Vite dei filosofi/Libro Primo/Vita di Anacarsi
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CAPO VIII.
Anacarsi lo Scita.
I. Anacarsi lo scita era figlio di Gnuro, fratello di Caduide re degli Sciti; ond’era bilingue.
II. Compose intorno alle costumanze, che, e presso gli Sciti e presso i Greci risguardano la frugalità della vita e le cose della guerra, ottocento versi; e per essere libero parlatore diede motivo al proverbio: Detto alla scitica.
III. Sosicrate racconta ch’egli si recò in Atene nella quarantesima settima Olimpiade, sotto l’arconte Eucrate; ed Ermippo che essendo venuto alla casa di Solone, ordinò ad alcuno dei servi di avvisarlo, essere a lui venuto Anacarsi e desiderare di vederlo e di farsi, se era possibile, suo ospite. Che il servo recata l’ambasciata, ebbe da Solone il comando di rispondergli, che gli ospiti si facevano nei proprii paesi. Che in quella entrato Anacarsi avea detto, ora esser egli in patria, e spettare ad esso di far gli ospiti. E cbe Solone, maravigliato della disinvoltura, lo aveva accolto e fatto suo grandissimo amico.
IV. Tornato dopo qualche tempo nella Scizia mirò, stando molto in sul vivere alla greca, a raddolcire le patrie costumanze; ma in una caccia, saettato dal fratello, perì, sciamando che mercè il discorso era uscito salvo di Grecia, in patria era fatto perire per invidia. Alcuni dicono ch’ei fu ucciso mentre celebrava un sagrificio alla greca. E nostro l’epigramma sul medesimo:
Quando Anacarsi dal vagar suo lungo
Nella Scizia tornò, di Grecia a modo
Viver tutti inducea. Sul labbro ancora
Era imperfetta la parola; e pronto
Volante dardo lo rapisce in cielo.
V. La vite, diceva egli, produrre tre maniere di grappoli: il primo del piacere; il secondo dell’ubbriachezza; il terzo del disgusto — Diceva: Meravigliarsi come presso i Greci venissero a concorrenza gli artisti, e giudicassero poi i non artisti — Interrogato com’uom potesse non essere amico del bere? Se innanzi gli occhi, rispose, abbia le sconcezze degli ubbriachi — Diceva: Meravigliarsi che i Greci fatte avendo leggi contro gli offensori, onorassero poi gli atleti, che si percuotono gli uni gli altri. — Avendo saputo essere di quattro dita la grossezza delle navi: Tanto, soggiunse, i naviganti distano dalla morte — Chiamava l’oglio, farmaco di pazzia, perchè gli atleti, ungendosi d’oglio, più impazzavano fra di loro — Come mai, diceva, coloro che proibiscono di mentire, nelle taverne dicono apertamente la bugia? — E meravigliarsi, diceva, come i Greci, in principio , bevessero in piccole tazze, satolli poi in grandi — E scritto sotto le immagini di lui: Contieni la lingua, il ventre , l’amore — Interrogato, se nella Scizia erano flauti, rispose, ma nè pur viti — Interrogato da un tale, quali fossero le navi più sicure? rispose: Quelle che sono ritratte in porto — Questo pure, diceva, aver veduto di assai maraviglioso presso i Greci, che il fumo lasciavano nei monti, e le legna trasportavano in città — Interrogato qual dei due fossero più, i vivi od i morti? rispose: Tra cui poni i naviganti? — Rinfacciandogli un Attico ch’e’ fosse scita, gli disse: La patria disonora me, e tu la patria — Interrogato, qual cosa, negli uomini, fosse e buona e cattiva, rispose: La lingua — Meglio, diceva, avere un amico di molto pregio, che molti di nessun pregio — Chiamava le piazze luoghi destinati per ingannarsi e soperchiarsi a vicenda — Essendo ingiuriato da un giovinetto a tavola, disse: Giovinetto, se giovine come sei non porti il vino, quando diverrai vecchio porterai l’acqua.
VI. Trovò, per gli usi della vita, e l’ancora e la ruota de’ vasai, al dire di alcuni.
VI. E scrisse una lettera così:
Anacarsi a Creso.
„Io, o re dei Lidi, mi sono recato in Grecia per conoscere i costumi di que’ popoli e le istituzioni. Di oro non ne abbisogno affatto, ma bastami di ritornare agli Sciti uom migliore. Vengo dunque a Sardi, perchè faccio gran caso di esserli in favore.“