Vite dei filosofi/Libro Secondo/Vita di Eschine
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CAPO VII.
Eschine.
I. Eschine, ateniese, figlio di Carino il salsicciaio, o di Lisania, fu in gioventù assai laborioso. Il perchè anche non si allontanò mai da Socrate.
II. Che per ciò diceva: Solo, il figlio del salsicciaio sa far conto di noi. — Racconta Idomeneo che, nel carcere, egli e non Critone consigliò per la fuga di Socrate, ma che Platone, come più affezionato ad Aristippo, attribuì i discorsi a Critone.
III. Eschine era tacciato, e particolarmente da Menedemo eretriese, di essersi appropriati molti dialoghi di Socrate, avuti dalla Santippe. Tra questi, i chiamati acefali, sono forte trascurati, e non appalesano l’efficacia socratica. Anche Pisistrato efesio afferma che non sono di Eschine. E dei sette poi scrive Perseo che la maggior parte è di Pasifonte d’Eretria, che gli intruse fra gli scritti di Eschine; anzi esamina scrupolosamente e il piccolo Ciro d’Antistene, e il minor Ercole, e l’Alcibiade, e altri di altri. Que’ di Eschine adunque che appalesano modi socratici sono sette: primo Milziade (anche per ciò stesso ha non so quale maggior fiacchezza), Callia; Assioco; Aspasia; Alcibiade; Telauge; Rinone. — Corse voce ch’egli a cagione di povertà andaste in Sicilia da Dionisio: che disprezzato da Platone fosse raccomandato da Aristippo: e che profferti alcuni suoi dialoghi vi ricevesse dei doni.
IV. Dopo, sendo ritornato in Atene, non osò insegnarvi per essere allora in rinomanza Platone ed Aristippo: ma vi recitò discorsi pagato; poi compose orazioni giudiziali per chi soffriva ingiustizia. Il perchè Timone disse:
O il non docile Eschine compose.
Raccontasi avergli detto Socrate che, poichè era stretto dal bisogno, e prendesse a prestito da sè stesso, sminuendo il cibo.
V. I dialoghi di costui erano sospetti anche ad Aristippo, poichè letti da esso a Megera è fama che il mordesse dicendo: Donde, ladro, hai prese, queste cose?
VI. Dice Policrito mendeo, nel primo Delle imprese di Dionisio, aver lui vissuto con quel tiranno sino alla sua caduta e sino al ritorno di Dione in Siracusa, affermando ch’era con lui Carcino il poeta comico. — Va attorno anche una lettera di Eschine a Dionisio.
VII. Era egli assai esercitato nelle rettoriche, come apparisce dall’apologia del padre di Feace il comandante e dall’avere imitato sopra ogn’altro Gorgia leontino. E Lisia scrisse un’orazione contro di lui, che s’intitola Della calunnia, donde è manifesto quale oratore ei fosse. — Raccontasi ch’era suo famigliare un Aristotele detto Mito.
VIII. Per altro di tutti i dialoghi socratici Panezio ha in concetto di veri que’ di Platone, di Senofonte, di Antistene, di Eschine; dubita di que’ di Fedone e di Euclide, leva di mezzo tutti gli altri.
IX. Furono otto Eschini. — Primo, quest’esso; secondo, quello che scrisse Le arti rettoriche; terzo, l’oratore, l’emulo di Demostene; quarto, l’arcade, discepolo d’Isocrate; quinto, il mitileneo, che fu chiamato Flagello degli oratori; sesto il neapolitano, filosofo accademico, discepolo e mignone di Melanzio rodio; settimo, il Milesio, scrittore politico; ottavo, lo statuario.