Volgarizzamenti da Platone/A Vito Fornari

A Vito Fornari

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Il Parmenide, ovvero delle idee Il Timeo, ovvero della natura
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A VITO FORNARI.



A voi, mio onorando Fornari offerisco questa versione del Timeo, che incominciai a Berlino dove fui mandato generosamente da’ Rettori della nostra cara Italia, e che ho condotto a termine dopo molto tempo, usando tutte quelle diligenze e cure che per me si potevano. Benché a me siano manifeste, e molto più saranno a voi e agli uomini valentissimi, vostri pari, le molte difficoltà di pensiero e di forma, che non mi venne fatto di vincere in questo volgarizzamento; ho fidanza che tutti quegli che son come voi gentili, perciocché valorosi, non lo disdegneranno del tutto. Ora, perché l’abbia io voluto offerire a voi, ve lo dico schietto: perché a me pare che voi ritragghiate molto di Platone, con grande novità’ propria, non pure nelle speculazioni, ma anco nelle [p. 72 modifica]immagini e nella parola modestamente lumeggiata e fatta vivace segno delle virginali concezioni della mente; e massime nel bellissimo dialogo vostro dell’Armonia Universale mi par vedere specchiato il Timeo, ch’è pure un’armonia universale, tentata stupendamente inquantochè lì la Mente, le Idee, il Bene si cercano porgere nello splendore di tutt’i loro riferimenti, ma non raggiunta, dappoi che a quel tempo era impossibile. Vi dico pure un’altra ragione, che dipende da questa medesima che io ho detto, e si è appunto che voi m’avete fatto un gran benefizio: ed è, che leggendo le vostre opere, mi sono sentito molto confortare, perchè ci ho trovato fede, scienza, vita, speranza e giovinezza. Conciossiachè v’ha parecchi oggidì, che, specolando, quello ch’è superficie della vita vedono e irosamente bandeggiano all’universale come profondità, in modo che dapprima meravigliare per i loro nuovi ardiri, ma gittano poi l’anima in fiera ambascia e desolazione, facendola dubitare se la filosofia sia vana in se per accidente ovvero per essenza sua: altri, per contrario, ciò cri è profondità da vero, vedono, avvegnachè non se n’accorgano, e divolgono come se fosse superficie, onde essi soddisfano forse a’ desiderii, ma in nessuna maniera alla mente: voi, dich’io, siete di quei, che, quel ch’è profondo di natura sua, come tale lo vedono e agli altri con cortesia ed amore fanno. Ond’io che, e non me ne querelo, insino da quando [p. 73 modifica]ero giovinetto, con isgomento sentii, e poi sempre, il vacuo della vita, che davvero apparisce immensurabile se la vista non vi s’interna, sono grato a chiunque mi riempie quel vacuo, raffermandomi nell’intelletto ciò che coll’acume e veemenza del desiderio mi dice il cuore, che in breve è quel medesimo che dice Platone: L’uomo non è pianta terrena, ma celeste! Adunque per questo vi fo un piccolo dono, segno di gratitudine; per questo vi voglio, mio venerato Fornari, un bene dell’anima, e prego che viviate felice.

Palermo, a dì 10 d’ottobre del 1865.


Francesco Acri