Vite dei filosofi/Libro Primo/Vita di Epimenide
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CAPO X.
Epimenide.
I. Di Epimenide, come dice Teopompo e altri molti, era padre Festio — alcuni dicono Dosiade; alcuni Agesarco — Nato cretese, di Gnosso, non ne aveva l’aria per la lunga capellatura.
II. Costui mandato una volta dal padre in villa per una pecora, declinando in sul mezzo giorno dalla via, dormì cinquanta sett’anni in una grotta. Svegliatosi cercava dopo la pecora, pensando di aver per poco dormito; e non rinvenutala, ritornò alla villa, ma trovandovi ogni cosa mutata d’aspetto ed i beni in possesso di un altro, tutto dubbioso venne di nuovo in città. Ivi, entrar volendo in sua casa, s’abbattè in alcuni i quali gli dimandaronoFonte/commento: Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/476 chi fosse; sino a che scontrato il fratello più giovine, allora già fatto vecchio, tutta da lui apprese la verità.
III. Se ne sparse il grido tra’ Greci, e si tenne ch’e’ fosse amatissimo dagli Iddii. Ond’è che gli Ateniesi travagliati una volta dalla peste, e avuto dalla Pizia il responso di purificare la città, spedirono in Creta una nave e Nicia di Nicerato, per chiamare Epimenide. Venne esso, la quarantesima sesta olimpiade; purificò la città, e fece cessare la peste in questa maniera. Prese delle pecore nere e bianche, le condusse presso l’Areopago, e di là lasciolle andare ove vollero, ordinando a guardiani, che nel luogo in che ciascuna di quelle si ponesse a giacere, si sagrificasse ad un nume particolare. E così cessò il male. Per la qual cosa anche ora vien fatto di trovare, per le tribù degli Ateniesi, are senza nome, in memoria delle purificazioni praticate una volta. Alcuni affermano che il delitto Cilonio fosse cagione della peste, la quale ne significasse l’espiazione; e perciò, morti i due giovani, Cratino e Ctesibio, cessasse anche la calamità. Gli Ateniesi decretarono di dare ad esso un talento, e la nave che il riconduceva in Creta. Ma ricusato il denaro promosse l’amicizia e l’alleanza dei Gnossi e degli Ateniesi.
IV. Ritornato a casa dopo non molto, morì, come dice Flegone, nel libro intorno I lungamente vissuti, di cento cinquanta sette anni; come dicono i Cretesi, di trecento meno uno; come Xenofane colofonio dice aver udito, di cento cinquanta quattro.
V. Scrisse la generazione dei Cureti e dei Coribanti e una Teogonia, versi cinque mila — La costruttura della nave Argo e la navigazione di Giasone in Colco, versi sei mila cinquecento — Scrisse anche in prosa intorno i sagrificii e il governo dei Cretesi; e su Minosse e Radamanto, in versi, quattro mila.
IV. Fabbricò presso Atene un sacrato all’Eumenidi, siccome racconta Lobone argivo nel suo libro dei Poeti. Ed è pur fama avere il primo purificate case e campi, ed eretti sacrati.
VII. V’ha chi afferma non aver egli dormito, ma essere andato qua e là per alcun tempo occupandosi a raccoglier radici.
VIII. Va intorno una sua epistola a Solone il legislatore concernente alla costituzione, la quale Minosse avea data ai Cretesi. Ma Demetrio magnesio, nel libro Dei poeti e degli scrittori dello stesso nome, cerca di confutare quell’epistola, siccome recente e non dettata con frase cretense ma attica, ed anche nuova.
IX. Io per altro ho trovato un’altra epistola che è così:
Epimenide a Solone.
„Sta di buon animo, o amico! poichè, se mentre gli Ateniesi erano schiavi e privi di buone leggi, surto fosse Pisistrato, avrebbe anco, riducendo a servitù i cittadiui, il comando avuto per sempre. Ora non uomini vili ha fatto schiavi costui, ma quegli che rammentandosi gli avvisi di Solone, si dorranno per vergogna dei ceppi, e non comporteranno tiranni. Che se tuttavolta Pisistrato ritenesse la città, spero, il costui potere non verrà certo nei figli; essendo cosa difficile assai ch’uomini i quali godono libertà fra ottime leggi divengano schiavi. Tu poi cessa di andar vagando, ma vieni in Creta da noi, ove non avrai paura di monarca. Che se a caso ti scontrano per via gli amici di lui temo alcun che di grave tu non abbi a patire.
X. Così Epimenide — Dice Demetrio che alcuni raccontano, com’egli riceveva non so qual cibo dalle Ninfe, e il serbava in un’unghia di bue; e che prendendone a poco a poco nessuna secrezione espelleva, ne’ mai fu veduto mangiando. Fa menzione di questo anche Timeo nella seconda.
XI. Narrano alcuni che i Cretesi a lui sagrificavano come a Nume; poichè è fama che avesse grandissima conoscenza, e che veduta presso gli Ateniesi Munichia dicesse, ignorare eglino di quanti mali sarebbe ad essi cagione quella fortezza; altrimente la distruggerebbero co’ denti. Queste cose diceva assai tempo innanzi. Raccontasi, com’ei prima fosse appellalo Eaeo, e predicesse ai Lacedemoni che sarebbero sottomessi dagli Arcadi: e fingesse molte volte di essere rivissuto. E narra Teopompo ne’ Mirabili, che fabbricando Epimenide il sacrato delle Ninfe, questa voce uscisse dal cielo: Epimenide! Non delle Ninfa ma di Giove; e che predicesse ai Cretesi la disfatta dei Lacedemoni per gli Arcadi, siccome è detto innanzi, i quali anche li sorpresero di fatto ad Orcomeno.
XII. E che invecchiasse in tanti giorni, quant’anni avea dormito. E questo pure asserisce Teopompo. Mironiano ne’ Simili dice che i Cretesi lo appellavano Curete. Il corpo di lui come narra Sosibio laconico, serbano i Lacedemoni presso di loro per non so quale oracolo.
XIII. V’erano due altri Epimenidi: il genealogista, ed un terzo, che scrisse in Dorico sopra Rodi.