava nella famosa prospettiva, e precisamente era costituita dal Palazzo dell'Indipendenza di fronte al Duomo, dall'arco della Galleria Vittorio Emanuele a destra, dalla Loggia Reale a sinistra e dai tre corpi di fabbrica, l'uno laterale alla Loggia, gli altri fiancheggianti l'arco della Galleria. Questo progetto, il quale - ad eccezione della Loggia Reale e del Palazzo di fondo - venne effettuato, presentava uno sviluppo lineare di metri 400. Successivamente il Mengoni compilò un « Piano di completamento del progetto approvato della Piazza del Duomo » il quale piano costituisce la seconda fase del progetto. Questo piano di completamento, oltre alle opere già menzionate, comportava le seguenti: 1.° Prolungamento del fianco settentrionale della piazza, fino al risvolto nel Corso Vittorio Emanuele, coll' identica architettura dei fabbricati della piazza e collo sbocco di Santa Radegonda mutato in sottopassaggio; 2.° Demolizione del fabbricato dell'Amministrazione della Veneranda Fabbrica del Duomo e di tutte le fabbriche dell'isolato fra Via Pattari e la piazza del Camposanto, nonchè di porzione dell' isolato fra Via Pattari e Via Beccaria, per portare il fondo della piazza a quasi m. 100 dall'abside, secondo una linea dividente quasi per metà la piazza Fontana attuale, progettando per questo fondo, dei fabbricati dell' altezza di circa metri 37,00; 3.° Riforma radicale della parte del Palazzo Arcivescovile prospiciente la piazza del Camposanto e il fianco del Duomo, per rivestire detto palazzo colla decorazione generale della piazza - senza tener calcolo nè dell'ossatura dell'edificio, nè delle ricorrenze della decorazione interna; 4.° Costruzione di un motivo simmetrico alla Loggia Reale in corrispondenza alla testata dell' ala destra del Palazzo di Corte il che includeva la costruzione di una massa architettonica alta m. 40 ad una distanza minore di m. 18 dalla sporgenza del Capocroce della Cattedrale; 5.° Costruzione di un porticato con superiore loggiato, a collegamento di questi due motivi simmetrici e ciò allo scopo di segregare o mascherare la insenatura del Palazzo di Corte. Tutto questo costituiva un assieme decorativo che si svolgeva su di un perimetro di circa mille e cento metri.


A questa seconda fase del progetto Mengoniano, è duopo riportare qualsiasi deliberazione riguardante la piazza allorquando si dichiara che si mira al completamento del concetto Mengoniano. Poichè è naturale che, se si crede ancora oggidì possibile l'effettuazione del piano generale, è necessario evitare qualsiasi deliberazione parziale non conforme a questo piano generale, come sarebbe quella che ci preoccupa attualmente, la quale non riguarda che una tratta di m. 120 senza tener calcolo del progetto d'assieme, giacchè lo altera coll'am- mettere la continuazione del lato settentrionale con una decorazione differente da quella già esistente. Ora, può questo progetto d'assieme essere effettuato? Si è già detto come siasi tacitamente rinunciato a due parti principali del progetto primitivo, vale a dire il Palazzo della Indipendenza e la Loggia Reale. Il Palazzo della Indipendenza è già definitivamente condannato dall'opinione pubblica e non varranno certo le aspirazioni di una piazza simbolica a sopprimere le sempre maggiori esigenze della viabilità, la quale vi ha già sanzionato veramente un fatto compiuto. Si dovrà pensare - col tempo - a riformare il fondo della Piazza, ma non già, speriamo, per applicarvi le dimensioni e le ricorrenze Mengoniane. La Loggia Reale - per quanto sia stata giudicata una delle parti migliori del concetto Mengoniano - è pure condannata: lo stato attuale della piazza permette, anche ai meno intelligenti in materie architettoniche, di comprendere e misurare l'effetto disggradevole che produrrebbe un motivo ancora più grave e massiccio dell'arco della Galleria Vittorio Emanuele, appicciccato alla modesta e debole architettura del Piermarini; tutto ciò per avere una loggia - vale dire un motivo architettonico complementare - la quale verrebbe a sopraffare l'organismo principale. Il Mengoni aveva bensì, nella già menzionata prospettiva, dissimulato artificiosamente il vero rapporto della massa della Loggia rispetto a quella del Palazzo di Corte: ma l'artificio non può più reggersi dinanzi alla evidenza dei fatti (1). Della possibilità, o piuttosto della opportunità di riformare la fronte dell'Arcivescovado si potrà discutere fin d' ora, non però in base al concetto di applicarvi una decorazione la quale non avrebbe nessun nesso, nè colla destinazione, nè coll'ossatura dell'edificio. E parimenti non crediamo che l'edificio dell' Amministrazione della Veneranda Fabbrica del Duomo, per quanto all'epoca della recente sua costruzione abbia sollevato molte recriminazioni, ci faccia invocare e desiderare una prossima demolizione al solo scopo di sostituirvi, quando anche a maggior distanza dal Duomo, una costruzione dell'altezza vertiginosa di m. 37, quale la immaginava il Mengoni. (1) Tale contrasto, ad onor del vero era stato segnalato dalla Commissione esaminatrice del progetto Mengoni la quale « lodò il pensiero della Loggia Reale benchè avesse a notare la discrepanza di quel corpo a forme gigantesche cogli altri fabbricati e collo stesso Palazzo Reale al quale fu applicato. » (Relaz. al Cons. Com. 15 Sett. 1863). Si può quindi, con retto criterio, sostenere al giorno d'oggi di voler completare la decorazione del lato settentrionale della Piazza, conforme al concetto Mengoniano, quando pei due lati Est ed Ovest si è dovuto rinunciare completamente a questo concetto, quando per il lato meridionale mancano tuttora ed irremissibilmente i 7/8 di decorazione progettata? A quale scopo, di fronte alla impossibilità di iniziare due lati della piazza e di completare il terzo, si vorrà ciecamente ostinarsi a completare il lato settentrionale? Si verrebbe forse con ciò a risolvere il problema, oppure non si verrebbe a comprometterlo e complicarlo maggiormente? Il volere pertanto riportarsi al concetto Mengoniano deve solo intendersi, ci pare, nel limite più ristretto nel quale il concetto stesso venne approvato, trascurando affatto la seconda fase, quella del progetto complessivo di una piazza rettangolare uniformemente decorata, nella quale le esigenze della simmetria avrebbero reso necessaria la trasformazione di nove sbocchi di vie in sottopassaggi. Ora il concetto Mengoniano al quale dobbiamo restringerci, quello che fu approvato, benchè non sia che la terza parte del concetto generale, non si è potuto effettuare completamente, avendo le circostanze sconsigliato, come già si disse, la costruzione di due delle sue parti principali, quali il Palazzo di fondo e la Loggia Reale. La questione, ridotta all' evidenza delle cifre, è questa: che un piano generale riguardante un perimetro di 1100 metri, approvato solo per uno sviluppo di m. 400, non si è potuto effettuare che per una tratta di m. 290, e cioè in una piccolissima parte.


La questione edilizia presente, non potendo esser riferita nè al piano generale nè al progetto approvato, deve quindi esser considerata soggettivamente in sè stessa, nel senso di vedere e ponderare quali siano i difetti e i vantaggi che potranno derivare dal continuare o non continuare l'altezza di m. 31 per tutto il lato settentrionale della Piazza. Cominciamo dall' esame della soluzione ammessa in massima, o per lo meno non esclusa, dal Consiglio Comunale. Si è detto esser necessario continuare l' altezza di m. 31 per evitare lo sconcio di un salto nelle ricorrenze principali del lato settentrionale della piazza. A ciò si può rispondere: potrebbe infatti effettuarsi uno sconcio qualora quest'altezza di m. 31 corresse invariata per tutta la tratta attuale di m. 210 circa, e quindi marcasse già una linea così rigida, da richiedere per il suo maggior effetto uno sviluppo completo, una fuga molto più estesa. Ma l'altezza di m. 31 non corre che per due tratte di m. 80, ed è interrotta - per circa m. 60 - dalla linea più alta dell'arco della Galleria V. E. e dagli sfondi a terrazzo laterali: il Mengoni stesso ha quindi abilmente evitato quella rigidità di linee orizzontali che ora tanto appassiona i livellatori dell'arte e, in omaggio allo stesso criterio, si proponeva di costruire il palazzo di fondo con altezze e ricorrenze orizzontali affatto indipendenti da quelle dei fianchi. Non vi può essere quindi uno sconcio per la differenza d'altezza da m. 31 a quella regolamentare di m. 24, considerato altresì come fra queste due differenti altezze s'interponga lo sbocco della Via S. Raffaele. Per chi fosse, a questo riguardo, ancor poco persuaso, richiameremo l'esempio di due variazioni d'altezza identiche a quelle che ci preoccupano, e che si presentano nella via Carlo Alberto, fra le due testate dei fabbricati Mengoniani e i fabbricati d' angolo delle Vie Dogana e Carlo Cattaneo, di altezza regolamentare, variazioni che - come ognuno può, con poca fatica , riscontrare - anzichè uno sconcio producono un effetto e un movimento di linee tutt'altro che spregevole. A parer nostro, invece molti sconci ed inconvenienti si avranno dal partito di continuare l'altezza attuale e cioè: 1.° Si avrà lo sconcio di uno sbocco nel Corso Vittorio Emanuele - via di sezione limitata - con una altezza eccezionale, eccessiva, la quale verrà a contrastare con tutti gli edificii del Corso e specialmente con quello della Amministrazione della Veneranda Fabbrica del Duomo, che gli si troverà di prospetto con una altezza la quale non arriva ai m. 24. Il salto di linee, che tanto si teme avvenga in Via S. Raffaele, non sarebbe evitato, ma solo spostato, coll'aggravante che si presenterebbe tanto rispetto al Corso, che rispetto all'altro lato della piazza, quello di fondo, e quindi sarebbe visibile da un maggior numero di punti di vista. 2.° Si avrà l' inconveniente di rompere nel lato settentrionale l'equilibrio del partito Mengoniano, il quale, come ora si trova, presenta un asse nell'arco della Galleria V. E. e due edificii laterali perfettamente simmetrici, formando così un motivo completo che fa da sè e può giustificare - finchè si trova nella condizione attuale - la eccezionale altezza dei fabbricati fiancheggianti l'arco. 3.° Si avrà un altro sconcio dal continuare le ricorrenze orizzontali senza mantenere l'unità di decorazione, poichè tali ricorrenze - ad eccezione di quella necessaria e assai pronunciata del portico - non si potranno all'atto pratico apprezzare e non raggiungeranno quindi quello scopo cui si mira, che è di dare, o piuttosto simulare l' effetto di continuità in tutto il lato settentrionale. A tutti questi inconvenienti si aggiunga quello dello sbocco, nella piazza, di una via larga m. 6 come è quella di Santa Radegonda, fra due edifici alti m. 31; ma non insisteremo su ciò, giacché questa via è chiamata ad essere storpiata e sacrificata, sempre in omaggio a quei criterii artistici che hanno bisogno del continuo sotterfugio per accontentare le esigenze della simmetria e della vitruviana regolarità. Altri argomenti furono messi innanzi a sostegno dell'altezza di m. 31. L' on. consigliere Sala teme che l' abbandono del concetto Mengoniano possa riuscire inesplicabile ai posteri, i quali « Si meraviglieranno certamente che dopo esserci sobbarcati ad una impresa tanto colossale ed inspirata a tanta pretesa artistica, noi non abbiamo avuto le idee abbastanza larghe, nè i polmoni abbastanza robusti per camminare diritto fino alla Via dell'Agnello. » Ma non potrebbero questi posteri - obiettiamo noi - trovare ancor più inesplicabile il compimento di un lato della piazza allorquando ai loro occhi non potrà neppur risultare che vi sia stato, nelle vicende edilizie del centro della città, un solo momento nel quale si sia realmente presentata la possibilità del compimento della piazza sulla base dell'unico lato che si presenterà loro completo? E non si meraviglierebbero in tal caso questi posteri della nostra ostinazione ad un impresa altrettanto inspirata a pretesa artistica, quanto contrastata da ostacoli così insormontabili? Francamente noi, in faccia ai posteri, non siamo tenuti a compiere un tour de force, tanto per mostrare i nostri buoni polmoni, ma siamo tenuti a mostrar la ragione di ogni nostra deliberazione, e se questi posteri saranno - come giova sperare - meglio di noi educati al vero senso del bello, piuttosto che accusarci di un mutamento di pensiero, sapranno esserci grati per quella spontaneità e franchezza che avremo dimostrato con tale mutamento, in omaggio al nostro massimo monumento. Un'ultima obbiezione che nel Consiglio Comunale venne mossa dall' on. Sala a sostegno della sua tesi, è quella che, limitare l' altezza dei nuovi fabbricati a m. 24 sarebbe introdurre una nuova disarmonia nell'insieme del prospetto, tanto più che i palazzi più bassi corrisponderebbero alla parte posteriore del fianco del Duomo, incomparabilmente più alta dell'anteriore, sicchè si avrebbero nelle due tratte due contrasti inversi e veramente insopportabili. » Con tutto il rispetto alle opinioni dell'egregio collega on. Sala e malgrado i mormorii d' approvazione coi quali il Consiglio volle accogliere tali parole, mi permetterò di manifestare a tale proposito la mia profonda meraviglia per questa nuova teoria architettonica dei contrasti inversi insopportabili; quante meraviglie d'arte il cui segreto fascino è basato esclusivamente su contrasti di linee dovrebbero a questa stregua riuscire insopportabili! Quale bisogno di trovare un nesso, una relazione, un equilibrio fra le due tratte - come le definisce l'on. Sala - e cioè fra una cattedrale e un bazar? Non può ognuno di questi edificii dispiegarsi a seconda delle esigenze cui deve soddisfare? Eppure non deve esser così, e secondo la teoria nuova, se la cattedrale a un certo punto si slancia colle sue guglie più arditamente verso il cielo, ne viene la necessità che il vicino bazar sorpassi l'altezza normale, tanto per rendere sopportabile quell'impressione di grandiosità che l'audacia del genio umano ha raggiunto nel Duomo. Per noi questa nuova disarmonia che l' on. Sala teme nell'assieme del prospetto è provvidenziale. I vantaggi che ne possono conseguire risultano già dalle obbiezioni mosse al partito di continuare l'altezza di m. 31, e cioè sono: 1.° L'imbocco del Corso costituito da due edificii di altezza eguale e in relazione a tutto lo sviluppo della città, per modo che il punto di vista veramente grandioso che ancora presenta il Duomo dal Corso, anziché esser rovinato da una quinta alta m. 31, sarà conservato intatto, anzi alquanto migliorato coll'allargamento dell' imbocco stesso. 2.° Il concetto Mengoniano, nelle parti in cui venne svolto lungo il lato settentrionale, non rimarrà più come è oggidì un punto interrogativo per tutto l'avvenire della piazza, poichè apparirà chiaramente che il motivo è, e si è ritenuto completo come ora si presenta. 3.° I nuovi edificii si svolgeranno liberamente nelle loro ricorrenze a seconda delle esigenze interne , formando della piazza la vera estrinsecazione della città moderna, quale la vagheggiava, fin da quasi mezzo secolo, Carlo Cattaneo, e non presenteranno quell' aspetto bastardo che risulterà necessariamente dal voler simulare la grandiosità degli edificii Mengoniani, limitandosi alla semplice ricorrenza delle principali linee orizzontali. E a questo proposito non bisogna dimenticare come l'altezza eccessiva dei fabbricati Mengoniani non si possa rilevare pienamente pel fatto che tutte le proporzioni della loro architettura sono svolte con un rapporto non comune, al punto che non sono i fabbricati che sembrano grandi, ma le case e gli edificii adiacenti che appaiono schiacciati e depressi. Lasciate che nell'altezza di m. 31 si sviluppino dei piani d'altezza proporzionata e quindi numerosi, e dalla minuta suddivisione della facciata apparirà pienamente l'altezza eccessiva: anche il profano in materie architettoniche e prospettiche, può formarsi un concetto di ciò, osservando, dal mezzo della Piazza, le case che prospettano la fronte del Duomo, le quali, per il fatto che hanno una facciata divisa in sette piani, sembrano già più alte, o per lo meno della stessa altezza degli edificii Mengoniani: eppure la cornice di quelle case arriva a poco più di m. 24, l'attico a m. 26, quasi sei metri meno dell'attico mengoniano. Teniamo ben fermo in mente come, questa d'oggidì sia la sola occasione favorevole la quale potrà presentarsi a noi per rinunciare con decoro ad un ulteriore sviluppo del concetto Mengoniano, e rinunciarvi in modo che sparisca ogni traccia, ogni sospetto si possa aver sognato di completare il concetto stesso; è l'unica occasione che ci si presenta per ritornare, ancora in parte, al vero concetto della piazza, quale lo ha propugnato con calde ed inspirate parole Carlo Cattaneo. Un passo di più nella via sin qui tenuta, e noi ritroveremo aperto dinanzi a noi l'ignoto, la sfinge del concetto Mengoniano, ci saremo avanzati avventuratamente cogli occhi chiusi, fino a batter la testa contro la muraglia di insormontabili difficoltà. Nè si vorrà negare che nella questione presente possano intervenire considerazioni d'un altro ordine, le quali possono sembrare secondarie solo pel fatto che troppo facilmente si è disposti a perderle di vista. Coll'altezza regolamentare di m. 24 si trovano soddisfatte esigenze di igiene e di ordine pubblico che in ogni città si impongono come una legge suprema: e non sarà superfluo il richiamare come, anche nelle città dove il prezzo dell'area arriva a prezzi elevatissimi, a Parigi, per esempio, dove l' area oltrepassa le L. 2000 al m. q., l'altezza massima degli edificii, - anche nelle numerose piazze monumentali - è di m. 20, limite che certamente non è uno degli ultimi fattori del fascino di bella e veramente grande città.


Tutto quanto abbiamo sin qui esposto a sostegno della tesi di continuare coll'altezza di m. 24 il lato settentrionale della Piazza, non si è menomamente riferito al Duomo e cioè a quel monumento il quale - come già si disse - è il primo fattore della questione della Piazza stessa e doveva costituire la parte principale del complesso monumentale tanto vagheggiato: e per verità, nel rapporto originario sulla Piazza, si diceva che questa « decretata principalmente per mettere in miglior mostra il principal monumento della città, deve curarne possibilmente le migliori visuali onde l' ammiratore, senza uscire dalla piazza, possa formarsi dello stesso un adeguato concetto. » Ora domandiamo noi: è giusto, è logico che nella questione edilizia attuale non si rivolga neppure per un istante il pensiero a questo monumento, nè si vogliano considerare le conseguenze che possono derivare dalle deliberazioni che si stanno per prendere? E' possibile che l'opinione pubblica, dopo aver dimostrato tanto interessamento per raggiungere il risultato della Piazza, trascuri completamente quella massa architettonica che ne doveva formare il centro d'attrazione? Pur troppo la indifferenza per le grandi e vere questioni d' arte va sempre più guadagnando nei grandi centri di popolazione: nel movimento affrettato, nel trambusto quotidiano, i più pensano raramente a ciò che esce dall'orbita dei personali ed immediati interessi: l'opinione pubblica non ha tempo di esaminare e studiare attentamente, e in tempo, le questioni vitali edilizie, e solo si scuote e si sveglia davanti ai fatti compiuti, per trovare poi uno sfogo in critiche acerbe, le quali sono altrettanto spontanee e facili dinanzi all' evidenza dei fatti, quanto riescono inefficaci e sterili venendo in ritardo. Eppure nella questione che ci preoccupa non occorrono nè studii o ricerche speciali, nè lunghe osservazioni per arrivare a comprendere come la massa del Duomo non possa certo guadagnare dal partito di estendere maggiormente, nelle sue vicinanze, l'altezza mengoniana. L'on. Gerolamo Sala, sostenitore tanto deciso di tale altezza nel seno del Consiglio, ha dovuto ammettere come « se con un colpo di bacchetta magica si potesse ridurre a 2I metri il livello generale degli edificii che circondano il Duomo nessuno dal punto di vista edilizio se ne dorrebbe. » Ebbene, di fronte a questa constatazione - confermata poi dal voto della Commissione Conservatrice dei monumenti della nostra Provincia (1) - come mai si può sostenere di continuare un partito dannoso all'effetto monumentale del Duomo per la sola idea, assai problematica, di evitare uno sconcio nella piazza? Qual è l' interesse maggiore che si trova qui in giuoco? E l'effetto della Piazza, vulnerato già da ogni parte da errori ed ostacoli, oppure è l'effetto monumentale del Duomo? Daremo la preferenza alla gretta ed inefficace ricorrenza di linee orizzontali in edificii di vario carattere e destinazione, oppure metteremo nelle nostre deliberazioni un poco di quel senso artistico e di quell' entusiasmo per tutto ciò che si stacca dalla volgarità, di quel buon senso insomma cittadino che ha una storia di secoli nel Duomo, e che noi smentiremmo se non dimostreremo di comprendere tutta la imponente bellezza e il valore intrinseco di questo monumento che riassume tanta parte del nostro glorioso passato? (2). Riguardo alla sistemazione dello sbocco di Via S. Radegonda richiameremo come, secondo il progetto presentato al Consiglio nel luglio u. s., si fosse stimato conveniente limitare il problema allo studio dell'allargamento conveniente di tale sbocco, senza sacrificare la razionale direzione di questa via, tangente all'abside del Duomo, direzione che rende la via S.

(1) Ecco l'ordine del giorno quale venne steso dallo stesso Presidente della Commissione, l'Illustrissimo signor Prefetto della Provincia, e quale venne approvato a voti unanimi: La Commissione Conservatrice dei Monumenti per la provincia di Milano, riconoscendo il grave danno che dal partito di continuare con un' altezza eccezionale gli edificii in prossimità alla parte più ricca ed elevata del Duomo, verrebbe a subire l'effetto monumentale di questo, fa voti perchè l' on. Rappresentanza Cittadina voglia considerare se non convenga che l'altezza dei fabbricati erigendi in prolungamento al lato settentrionale della Piazza del Duomo, non abbia a sorpassare i m. 24 stabiliti dal Regolamento Edilizio. (2) Consideriamo inefficace il concetto di ricorrenze orizzontali non subordinato altresì alla ricorrenza di medesime membrature architettoniche o decorative. È il caso di dire che le ricorrenze si fanno o non si fanno: due cornicioni potranno essere alla stessa altezza dal suolo, ma se non hanno lo stesso scomparto, la medesima sporgenza e dirò anche lo stesso carattere, non formeranno mai una ricorrenza: al contrario riuscirà uggioso il vederli lì appaiati, allineati, quasi che l'occhio dell'osservatore dovesse decidere quale dei due sia di maggiore effetto. Radegonda assai più frequentata della via S. Raffaele malgrado questa abbia una sezione sensibilmente maggiore: nel progetto si aveva un risvolto normale alla piazza corrispondente alla larghezza del portico dalla parte della Banca Generale, e di una larghezza doppia dall' altra parte, col che, come faceva osservare allora la Relazione presentata al Consiglio, « i nuovi fabbricati costruendi, di architettura diversa da quella del Mengoni, separati da sbocchi di conveniente larghezza (metri dieci circa, e non sei come risulta dal progettato storpiamento di via S. Radegonda) non richiedono, all'infuori della linea del portico, altra ricorrenza cogli edificii già innalzati lungo quel lato della Piazza. » Codeste considerazioni sulla convenienza tanto di mantenere la direzione razionale di via S. Radegonda, che di ottenere l'allargamento opportuno dello sbocco di questa via - benché molto elementari ed ovvie - non furono tenute in calcolo dagli oppositori del progetto presentato dalla Giunta: ma anche per questa questione secondaria si può dimostrare come il partito, vagheggiato da questi oppositori, di mascherare l'obliquità della via di S. Radegonda ci procuri degli sconci più gravi di quello che si teme. S'immagini l'effetto di due cantonate di edificii alti più di m. 30, ad una distanza di soli sei metri: s'immagini l'effetto prodotto dai due diversi cornicioni che verranno a trovarsi faccia a faccia ad una distanza di m. 4.00 circa: s'immagini l'effetto che questa via stretta - la quale ora ha il grande vantaggio di essere perfettamente rettilinea nell' ultima sua parte, e perfettamente sfogata al suo sbocco - produrrà quando nell' ultima sua tratta, per circa m. 20, si piegherà, dirò così, a caso, per battere contro il fianco del Duomo: s' immagini infine l'effetto delle due fronti di questa via, alte m. 31. e sempre ad una distanza di soli sei metri; e ciò nel cuore della città, lì vicino a quegli edificii che sono documento palmare delle diecine di milioni profusi. Quale risultato incomprensibile alle persone di buon senso si otterrà con questo sperpero del pubblico denaro per rivestire di decorazioni tanta miseria di disposizione planimetrica! Lasciamo dunque che, conservato il rettilineo del lato settentrionale e la continuazione e ricorrenza dei portici , nel resto i due progettati edificii sorgano con quella indipendenza che sarà richiesta dalla loro destinazione e in quei limiti che sono imposti provvidenzialmente dal Regolamento Edilizio: lasciamo che lo sbocco di S. Radegonda sia risolto nel modo più naturale e spontaneo, quale era presentato dalla Giunta nello scorso luglio, senza nessun artifizio, senza nessuna finzione, senza maggiori sagrifizii di denaro pubblico. Non temiamo di mascherare l'inclinazione della via S. Radegonda rispetto alla piazza: tanto, non ci si riuscirebbe. Seguendo questi concetti noi potremo essere sicuri di ottenere un buon risultato poichè è buono tutto ciò che viene dalla sincerità e dalla naturalezza. A Parigi, l' interesse e l'affetto della popolazione per la Cattedrale, non è meno vivo di quello dei Milanesi pel Duomo: ebbene, quando pochi anni or sono si è fatto la piazza davanti a Nòtre Dame, si è pensato saggiamente che il solo risultato da ottenere era quello di dare il maggior sfogo possibile alle visuali di quel mirabile monumento; fatto il largo, si innalzarono intorno al monumento edificii di carattere, di altezze, di decorazioni varie come diversa era la loro destinazione: lungo il fianco della Chiesa si innalzarono case comuni, nel fondo della piazza una caserma, di fianco un ospedale; l'architettura utilitaria delle case e delle caserme, quella pratica e razionale dell'ospedale non fanno che dare maggiore risalto alla meravigliosa fronte del tempio. Per noi è troppo tardi per applicare tale concetto, non troppo tardi per ravvederci. Quand' anche le nostre deliberazioni avessero a tradire un pentimento - ciò che non sarà, a nostro avviso - pensiamo che il pentimento è preferibile all'ostinazione: il pentimento illumina, l'ostinazione accieca. Allorquando Michelangelo nel 1515 qualificò una gabbia da grilli il Loggiato che Baccio d'Agnolo aveva iniziato a coronamento del tamburo della cupola di S. Maria del Fiore, si rinunciò tosto a proseguire l' opera, la quale, oggidì ancora interrotta, nel mentre è indizio perenne di un mutamento d'opinioni, attesta la benefica influenza della critica del Buonarroti. Nella questione presente dovrebbe bastare un poco di buon senso per ottenere un mutamento d'opinioni, e per arrivare alla convinzione che « trattandosi di disporre edificii che hanno una destinazione diversa attorno ad uno spazio aperto nel cuore di una città che conta molti secoli di esistenza, trattandosi di disporre questi edificii in quella razionale disposizione di masse che si accordi colle necessità della planimetria, e con un grandioso concetto artistico - non debba solo consistere il monumentale della Piazza nella perfetta eguaglianza delle parti che si prospettano, ma bensì nell' essere le medesime circondate da fabbriche monumentali che, richiamando col loro diverso carattere la diversa destinazione, raccolgano non pertanto in un concetto uno la varietà delle parti ed infondano la poesia nello spirito come l' infonde la bella e pittoresca e monumentale Piazza di Venezia col contrasto dei suoi diversi edifizii. » Queste parole, colle quali faccio punto, sono appunto quelle colle quali si difendeva dall'accusa di non aver fatto un progetto abbastanza monumentale, l' architetto Giuseppe Mengoni, allorquando non s'immaginava certo che il parossismo della monumentalità dovesse poi condurlo a concretare quel Piano generale di completamento della Piazza del Duomo, in nome del quale si vorrebbero ora giustificare ed assolvere nuovi errori edilizii. Recentissima Pubblicazione LUCA BELTRAMI e GIUSEPPE MENTESSI — Raccolta di Motivi decorativi per l' Insegnamento del Chiaroscuro nelle Scuole. - Tavole 25 in Eliotipia, con prefazione. L. 12 Presso le Ditte Artaria di F. Sacchi e Figli e Antonio Grandi - Milano. 0001.txt***********************************************

ARCHITETTO LUCA BELTRAMI

DISPARERI IN MATERIA D'ARCHITETTURA E DI PROSPETTIVA NELLA QUESTIONE DEL PROLUNGAMENTO DEL LATO SETTENTRIONALE DELLA PIAZZA DEL DUOMO Le ragioni di prospettiva, grazie a Dio, sono ragioni di geometria, la quale tra tutte le altre cose del mondo è quella che meglio si presta a soluzioni chiare e precise.

CARLO CATTANEO, Sulla Piazza del Duomo di Milano nel POLITECNICO, Anno I835.

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sOCIETà sTORICA LOMBARDA

MILANO TIPOGRAFIA F. PAGNONI


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COLLEGIO degli INGEGNERI ED ARCHITETTI MILANO Milano, 29 Dicembre 1886.

Egregio Signore. Il Socio Signor Arch. Beltrami Cav. Luca ha fatto omaggio a tutti i membri del Collegio della sua memoria, testè pubblicata, sulla questione del completamento della piazza del Duomo. Nell' accompagnare a V. S. la unita copia, questa Presidenza si fa dovere di segnalare il pregevole dono. Colla massima stima Il Presidente C. BERMANI. Il Segretario T. MAGRIGLIo.


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DISPARERI IN MATERIA D'ARCHITETTURA E PROSPETTIVA


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ARCHITETTO LUCA BELTRAMI

DISPARERI IN MATERIA D'ARCHITETTURA E DI PROSPETTIVA NELLA QUESTIONE DEL PROLUNGAMENTO DEL LATO SETTENTRIONALE DELLA PIAZZA DEL DUOMO

Noi non sappiamo ciò che avverrà in seguito della nostra Piazza del Duomo : ma chi ha immaginazione e senso dell'arte rifuggirà sempre da una grandezza la quale non risulti dalla ricchezza del pensiero ma da una meccanica ripetizione di un meschino elemento; e nei suoi desiderii vagheggerà piuttosto una varia e magnifica aggregazione di edifici i quali, nel cuore della città, esprimano la piena e multiforme esistenza di una vera città.

CARLO CATTANEO, Sulla Piazza del Duomo di Milano nel POLITECNICO, Anno I839.

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La questione del prolungamento del lato settentrionale della Piazza del Duomo venne - nelle sue linee generali - risolta dal voto unanime del Consiglio Comunale nella seduta del 14 luglio u. s. Il voler riprendere tale questione coll'intento, e più ancora colla persuasione di ottenere un mutamento nelle opinioni e nelle deliberazioni già prese a tale riguardo, potrà quindi sembrare cieca ostinazione, fors'anco ingenuità. Ciò malgrado, io non esito ad intraprendere, con tale intento, la esposizione di quelle idee e di quelle conclusioni che mi mantengono in un ordine di idee diametralmente opposto a quello che venne accolto dal Consiglio Comunale, perché - qualunque possa essere l' esito della lotta di sentimenti artistici che si svolge intorno tale questione - io sento tutto il dovere di compiere con ciò uno stretto dovere di cittadino e di artista, non essendo privilegio degli egregi fautori della tesi contraria il poter asserire di « combattere per decoro artistico della città nostra. »


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Per trattare seriamente e ponderatamente il problema edilizio attuale, è necessario risalire alla questione generale e più complessa della Piazza del Duomo, e ciò allo scopo di stabilire un vero punto di partenza spoglio di quelle inesattezze e di quegli equivoci i quali - benché possano facilmente essere mascherati collo splendore della frase e colla eleganza del discorso - non cessano per questo di appoggiarsi a ragioni molto vaghe e superficiali. Analizzare i difetti d' origine della Piazza del Duomo, gli errori e gli ostacoli che si verificarono nel suo svolgimento, per rintracciare e giudicare, alla stregua di questi dati di fatto, le conseguenze delle deliberazioni prese o che si vogliono prendere in tale argomento, ecco il còmpito che io mi propongo. E se mi verrà fatto di dimostrare che i concetti formulati nell' Ordine del Giorno del 14 luglio u. s. (1) nei n.i 3 e 4 non sono nè utili nè necessarii, io potrò dire di aver vinto la causa che combatto per il decoro artistico della città nostra e del nostro massimo monumento.

(1) L'Ordine del Giorno fu il seguente : Il Consiglio Comunale, Considerata la eccezionale gravità della questione delle nuove costruzioni che devono sorgere lungo il lato settentrionale della Piazza del Duomo, e la necessità che essa sia oggetto di studii ulteriori, onde le nuove costruzioni possano corrispondere al carattere di monumentalità degli edificii circostanti, Sospendo per ora ogni deliberazione in proposito; prega la on. Giunta perchè, in seguito a nuovi studii e ad opportuni accordi coi proprietarii onde conciliare gli interessi dell' edilità cittadina con quelli delle finanze comunali, voglia in una prossima convocazione del Consiglio presentare un definitivo progetto, presi in considerazione i concetti seguenti: 1.° Arretramento sulla linea della fronte mengoniana fino alla sua intersezione con quella generata dal prolungamento della fronte di Camposanto, di là piegando ad angolo fino a raggiungere lo sbocco di via Agnello. 2.° Continuazione dei portici ad arco per la prima tratta di arretramento, serbato il livello col portico mengoniano. 3.° Coordinamento dei nuovi agli edifizii monumentali del medesimo lato, serbate costanti, per la prima tratta, l'altezza e le ricorrenze dei maggiori scomparti orizzontali. 4.° Imbocco ad angolo retto della via di Santa Radegonda per una tratta non minore di m. 20.


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L'idea di formare attorno al Duomo una piazza, per modo da mettere in rilievo tutta l'imponenza del massimo monumento cittadino, è stata l'aspirazione secolare del popolo milanese (1): aspirazione la quale, quanto fu continuamente contrastata dalle vicende politiche ed edilizie della città, altrettanto si mantenne viva, ed insistente, cosicchè il rinnovamento edilizio cui Milano s'accinse, appena tornata a libertà, si imperniò sulla questione della Piazza del Duomo. Sgraziatamente questa idea popolare, la quale, lungamente meditata sembrava dovesse presentarsi matura alla soluzione, ebbe a subire fin dai primi passi del suo sviluppo, la influenza di opinioni traviate, per modo da fallire completamente la meta. Mentre il punto di partenza più naturale e logico del problema doveva consistere nel concetto di una piazza subordinata al monumento del quale doveva costituire il complemento, la questione venne ad impiantarsi sul concetto esclusivamente soggettivo di una piazza monumentale, monumentale per sè, senza tener calcolo, anzi a dispetto di quella massa essenzialmente artistica e decorativa che ne doveva essere il nucleo, il centro d'attrazione, la nota dominante cui bisognava coordinare ogni linea ed ogni motivo della piazza. E' mancata, fin dai primi passi, la percezione netta, precisa, degli elementi che devono concorrere a formare una piazza, e dei

(1) « Proposito quod ampliatio plateae, facta inter tenentes spatia terrae ante portam de medio pradictae majoris ecclesiae, cedit decori et ornamento tam pradictae ecclesiae praesidentibusque ejusdem, quam totius civitatis, resque ista non solum valde ab ill.mo dom° Ludovico Maria, sed etiam a toto populo exitit laudata... » 15 novembre 1489, Annali della Veneranda Fabbrica del Duomo.


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requisiti necessarii a dar vita a questa: sintomo sconfortante pel senso pratico delle masse d'oggidì, poichè non v'ha forse altro argomento edilizio che più di questo della piazza sia in noi spiccatamente tradizionale e si presenti altrettanto ricco per numero e varietà d'esempii. Per una città la quale , all' epoca cui risaliamo , serbava ancora intatto l'orgoglio medioevale per la propria Cattedrale, e si addensava e si raggruppava disordinatamente attorno a questo monumento quasi volesse viverne all'ombra, per una città priva quasi completamente di tutti quegli edifici specialmente destinati alle varie manifestazioni ed esigenze della vita pubblica, era veramente un' occasione rara quella che si presentava nel problema della piazza del Duomo, per risolvere questo conforme alle nostre tradizioni. Senza storpiare o scomporre l'irregolare, ma pur logico organismo della città, senza perder di vista il punto fondamentale della questione, il vero caposaldo, il Duomo, bastava seguire il concetto di provvedere ai bisogni della viabilità nella giusta misura e di spiegare attorno al monumento il libero contrasto degli effetti decorativi che possono presentare quegli edifici nei quali si riassumono a grandi pagine tutte le vicende del passato, le prosperità e le promesse d'avvenire della città, per arrivare così, senza grandi sforzi , ad un risultato che sarebbe stato la vera figliazione del concetto italiano della Piazza Maggiore, della Piazza Comunale, di quella piazza che costituisce la vera fisionomia della città, l'espressione fedele della sua vita e del suo carattere. Si noti che fin dal 1838 - epoca nella quale l'Amministrazione Comunale aveva deliberato di intraprendere l'esecuzione della Piazza per dedicarla all'imperatore Ferdinando I, venuto in quell' anno ad incoronarsi in Duomo - non era mancata la voce di un uomo di buon senso per metter in guardia l' opinione pubblica contro le fatali conseguenze che poteva apportare l' effettuazione di un progetto ciecamente monumentale: Carlo Cattaneo, analizzando il problema della Piazza, osservava fin da quell'epoca, nel Politecnico : « Una piazza destinata ad aggiungere magnificenza ad un edificio deve primamente coordinarsi ad esso. Nel medesimo tempo, consistendo essa in una certa disposizione delle fabbriche circostanti, non può svincolarsi del tutto dalle loro necessarie condizioni. Quando poi si tratta di aprirla nel mezzo d'una antica città, bisogna pure tenerne in qualche conto


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la costruzione generale ; perchè fare una piazza non è rifare una città. La nostra piazza dovrebbe adunque riescire un mezzo-termine sagace fra la pianta civica e quella del Duomo. A questo punto le difficoltà sono molte. Perchè, mentre il Duomo, perfettamente orientato come vuole l'uso vetusto, si presenta ai quattro venti, la direzione quasi generale della più interna e antica parte della città gli riesce obliqua; cosicchè la più estesa ed agevole rettificazione dell'abitato non si collega colla giacitura del Duomo; ed è mestieri che l' arte non dimentichi di velare questo disaccordo, o di conciliarlo. » E, venendo poi all'esame di alcune idee messe avanti in quella circostanza, e basate sulla vacua grandiosità di una uniforme decorazione riprodotta sui quattro lati di un vasto rettangolo, osservava come le quattro linee nella sterile loro uniformità, invece di far transizione tra la città e il Duomo, verrebbero a crescerne la sconnessione e il contrasto, essendochè renderebbero assai più manifesta l'obliquità della Corte, della Piazza Mercanti e dei due Corsi verso le Porte Orientale e Ticinese. » E quindi concludeva: « Il pensiero di una piazza unica e uniforme, a simiglianza d'un lazzaretto bislungo involge dispendio impossibile, spazii inutili da una parte, meschini dall'altra, disaccordo colle libere altezze e sporgenze del Duomo , contrasto col piantato della Corte e delle tre vie principali, e, ciò che più monta, una tediosa povertà d'effetto. » Non si poteva più esattamente e più minutamente prevedere tutti gli inconvenienti che si ebbero poi nella Piazza del Duomo per la trascuranza assoluta di senso pratico nella sua effettuazione. A queste considerazioni non si limitava Carlo Cattaneo, ma passava a metter in rilievo l'insegnamento che dalla massa del Duomo poteva e doveva ricavare chi si accingeva al problema della piazza. « Qual è la ragione per la quale lo sguardo non si stanca mai di ritornare al Duomo? E perchè da poche file di piloni, acuminati al disopra in aguglia, collegati fra loro con un recinto e coperti con una volta, l' uomo di genio seppe ricavare un tale intreccio di linee, di piani, di risalti, di fughe che, all' avanzar d'un passo o al salir d'un gradino, tutte quelle forme sembrano muoversi armonicamente intorno a noi, alzarsi, abbassarsi, scomporsi e ricomporsi in nuovi pensieri, come se la pietra non avesse peso o cemento, e fosse mobile come l'idea.


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Non è a dirsi per questo che si debbano stipare tanti pensieri diversi quanti sono gli aspetti del Duomo, e trar linee d' ogni parte a mero caso. Quando noi afferrassimo un pensiero di rara bellezza, potrebbe anche darsi il portento che la posterità se ne innamorasse tenacemente e lo inoltrasse di lato in lato fino al compimento dell' intero circuito. Ebbene, trovateci questo pensiero, mettiamolo alla prova dell'opera, incorporiamolo su uno spazio regolare, ma sia tale che possa stare da sè, che la posterità possa adottarlo e riprodurlo, ma possa anche lasciarlo solo e proseguire in altro modo senza deformità. Nessuna ragione ci vieta d'avere a lato al Duomo una Corte e un Palazzo Arcivescovile, a tergo una chiesa succursale, un orologio, un portico, di fronte una piazza rettilinea, dall'altro lato altri spazii, altri edifici, altri pensieri. Perché stendere il livello dell'uniformità sulla Corte e sulle chiese, sui palazzi e sulle botteghe? Perchè mascherare e falsare sì diversi offici e sì diversi destini? Intorno a un tempio svariato e fantastico avremo le svariate e naturali apparenze d' una città che ha già vissuto almeno ventiquattro secoli, e non può essere condannata ad affondarsi tutta sotterra per risorgere quadrettata come un panno scozzese. »


Codeste considerazioni, esposte così chiaramente e così semplicemente, non trovarono però un terreno propizio nell'opinione pubblica fuorviata da una causa maggiore, vale a dire dall'intervento di quei concetti teorici, di quelle aspirazioni rettoriche, e di quelle reminiscenze vitruviane che, come osservava lo stesso Carlo Cattaneo « non sanno elevar la mente ad una idea che metta senso e vita negli atomi dell'arte. » Non v'è fra noi chi, a Venezia davanti alla Piazza di S. Marco, o alla Piazzetta, a Firenze o a Siena davanti alle Piazze della Signoria o del Comune, non senta fortemente l'impressione che quelle varie soluzioni d' uno stesso tema producono per l' assenza completa d' ogni proposito e di concetto ligio ad uniformità di riscontri, a leggi di simmetria o a vincoli di ricorrenze. All'atto pratico però, questo vero e sano entusiasmo che ognuno di noi sente per così vive e libere manifestazioni dell' arte, si raffredda, si spegne sotto l'incubo di un complesso di formole, regole e canoni di proporzioni, teorie di riscontri, ricette empiriche, massime convenzionali colle quali riesce


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troppo facile alla mediocrità il simulare un senso qualsiasi d' arte. Questo contrasto fra la facile e spontanea impressione dell'arte quale si presenta libera e pratica nel medioevo, e la misurata e fredda influenza di dottrine e precetti, ultima eco, lontani bagliori d' un' epoca classica, costituisce oggidì il più grave ostacolo allo svolgimento di qualsiasi concetto originale, caratteristico. La piazza è per sè stessa la scena, il campo d'azione della vita pubblica: la sua configurazione quindi si deve adattare a questa. Era naturale che nell' antichità si svolgesse in composizioni armonicamente castigate, solennemente equilibrate, tendenti a costituire un punto di vista unico, eliminando di proposito qualsiasi manifestazione della vita privata: il tempio , la basilica , il teatro, il foro, vi formavano un assieme che sembrava dovesse servire di fondo allo svolgimento logico, chiaro, sintetico d'una tragedia. Ma, allorquando, nel medio evo la vita pubblica e sociale , collo svolgimento delle individualità presentò un aspetto vario, mutabile, a contrasti, il concetto della piazza cambiò radicalmente: la vita cittadina vi affluì da ogni lato, mettendovi nettamente l'impronta dell'iniziativa privata, cosicchè la piazza si svolse con tutta la libertà di concetto e la indipendenza di forme e di caratteri: sembrava - per terminare il contrasto - che la piazza così trasformata dovesse servire di fondo allo svolgimento mutabile, imprevisto, a colpi di scena, di una commedia. Ammessa la radicale differenza degli ambienti sociali che hanno inspirato e svolto in modo così opposto uno stesso tema, non è possibile l'applicare allo stato presente della società, - in cui la manifestazione e l'iniziativa, individuale hanno raggiunto un estremo sviluppo - quel concetto che forma l'estrinsecazione di un altro stato sociale ormai affatto scomparso. Ma non basta aver presente questa diversità di concetto nella piazza: bisogna ricordare altresì come la legge delle proporzioni negli edifici antichi non sia la stessa degli edificii medioevali: basta paragonare fra loro alcuni monumenti antichi per riconoscere come tutti siano coordinati - tanto nell'assieme che nel dettaglio, ad una proporzione relativa : sia grande o piccolo , nel monumento non si tiene calcolo delle dimensioni reali, diremo umane. Il piccolo edificio non è che una riduzione di uno grande , il grande si può considerare come l'esagerazione di uno piccolo. Si hanno, per esempio, nei tempii greci e romani dei gra-


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dini alti più di mezzo metro, che bisognò poi suddividere e frazionare là dove si volle potessero realmente servire come gradini. Il S. Pietro di Roma, è un tipo immenso di esagerazione di questa proporzione antica, e il suo merito, che sta nella esattezza delle proporzioni nelle singole parti, vi forma il difetto capitale, quello per cui le dimensioni del monumento non figurano quali sono veramente, e ciò per l' assenza di una unità comparativa inerente al monumento stesso. Negli edifici medioevali invece, nelle cattedrali e nelle chiese specialmente, si riscontra sempre infallantemente l'applicazione di una legge fissa invariabile, quella delle proporzioni umane sostituite alle proporzioni relative: il monumento, sia grande o sia piccolo, ha i suoi elementi costruttivi o decorativi di dimensioni quasi costanti perchè in essi l' uomo serve, diremo, di unità di misura, cosicchè una chiesa appare grande quand'essa è realmente grande e piccola quando è piccola: ognuna dà rigorosamente e matematicamente l'idea di ciò che è, poichè la loro proporzione ha un termine fisso, un' unità invariabile colla quale si può apprezzare la dimensione vera d'ogni parte, e questo termine è l'uomo. Ecco il principio fondamentale che gli artisti del medioevo hanno compreso e pei primi applicato con tanto successo: ecco il principio che bisognava rispettare ed applicare scrupolosamente nella decorazione della Piazza del Duomo, sia per rispetto alla destinazione pratica degli edificii che la dovevano costituire, sia in omaggio al risultato che lo stesso principio aveva già splendidamente ottenuto nell' effetto monumentale del tempio. Si può ideare - e lo si è fatto più volte - una piazza grandiosa e monumentale nel senso antico, e lo si è fatto ogni qualvolta s'ebbe il campo libero per svolgerne il motivo senza vincoli od esigenze da superare, ogniqualvolta si volle che la piazza dovesse costituire per sè stessa il monumento: ma gravissimo errore è, e sarà sempre il voler tentare tale concetto allorquando questo non può a meno d'essere in aperta contraddizione colla vita pubblica, una violazione delle esigenze di questa e quindi una maschera alla sua vera e spontanea estrinsecazione. « Fare una piazza non è rifare una città, ha detto Carlo Cattaneo. Una piazza è uno spazio libero fra diversi edifici. La più adatta sua decorazione sarà adunque quella che meglio corrisponde alla natura degli edifici stessi: e quindi sarà secondo i casi, quella che più si


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conviene ad una Chiesa, o ad una Corte, o ad una Borsa o ad un Teatro, o ad un Tribunale, o ad una linea di case a porticato per uso di commercio e di passeggio. Qual' è la decorazione della piazza di Venezia ? E tanto quella del Palazzo ducale, quanto quella del tempio di S. Marco, quella delle Procuratie Vecchie e quella delle Procuratie Nuove. L'architettura non deve far bugie; una città deve far bella e sincera mostra di sè: non deve appiattarsi dietro una cortina di muraglie false. » Ciò malgrado, il concorso bandito venticinque anni or sono per la Piazza del Duomo ebbe a subire completamente il traviamento dell'opinione pubblica. Il Mengoni, il quale, a molte qualità di architetto, sapeva opportunamente accoppiare una grande pratica dell'ambiente sociale, non tardò a scorgere il lato debole della questione, quello dal quale era possibile arrivare al risultato di soddisfare o meglio impressionare l'opinione pubblica. Egli che logicamente avrebbe dovuto partire dallo studio fondamentale, tanto dell' organismo topografico della città che delle esigenze da soddisfare mediante l'opportuna destinazione degli erigendi fabbricati - per arrivare così gradatamente a quella soluzione pratica del quesito la quale, spontaneamente, e senza gravi difficoltà sarebbe riuscita altresì in armonia colle esigenze estetiche del monumento che ne doveva formare la nota dominante - invertì e mutilò tale procedimento logico, partendo dal punto cui doveva arrivare, e cioè proponendosi o imponendosi dapprima un tema, e cercando poi di adattarvi,o meglio assoggettarvi tutte le esigenze della questione. Gli è ch'egli aveva compreso come, anzichè persuadere con ragioni, fosse più facile colpire l' immaginazione e come alle aspirazioni incerte e retoricamente classiche, non potesse corrispondere che la facile e superficiale scenografia. Ne risultò quindi un concetto così teorico nel suo complesso, da presentare un assieme di fabbricati che vollero essere palazzi, benchè destinati a privata abitazione, soverchiando e schiacciando gratuitamente quegli edifici che erano o dovevano essere considerati monumentali, falsando il rapporto umano nelle dimensioni, a puro dispendio e a discomodo delle abitazioni, e falsandolo appunto là dove i pregi caratteristici che danno grandiosità al Duomo rendevano più che mai necessario e


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prezioso il conservare il rapporto umano nelle dimensioni degli edifici circostanti (1). Ne risultò un concetto così astratto nel suo organismo, da non legarsi menomamente coll' impianto topografico della città cosicchè, quanto era stato facile il tracciare sulla carta dei rettilinei monumentali, altrettanto si presentò difficile il collegare e l'immedesimare questo tracciato, il quale - compiuto in parte - rimane ancora oggidì come intruso nella planimetria della città. Eppure bisogna essere indulgenti verso l' architetto Mengoni allorquando si pensi che la 3a Commissione, nominata per giudicare il concorso, così riferiva al Consiglio Comunale il 15 settembre 1863 riguardo al progetto Mengoni: « Le decorazioni tolte in parte alle fabbriche toscane dei tempi medii ed in parte allo stile dell'ultimo periodo del cinquecento, quantunque abbastanza felicemente applicate in alcune parti, furono trovate senza sufficiente movenza. Eleganti nella loggia e nel fabbricato d' ingresso alla via Vittorio Emanuele, riescono alquanto modeste e disadatte nel corpo di fronte al Duomo e nei corpi laterali. Al tutto manca quella grandiosità e quello splendore di forme che, anche serbando i debiti riguardi alla destinazione degli edificii, sono necessarie ad imprimere alla piazza un carattere monumentale. » Edificii alti quasi quaranta metri erano giudicati semplicemente eleganti, il palazzo della Indipendenza alto più di 36 metri si considerava modesto e disadatto: e si rimproverava all'architetto « di essersi scostato da quel concetto architettonico complessivo dal quale dovesse risultare l'idea d'una piazza appositamente costrutta ! » Quale traviamento del senso comune! E così pure bisogna esser indulgenti verso l'opinione pubblica che si lasciò affascinare da tutti i lenocinii d'esecuzione e gli artifizi di disegno della veduta prospettica della piazza Mengoniana, quando si pensi che, altrettanto facilmente, si lasciò affascinare il Giurì il quale, tuttochè composto di architetti e professori di prospettiva , sanzionò il verdetto (1) Per comprendere come la grandiosità di un edificio non dipenda dalla sua altezza, ma dalla proporzione delle varie sue parti, basterebbe aver presente le altezze di alcuni edificii monumentali più noti: il Palazzo di Brera a Milano non arriva a m. 19 d'altezza, e il Palazzo Marino tocca appena i m. 24 al cornicione, e sono due veri palazzi. Il Palazzo Ducale di Venezia, così grandioso d'effetto, è pure alto m. 24,00, mentre le Procuratie Vecchie sono alte solo 20 metri, o la loggia dei Lanzi, tanto imponente nelle suo linee, non oltrepassa i m. 24.


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popolare senza neppure avvertire - e pare a noi cosa incredibile - come l'effetto imponente che presentava il disegno era esclusivamente basato sull'artifizio della scelta di un punto di vista puramente immaginario, poichè situato lungo la verticale passante per l'aguglia maggiore del Duomo; cosicchè tale effetto imponente del disegno ammetteva implicitamente la nec essità di levare e distruggere tutte le navate della Cattedrale per essere effettivamente raggiunto. Ma l'opinione popolare, impaziente, affascinata, sorvolò a tutto: si voleva una piazza, la si voleva monumentale: questo bastava. Il resto, e cioè « l'intrattabilità degli accidenti locali che si rivelavano nel piano Mengoniano » i dubbi che il concetto fosse troppo grandioso, e che la piazza toccasse l'estremo dell'ampiezza, tutti questi quesiti che richiedevano ulteriori studi, si considerarono cose astratte e si abbandonarono all'architetto. L' intelligenza umana però, per quanto pronta ed audace, se può arrivare a vincere le difficoltà non può sopprimerle. Il concetto Mengoniano, nato dall'artifizio, rimase ben presto da questo stesso artifizio soffocato: le difficoltà le quali nei disegni e nelle vaghe e sconnesse discussioni di commissioni si erano potute facilmente nascondere o tacere, riapparvero all' atto pratico più gravi e rese insormontabili. La larghezza della Piazza apparve ben presto non proporzionata nè allo sfondo nè alle esigenze, o più esattamente in tal caso, ai comodi della viabilità: si rese evidente l'inopportunità, per non dire l'impossibilità, del palazzo di fondo: spaventò l'idea di una Loggia la quale non dovesse essere che il riscontro simmetrico dell'arco d'ingresso della Galleria Vittorio Emanuele, quasi contrappeso necessario ad un equilibrio estetico immaginario: si vide che questi edificii colossali, nel mentre non bastavano a mascherare le tristi realtà degli sbocchi angolari, venivano a schiacciare la massa del Duomo. Il concetto si era presentato completamente fallito dacchè i milioni profusi non ci avevano dato nè le vagheggiate proporzioni armoniche della piazza, nè la possibilità di svilupparvi un concetto completo, nè il miglioramento desiderato per l' effetto monumentale del tempio.


Dopo tutto questo antefatto, dopo questa lunga serie di errori e delusioni che avrebbero dovuto apportarci almeno


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il frutto dell'esperienza, non dovrebbe esser concesso di riprendere la questione della Piazza del Duomo coll'entusiasmo, le aspirazioni, i facili ideali di vent'anni or sono. Eppure con grande nostra maraviglia non sono mancati nel seno del Consiglio Comunale i sostenitori del concetto Mengoniano come se questo potesse presentare tutte le attrattive, le seduzioni, e il miraggio col quale si era presentato molti anni or sono. Infatti l' on. Massarani , nella seduta consigliare del 14 luglio u. s. ebbe a dire non esservi « nessuna maggiore opera edilizia in Milano che il compimento della Piazza del Duomo: o rinviarla dunque o fare che si eseguisca in modo degno. » E dal canto suo l' on. Sala Gerolamo dichiarava che « il concetto del Mengoni, in grandissima parte attuato, deve prevalere, come prevalgono i fatti compiuti in ogni futura deliberazione. » Orbene nulla di più superficiale ed incerto di queste due asserzioni. Che il concetto Mengoniano, quale lo intende l'on. Sala, non sia in grandissima parte attuato, è cosa la quale appare anche ai meno intelligenti in materia architettonica, e che il compimento del concetto stesso sia ormai cosa impossibile, è cosa la quale appare facilmente a chiunque voglia darsi la pena di andare un poco addentro nelle cose, e non si accontenti della fugace impressione di una frase. Questo proposito, con tanta sicurezza accampato dagli onorevoli Massarani e Sala, di continuare il concetto Mengoniano deve necessariamente includere l'intima persuasione di poter completare il concetto stesso: non si potrebbe comprendere altrimenti il voler mirare ad un risultato che non si potesse raggiungere. E qui è necessario stabilire cosa si debba intendere per concetto Mengoniano. Il progetto Mengoni ebbe due fasi: la prima è quella dei Concorsi banditi dal 1860 al 1863, quando il progetto si limitava alla parte anteriore della piazza del Duomo, quella che risultava nella famosa prospettiva, e precisamente era costituita dal Palazzo dell'Indipendenza di fronte al Duomo, dall'arco della Galleria Vittorio Emanuele a destra, dalla Loggia Reale a sinistra e dai tre corpi di fabbrica, l'uno laterale alla Loggia, gli altri fiancheggianti l'arco della Galleria. Questo progetto, il quale - ad eccezione della Loggia Reale e del Palazzo di fondo - venne effettuato, presentava uno sviluppo lineare di metri 400. Successivamente il Mengoni compilò un « Piano di completamento del progetto approvato della


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Piazza del Duomo » il quale piano costituisce la seconda fase del progetto. Questo piano di completamento, oltre alle opere già menzionate, comportava le seguenti: 1.° Prolungamento del fianco settentrionale della piazza, fino al risvolto nel Corso Vittorio Emanuele, coll' identica architettura dei fabbricati della piazza e collo sbocco di Santa Radegonda mutato in sottopassaggio; 2.° Demolizione del fabbricato dell'Amministrazione della Veneranda Fabbrica del Duomo e di tutte le fabbriche dell'isolato fra Via Pattari e la piazza del Camposanto, nonchè di porzione dell' isolato fra Via Pattari e Via Beccaria, per portare il fondo della piazza a quasi m. 100 dall'abside, secondo una linea dividente quasi per metà la piazza Fontana attuale, progettando per questo fondo, dei fabbricati dell' altezza di circa metri 37,00; 3.° Riforma radicale della parte del Palazzo Arcivescovile prospiciente la piazza del Camposanto e il fianco del Duomo, per rivestire detto palazzo colla decorazione generale della piazza - senza tener calcolo nè dell'ossatura dell'edificio, nè delle ricorrenze della decorazione interna; 4.° Costruzione di un motivo simmetrico alla Loggia Reale in corrispondenza alla testata dell' ala destra del Palazzo di Corte il che includeva la costruzione di una massa architettonica alta m. 40 ad una distanza minore di m. 18 dalla sporgenza del Capocroce della Cattedrale; 5.° Costruzione di un porticato con superiore loggiato, a collegamento di questi due motivi simmetrici e ciò allo scopo di segregare o mascherare la insenatura del Palazzo di Corte. Tutto questo costituiva un assieme decorativo che si svolgeva su di un perimetro di circa mille e cento metri.


A questa seconda fase del progetto Mengoniano, è duopo riportare qualsiasi deliberazione riguardante la piazza allorquando si dichiara che si mira al completamento del concetto Mengoniano. Poichè è naturale che, se si crede ancora oggidì possibile l'effettuazione del piano generale, è necessario evitare qualsiasi deliberazione parziale non conforme a questo piano generale, come sarebbe quella che ci preoccupa attualmente, la quale non riguarda che una tratta di m. 120 senza tener calcolo del progetto d'assieme, giacchè lo altera coll'am-


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mettere la continuazione del lato settentrionale con una decorazione differente da quella già esistente. Ora, può questo progetto d'assieme essere effettuato? Si è già detto come siasi tacitamente rinunciato a due parti principali del progetto primitivo, vale a dire il Palazzo della Indipendenza e la Loggia Reale. Il Palazzo della Indipendenza è già definitivamente condannato dall'opinione pubblica e non varranno certo le aspirazioni di una piazza simbolica a sopprimere le sempre maggiori esigenze della viabilità, la quale vi ha già sanzionato veramente un fatto compiuto. Si dovrà pensare - col tempo - a riformare il fondo della Piazza, ma non già, speriamo, per applicarvi le dimensioni e le ricorrenze Mengoniane. La Loggia Reale - per quanto sia stata giudicata una delle parti migliori del concetto Mengoniano - è pure condannata: lo stato attuale della piazza permette, anche ai meno intelligenti in materie architettoniche, di comprendere e misurare l'effetto disggradevole che produrrebbe un motivo ancora più grave e massiccio dell'arco della Galleria Vittorio Emanuele, appicciccato alla modesta e debole architettura del Piermarini; tutto ciò per avere una loggia - vale dire un motivo architettonico complementare - la quale verrebbe a sopraffare l'organismo principale. Il Mengoni aveva bensì, nella già menzionata prospettiva, dissimulato artificiosamente il vero rapporto della massa della Loggia rispetto a quella del Palazzo di Corte: ma l'artificio non può più reggersi dinanzi alla evidenza dei fatti (1). Della possibilità, o piuttosto della opportunità di riformare la fronte dell'Arcivescovado si potrà discutere fin d' ora, non però in base al concetto di applicarvi una decorazione la quale non avrebbe nessun nesso, nè colla destinazione, nè coll'ossatura dell'edificio. E parimenti non crediamo che l'edificio dell' Amministrazione della Veneranda Fabbrica del Duomo, per quanto all'epoca della recente sua costruzione abbia sollevato molte recriminazioni, ci faccia invocare e desiderare una prossima demolizione al solo scopo di sostituirvi, quando anche a maggior distanza dal Duomo, una costruzione dell'altezza vertiginosa di m. 37, quale la immaginava il Mengoni. (1) Tale contrasto, ad onor del vero era stato segnalato dalla Commissione esaminatrice del progetto Mengoni la quale « lodò il pensiero della Loggia Reale benchè avesse a notare la discrepanza di quel corpo a forme gigantesche cogli altri fabbricati e collo stesso Palazzo Reale al quale fu applicato. » (Relaz. al Cons. Com. 15 Sett. 1863).


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Si può quindi, con retto criterio, sostenere al giorno d'oggi di voler completare la decorazione del lato settentrionale della Piazza, conforme al concetto Mengoniano, quando pei due lati Est ed Ovest si è dovuto rinunciare completamente a questo concetto, quando per il lato meridionale mancano tuttora ed irremissibilmente i 7/8 di decorazione progettata? A quale scopo, di fronte alla impossibilità di iniziare due lati della piazza e di completare il terzo, si vorrà ciecamente ostinarsi a completare il lato settentrionale? Si verrebbe forse con ciò a risolvere il problema, oppure non si verrebbe a comprometterlo e complicarlo maggiormente? Il volere pertanto riportarsi al concetto Mengoniano deve solo intendersi, ci pare, nel limite più ristretto nel quale il concetto stesso venne approvato, trascurando affatto la seconda fase, quella del progetto complessivo di una piazza rettangolare uniformemente decorata, nella quale le esigenze della simmetria avrebbero reso necessaria la trasformazione di nove sbocchi di vie in sottopassaggi. Ora il concetto Mengoniano al quale dobbiamo restringerci, quello che fu approvato, benchè non sia che la terza parte del concetto generale, non si è potuto effettuare completamente, avendo le circostanze sconsigliato, come già si disse, la costruzione di due delle sue parti principali, quali il Palazzo di fondo e la Loggia Reale. La questione, ridotta all' evidenza delle cifre, è questa: che un piano generale riguardante un perimetro di 1100 metri, approvato solo per uno sviluppo di m. 400, non si è potuto effettuare che per una tratta di m. 290, e cioè in una piccolissima parte.


La questione edilizia presente, non potendo esser riferita nè al piano generale nè al progetto approvato, deve quindi esser considerata soggettivamente in sè stessa, nel senso di vedere e ponderare quali siano i difetti e i vantaggi che potranno derivare dal continuare o non continuare l'altezza di m. 31 per tutto il lato settentrionale della Piazza. Cominciamo dall' esame della soluzione ammessa in massima, o per lo meno non esclusa, dal Consiglio Comunale. Si è detto esser necessario continuare l' altezza di m. 31 per evitare lo sconcio di un salto nelle ricorrenze principali del lato settentrionale della piazza. A ciò si può rispondere: potrebbe infatti effettuarsi uno sconcio qualora quest'altezza


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di m. 31 corresse invariata per tutta la tratta attuale di m. 210 circa, e quindi marcasse già una linea così rigida, da richiedere per il suo maggior effetto uno sviluppo completo, una fuga molto più estesa. Ma l'altezza di m. 31 non corre che per due tratte di m. 80, ed è interrotta - per circa m. 60 - dalla linea più alta dell'arco della Galleria V. E. e dagli sfondi a terrazzo laterali: il Mengoni stesso ha quindi abilmente evitato quella rigidità di linee orizzontali che ora tanto appassiona i livellatori dell'arte e, in omaggio allo stesso criterio, si proponeva di costruire il palazzo di fondo con altezze e ricorrenze orizzontali affatto indipendenti da quelle dei fianchi. Non vi può essere quindi uno sconcio per la differenza d'altezza da m. 31 a quella regolamentare di m. 24, considerato altresì come fra queste due differenti altezze s'interponga lo sbocco della Via S. Raffaele. Per chi fosse, a questo riguardo, ancor poco persuaso, richiameremo l'esempio di due variazioni d'altezza identiche a quelle che ci preoccupano, e che si presentano nella via Carlo Alberto, fra le due testate dei fabbricati Mengoniani e i fabbricati d' angolo delle Vie Dogana e Carlo Cattaneo, di altezza regolamentare, variazioni che - come ognuno può, con poca fatica , riscontrare - anzichè uno sconcio producono un effetto e un movimento di linee tutt'altro che spregevole. A parer nostro, invece molti sconci ed inconvenienti si avranno dal partito di continuare l'altezza attuale e cioè: 1.° Si avrà lo sconcio di uno sbocco nel Corso Vittorio Emanuele - via di sezione limitata - con una altezza eccezionale, eccessiva, la quale verrà a contrastare con tutti gli edificii del Corso e specialmente con quello della Amministrazione della Veneranda Fabbrica del Duomo, che gli si troverà di prospetto con una altezza la quale non arriva ai m. 24. Il salto di linee, che tanto si teme avvenga in Via S. Raffaele, non sarebbe evitato, ma solo spostato, coll'aggravante che si presenterebbe tanto rispetto al Corso, che rispetto all'altro lato della piazza, quello di fondo, e quindi sarebbe visibile da un maggior numero di punti di vista. 2.° Si avrà l' inconveniente di rompere nel lato settentrionale l'equilibrio del partito Mengoniano, il quale, come ora si trova, presenta un asse nell'arco della Galleria V. E. e due edificii laterali perfettamente simmetrici, formando così un motivo completo che fa da sè e può giustificare - finchè si trova nella condizione attuale - la eccezionale altezza dei fabbricati fiancheggianti l'arco.


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3.° Si avrà un altro sconcio dal continuare le ricorrenze orizzontali senza mantenere l'unità di decorazione, poichè tali ricorrenze - ad eccezione di quella necessaria e assai pronunciata del portico - non si potranno all'atto pratico apprezzare e non raggiungeranno quindi quello scopo cui si mira, che è di dare, o piuttosto simulare l' effetto di continuità in tutto il lato settentrionale. A tutti questi inconvenienti si aggiunga quello dello sbocco, nella piazza, di una via larga m. 6 come è quella di Santa Radegonda, fra due edifici alti m. 31; ma non insisteremo su ciò, giacché questa via è chiamata ad essere storpiata e sacrificata, sempre in omaggio a quei criterii artistici che hanno bisogno del continuo sotterfugio per accontentare le esigenze della simmetria e della vitruviana regolarità. Altri argomenti furono messi innanzi a sostegno dell'altezza di m. 31. L' on. consigliere Sala teme che l' abbandono del concetto Mengoniano possa riuscire inesplicabile ai posteri, i quali « Si meraviglieranno certamente che dopo esserci sobbarcati ad una impresa tanto colossale ed inspirata a tanta pretesa artistica, noi non abbiamo avuto le idee abbastanza larghe, nè i polmoni abbastanza robusti per camminare diritto fino alla Via dell'Agnello. » Ma non potrebbero questi posteri - obiettiamo noi - trovare ancor più inesplicabile il compimento di un lato della piazza allorquando ai loro occhi non potrà neppur risultare che vi sia stato, nelle vicende edilizie del centro della città, un solo momento nel quale si sia realmente presentata la possibilità del compimento della piazza sulla base dell'unico lato che si presenterà loro completo? E non si meraviglierebbero in tal caso questi posteri della nostra ostinazione ad un impresa altrettanto inspirata a pretesa artistica, quanto contrastata da ostacoli così insormontabili? Francamente noi, in faccia ai posteri, non siamo tenuti a compiere un tour de force, tanto per mostrare i nostri buoni polmoni, ma siamo tenuti a mostrar la ragione di ogni nostra deliberazione, e se questi posteri saranno - come giova sperare - meglio di noi educati al vero senso del bello, piuttosto che accusarci di un mutamento di pensiero, sapranno esserci grati per quella spontaneità e franchezza che avremo dimostrato con tale mutamento, in omaggio al nostro massimo monumento. Un'ultima obbiezione che nel Consiglio Comunale venne mossa dall' on. Sala a sostegno della sua tesi, è quella che,


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limitare l' altezza dei nuovi fabbricati a m. 24 sarebbe introdurre una nuova disarmonia nell'insieme del prospetto, tanto più che i palazzi più bassi corrisponderebbero alla parte posteriore del fianco del Duomo, incomparabilmente più alta dell'anteriore, sicchè si avrebbero nelle due tratte due contrasti inversi e veramente insopportabili. » Con tutto il rispetto alle opinioni dell'egregio collega on. Sala e malgrado i mormorii d' approvazione coi quali il Consiglio volle accogliere tali parole, mi permetterò di manifestare a tale proposito la mia profonda meraviglia per questa nuova teoria architettonica dei contrasti inversi insopportabili; quante meraviglie d'arte il cui segreto fascino è basato esclusivamente su contrasti di linee dovrebbero a questa stregua riuscire insopportabili! Quale bisogno di trovare un nesso, una relazione, un equilibrio fra le due tratte - come le definisce l'on. Sala - e cioè fra una cattedrale e un bazar? Non può ognuno di questi edificii dispiegarsi a seconda delle esigenze cui deve soddisfare? Eppure non deve esser così, e secondo la teoria nuova, se la cattedrale a un certo punto si slancia colle sue guglie più arditamente verso il cielo, ne viene la necessità che il vicino bazar sorpassi l'altezza normale, tanto per rendere sopportabile quell'impressione di grandiosità che l'audacia del genio umano ha raggiunto nel Duomo. Per noi questa nuova disarmonia che l' on. Sala teme nell'assieme del prospetto è provvidenziale. I vantaggi che ne possono conseguire risultano già dalle obbiezioni mosse al partito di continuare l'altezza di m. 31, e cioè sono: 1.° L'imbocco del Corso costituito da due edificii di altezza eguale e in relazione a tutto lo sviluppo della città, per modo che il punto di vista veramente grandioso che ancora presenta il Duomo dal Corso, anziché esser rovinato da una quinta alta m. 31, sarà conservato intatto, anzi alquanto migliorato coll'allargamento dell' imbocco stesso. 2.° Il concetto Mengoniano, nelle parti in cui venne svolto lungo il lato settentrionale, non rimarrà più come è oggidì un punto interrogativo per tutto l'avvenire della piazza, poichè apparirà chiaramente che il motivo è, e si è ritenuto completo come ora si presenta. 3.° I nuovi edificii si svolgeranno liberamente nelle loro ricorrenze a seconda delle esigenze interne , formando della piazza la vera estrinsecazione della città moderna, quale la vagheggiava, fin da quasi mezzo secolo, Carlo Cattaneo, e


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non presenteranno quell' aspetto bastardo che risulterà necessariamente dal voler simulare la grandiosità degli edificii Mengoniani, limitandosi alla semplice ricorrenza delle principali linee orizzontali. E a questo proposito non bisogna dimenticare come l'altezza eccessiva dei fabbricati Mengoniani non si possa rilevare pienamente pel fatto che tutte le proporzioni della loro architettura sono svolte con un rapporto non comune, al punto che non sono i fabbricati che sembrano grandi, ma le case e gli edificii adiacenti che appaiono schiacciati e depressi. Lasciate che nell'altezza di m. 31 si sviluppino dei piani d'altezza proporzionata e quindi numerosi, e dalla minuta suddivisione della facciata apparirà pienamente l'altezza eccessiva: anche il profano in materie architettoniche e prospettiche, può formarsi un concetto di ciò, osservando, dal mezzo della Piazza, le case che prospettano la fronte del Duomo, le quali, per il fatto che hanno una facciata divisa in sette piani, sembrano già più alte, o per lo meno della stessa altezza degli edificii Mengoniani: eppure la cornice di quelle case arriva a poco più di m. 24, l'attico a m. 26, quasi sei metri meno dell'attico mengoniano. Teniamo ben fermo in mente come, questa d'oggidì sia la sola occasione favorevole la quale potrà presentarsi a noi per rinunciare con decoro ad un ulteriore sviluppo del concetto Mengoniano, e rinunciarvi in modo che sparisca ogni traccia, ogni sospetto si possa aver sognato di completare il concetto stesso; è l'unica occasione che ci si presenta per ritornare, ancora in parte, al vero concetto della piazza, quale lo ha propugnato con calde ed inspirate parole Carlo Cattaneo. Un passo di più nella via sin qui tenuta, e noi ritroveremo aperto dinanzi a noi l'ignoto, la sfinge del concetto Mengoniano, ci saremo avanzati avventuratamente cogli occhi chiusi, fino a batter la testa contro la muraglia di insormontabili difficoltà. Nè si vorrà negare che nella questione presente possano intervenire considerazioni d'un altro ordine, le quali possono sembrare secondarie solo pel fatto che troppo facilmente si è disposti a perderle di vista. Coll'altezza regolamentare di m. 24 si trovano soddisfatte esigenze di igiene e di ordine pubblico che in ogni città si impongono come una legge suprema: e non sarà superfluo il richiamare come, anche nelle città dove il prezzo dell'area arriva a prezzi elevatissimi, a Parigi, per esempio, dove l' area oltrepassa le L. 2000 al


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m. q., l'altezza massima degli edificii, - anche nelle numerose piazze monumentali - è di m. 20, limite che certamente non è uno degli ultimi fattori del fascino di bella e veramente grande città.


Tutto quanto abbiamo sin qui esposto a sostegno della tesi di continuare coll'altezza di m. 24 il lato settentrionale della Piazza, non si è menomamente riferito al Duomo e cioè a quel monumento il quale - come già si disse - è il primo fattore della questione della Piazza stessa e doveva costituire la parte principale del complesso monumentale tanto vagheggiato: e per verità, nel rapporto originario sulla Piazza, si diceva che questa « decretata principalmente per mettere in miglior mostra il principal monumento della città, deve curarne possibilmente le migliori visuali onde l' ammiratore, senza uscire dalla piazza, possa formarsi dello stesso un adeguato concetto. » Ora domandiamo noi: è giusto, è logico che nella questione edilizia attuale non si rivolga neppure per un istante il pensiero a questo monumento, nè si vogliano considerare le conseguenze che possono derivare dalle deliberazioni che si stanno per prendere? E' possibile che l'opinione pubblica, dopo aver dimostrato tanto interessamento per raggiungere il risultato della Piazza, trascuri completamente quella massa architettonica che ne doveva formare il centro d'attrazione? Pur troppo la indifferenza per le grandi e vere questioni d' arte va sempre più guadagnando nei grandi centri di popolazione: nel movimento affrettato, nel trambusto quotidiano, i più pensano raramente a ciò che esce dall'orbita dei personali ed immediati interessi: l'opinione pubblica non ha tempo di esaminare e studiare attentamente, e in tempo, le questioni vitali edilizie, e solo si scuote e si sveglia davanti ai fatti compiuti, per trovare poi uno sfogo in critiche acerbe, le quali sono altrettanto spontanee e facili dinanzi all' evidenza dei fatti, quanto riescono inefficaci e sterili venendo in ritardo. Eppure nella questione che ci preoccupa non occorrono nè studii o ricerche speciali, nè lunghe osservazioni per arrivare a comprendere come la massa del Duomo non possa certo guadagnare dal partito di estendere maggiormente, nelle sue vicinanze, l'altezza mengoniana.


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L'on. Gerolamo Sala, sostenitore tanto deciso di tale altezza nel seno del Consiglio, ha dovuto ammettere come « se con un colpo di bacchetta magica si potesse ridurre a 2I metri il livello generale degli edificii che circondano il Duomo nessuno dal punto di vista edilizio se ne dorrebbe. » Ebbene, di fronte a questa constatazione - confermata poi dal voto della Commissione Conservatrice dei monumenti della nostra Provincia (1) - come mai si può sostenere di continuare un partito dannoso all'effetto monumentale del Duomo per la sola idea, assai problematica, di evitare uno sconcio nella piazza? Qual è l' interesse maggiore che si trova qui in giuoco? E l'effetto della Piazza, vulnerato già da ogni parte da errori ed ostacoli, oppure è l'effetto monumentale del Duomo? Daremo la preferenza alla gretta ed inefficace ricorrenza di linee orizzontali in edificii di vario carattere e destinazione, oppure metteremo nelle nostre deliberazioni un poco di quel senso artistico e di quell' entusiasmo per tutto ciò che si stacca dalla volgarità, di quel buon senso insomma cittadino che ha una storia di secoli nel Duomo, e che noi smentiremmo se non dimostreremo di comprendere tutta la imponente bellezza e il valore intrinseco di questo monumento che riassume tanta parte del nostro glorioso passato? (2). Riguardo alla sistemazione dello sbocco di Via S. Radegonda richiameremo come, secondo il progetto presentato al Consiglio nel luglio u. s., si fosse stimato conveniente limitare il problema allo studio dell'allargamento conveniente di tale sbocco, senza sacrificare la razionale direzione di questa via, tangente all'abside del Duomo, direzione che rende la via S.

(1) Ecco l'ordine del giorno quale venne steso dallo stesso Presidente della Commissione, l'Illustrissimo signor Prefetto della Provincia, e quale venne approvato a voti unanimi: La Commissione Conservatrice dei Monumenti per la provincia di Milano, riconoscendo il grave danno che dal partito di continuare con un' altezza eccezionale gli edificii in prossimità alla parte più ricca ed elevata del Duomo, verrebbe a subire l'effetto monumentale di questo, fa voti perchè l' on. Rappresentanza Cittadina voglia considerare se non convenga che l'altezza dei fabbricati erigendi in prolungamento al lato settentrionale della Piazza del Duomo, non abbia a sorpassare i m. 24 stabiliti dal Regolamento Edilizio. (2) Consideriamo inefficace il concetto di ricorrenze orizzontali non subordinato altresì alla ricorrenza di medesime membrature architettoniche o decorative. È il caso di dire che le ricorrenze si fanno o non si fanno: due cornicioni potranno essere alla stessa altezza dal suolo, ma se non hanno lo stesso scomparto, la medesima sporgenza e dirò anche lo stesso carattere, non formeranno mai una ricorrenza: al contrario riuscirà uggioso il vederli lì appaiati, allineati, quasi che l'occhio dell'osservatore dovesse decidere quale dei due sia di maggiore effetto.


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Radegonda assai più frequentata della via S. Raffaele malgrado questa abbia una sezione sensibilmente maggiore: nel progetto si aveva un risvolto normale alla piazza corrispondente alla larghezza del portico dalla parte della Banca Generale, e di una larghezza doppia dall' altra parte, col che, come faceva osservare allora la Relazione presentata al Consiglio, « i nuovi fabbricati costruendi, di architettura diversa da quella del Mengoni, separati da sbocchi di conveniente larghezza (metri dieci circa, e non sei come risulta dal progettato storpiamento di via S. Radegonda) non richiedono, all'infuori della linea del portico, altra ricorrenza cogli edificii già innalzati lungo quel lato della Piazza. » Codeste considerazioni sulla convenienza tanto di mantenere la direzione razionale di via S. Radegonda, che di ottenere l'allargamento opportuno dello sbocco di questa via - benché molto elementari ed ovvie - non furono tenute in calcolo dagli oppositori del progetto presentato dalla Giunta: ma anche per questa questione secondaria si può dimostrare come il partito, vagheggiato da questi oppositori, di mascherare l'obliquità della via di S. Radegonda ci procuri degli sconci più gravi di quello che si teme. S'immagini l'effetto di due cantonate di edificii alti più di m. 30, ad una distanza di soli sei metri: s'immagini l'effetto prodotto dai due diversi cornicioni che verranno a trovarsi faccia a faccia ad una distanza di m. 4.00 circa: s'immagini l'effetto che questa via stretta - la quale ora ha il grande vantaggio di essere perfettamente rettilinea nell' ultima sua parte, e perfettamente sfogata al suo sbocco - produrrà quando nell' ultima sua tratta, per circa m. 20, si piegherà, dirò così, a caso, per battere contro il fianco del Duomo: s' immagini infine l'effetto delle due fronti di questa via, alte m. 31. e sempre ad una distanza di soli sei metri; e ciò nel cuore della città, lì vicino a quegli edificii che sono documento palmare delle diecine di milioni profusi. Quale risultato incomprensibile alle persone di buon senso si otterrà con questo sperpero del pubblico denaro per rivestire di decorazioni tanta miseria di disposizione planimetrica! Lasciamo dunque che, conservato il rettilineo del lato settentrionale e la continuazione e ricorrenza dei portici , nel resto i due progettati edificii sorgano con quella indipendenza che sarà richiesta dalla loro destinazione e in quei limiti che sono imposti provvidenzialmente dal Regolamento Edilizio:


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lasciamo che lo sbocco di S. Radegonda sia risolto nel modo più naturale e spontaneo, quale era presentato dalla Giunta nello scorso luglio, senza nessun artifizio, senza nessuna finzione, senza maggiori sagrifizii di denaro pubblico. Non temiamo di mascherare l'inclinazione della via S. Radegonda rispetto alla piazza: tanto, non ci si riuscirebbe. Seguendo questi concetti noi potremo essere sicuri di ottenere un buon risultato poichè è buono tutto ciò che viene dalla sincerità e dalla naturalezza. A Parigi, l' interesse e l'affetto della popolazione per la Cattedrale, non è meno vivo di quello dei Milanesi pel Duomo: ebbene, quando pochi anni or sono si è fatto la piazza davanti a Nòtre Dame, si è pensato saggiamente che il solo risultato da ottenere era quello di dare il maggior sfogo possibile alle visuali di quel mirabile monumento; fatto il largo, si innalzarono intorno al monumento edificii di carattere, di altezze, di decorazioni varie come diversa era la loro destinazione: lungo il fianco della Chiesa si innalzarono case comuni, nel fondo della piazza una caserma, di fianco un ospedale; l'architettura utilitaria delle case e delle caserme, quella pratica e razionale dell'ospedale non fanno che dare maggiore risalto alla meravigliosa fronte del tempio. Per noi è troppo tardi per applicare tale concetto, non troppo tardi per ravvederci. Quand' anche le nostre deliberazioni avessero a tradire un pentimento - ciò che non sarà, a nostro avviso - pensiamo che il pentimento è preferibile all'ostinazione: il pentimento illumina, l'ostinazione accieca. Allorquando Michelangelo nel 1515 qualificò una gabbia da grilli il Loggiato che Baccio d'Agnolo aveva iniziato a coronamento del tamburo della cupola di S. Maria del Fiore, si rinunciò tosto a proseguire l' opera, la quale, oggidì ancora interrotta, nel mentre è indizio perenne di un mutamento d'opinioni, attesta la benefica influenza della critica del Buonarroti. Nella questione presente dovrebbe bastare un poco di buon senso per ottenere un mutamento d'opinioni, e per arrivare alla convinzione che « trattandosi di disporre edificii che hanno una destinazione diversa attorno ad uno spazio aperto nel cuore di una città che conta molti secoli di esistenza, trattandosi di disporre questi edificii in quella razionale disposizione di masse che si accordi colle necessità della planimetria, e con un grandioso concetto artistico - non debba solo consistere il monumentale della


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Piazza nella perfetta eguaglianza delle parti che si prospettano, ma bensì nell' essere le medesime circondate da fabbriche monumentali che, richiamando col loro diverso carattere la diversa destinazione, raccolgano non pertanto in un concetto uno la varietà delle parti ed infondano la poesia nello spirito come l' infonde la bella e pittoresca e monumentale Piazza di Venezia col contrasto dei suoi diversi edifizii. » Queste parole, colle quali faccio punto, sono appunto quelle colle quali si difendeva dall'accusa di non aver fatto un progetto abbastanza monumentale, l' architetto Giuseppe Mengoni, allorquando non s'immaginava certo che il parossismo della monumentalità dovesse poi condurlo a concretare quel Piano generale di completamento della Piazza del Duomo, in nome del quale si vorrebbero ora giustificare ed assolvere nuovi errori edilizii.


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Recentissima Pubblicazione LUCA BELTRAMI e GIUSEPPE MENTESSI — Raccolta di Motivi decorativi per l' Insegnamento del Chiaroscuro nelle Scuole. - Tavole 25 in Eliotipia, con prefazione. L. 12 Presso le Ditte Artaria di F. Sacchi e Figli e Antonio Grandi - Milano.