Vita (Alfieri, 1804)/Introduzione
Questo testo è completo. |
◄ | Vita | Epoca I. | ► |
VITA
DI
VITTORIO ALFIERI.
INTRODUZIONE.
Plerique suam ipsi vitam narrare, fiduciam potius
morum, quam arrogantiam, arbitrati sunt.
Tacito, Vita di Agricola.
Il parlare, e molto più lo scrivere di se stesso, nasce senza alcun dubbio dal molto amor di se stesso. Io dunque non voglio a questa mia Vita far precedere nè deboli scuse, nè false o illusorie ragioni, le quali non mi verrebbero a ogni modo punto credute da altri; e della mia futura veracità in questo mio scritto assai mal saggio darebbero. Io perciò ingenuamente confesso, che allo stendere la mia propria vita inducevami, misto forse ad alcune altre ragioni, ma vie più gagliardo d’ogni altra, l’amore di me medesimo: quel dono cioè, che la Natura in maggiore o minor dose concede agli uomini tutti, ed in soverchia dose agli scrittori, principalissimamente poi ai Poeti, ed a quelli che tali si tengono. Ed è questo dono una preziosissima cosa; poichè da esso ogni alto operare dell’uomo proviene, allor quando all’amor di se stesso congiunge una ragionata cognizione del proprj suoi mezzi, ed un illuminato trasporto pel vero ed il bello, che non son se non uno.
Senza proemizzare dunque più a lungo su i generali, io passo ad assegnare le ragioni per cui questo mio amor di me stesso mi trasse a ciò fare: e accennerò quindi il modo con cui mi propongo di eseguir questo assunto.
Avendo io oramai scritto molto, e troppo più forse che non avrei dovuto, è cosa assai naturale che alcuni di quei pochi a chi non saranno dispiaciute le mie Opere (se non tra’ miei contemporanei, tra quelli almeno che vivran dopo) avranno qualche curiosità di sapere qual io mi fossi. Io ben posso ciò credere, senza neppur troppo lusingarmi, poichè di ogni altro autore anche minimo quanto al valore, ma
voluminoso quanto all’opere, si vede ogni giorno e scrivere e leggere, o vendere almeno, la vita. Onde, quand’anche nessun altra ragione vi fosse, è certo pur sempre che, morto io, un qualche Librajo per cavare alcuni più soldi da una nuova edizione delle mie opere, ci farà premettere una qualunque mia vita. E quella, verrà verisimilmente scritta da uno che non mi aveva o niente o mal conosciuto, che avrà radunato le materie di essa da fonti o dubbj o parziali; onde codesta vita per certo verrà ad essere, se non altro, alquanto meno verace di quella che posso dare io stesso. E ciò tanto più, perchè lo scrittore a soldo dell’editore suol sempre fare uno stolto panegirico dell’autore che si ristampa, stimando amendue di dare cosi più ampio smercio alla loro comune mercanzia. Affinchè questa mia vita venga dunque tenuta per meno cattiva e alquanto più vera, e non meno imparziale di qualunque altra verrebbe scritta da altri dopo di me; io, che assai più largo mantenitore che non promettitore fui sempre, mi impegno qui con me stesso, e con chi vorrà leggermi, di disappassionarmi per quanto all’uomo sia dato; e mi vi impegno, perchè esaminatomi e conosciutomi bene, ho ritrovato, o mi pare, essere in me di
alcun poco maggiore la somma del bene si quella del male. Onde, se io non avrò forse il coraggio o l’indiscrezione di dir di me tutto il vero, non avrò certamente la viltà di dir cosa che vera non sia.
Quanto poi al metodo, affine di tediar meno il lettore, e dargli qualche riposo e anche i mezzi di abbreviarsela col tralasciare quegli anni di essa che gli parranno meno curiosi; io mi propongo di ripartirla in cinque Epoche, corrispondenti alle cinque Età dell’uomo,e da esse intitolarne le divisioni, Puerizia, Adolescenza, Giovinezza, Virilità, e Vecchiaja. Ma già, dal modo con cui le tre prime parti e più che mezza la quarta mi son venute scritte, non mi lusingo pii oramai di venire a capo di tutta l’opera con quella brevità, che più d’ogni altra cosa ho sempre nelle altre mie opere adottata 0 tentata; e che tanto più lodevole e necessaria forse sarebbe stata nell’atto di parlar di me stesso. Onde tanto più temo che nella quinta parte (ove pure il mio destino mi voglia lasciar invecchiare ) io non abbia di soverchio a cader nelle chiacchiere, che sono l’ultimo patrimonio di quella debole età. Se dunque, pagando io in ciò, come tutti, il suo dritto a natura, venissi nel fine a dilungarmi indiscretamente,
prego anticipatamente il lettore di perdonarmelo, si; ma, di gastigarmene a un tempo stesso, col non leggere quell’ultima parte.
Aggiungerò nondimeno, che nel dire io’ che non mi lusingo di essere breve anche nelle quattro prime parti, quanto il dovrei e vorrei, non intendo perciò di permettermi delle risibili lungaggini accennando ogni minuzia; ma intendo di estendermi su molte di quelle particolarità, che, sapute, contribuir potranno allo studio dell’uomo in genere; della qual pianta non possiamo mai individuare meglio i segreti che osservando ciascuno se stesso.
Non ho intenzione di dar luogo a nessuna di quelle altre particolarità che potranno risguardare altre persone, le di cui peripezie si ritrovassero, per così dire, intarsiate con le mie: stante che i fatti miei bensì, ma non già gli altrui, mi propongo di scrivere. Non nominerò dunque quasi mai nessuno, individuandone il nome, se non se nelle cose indifferenti o lodevoli.
Allo studio dunque dell’uomo in genere è principalmente diretto lo scopo di questa opera. E di qual uomo si può egli meglio e più dottamente parlare, che di se stesso? quale altro ci vien egli venuto fatto di maggiormente studiare? di più addentro conoscere? di più esattamente pesare? essendo, per così dire, nelle più intime di lui viscere vissuto tanti anni?
Quanto poi allo stile, io penso di lasciar fare alla penna, e di pochissimo lasciarlo scostarsi da quella triviale e spontanea naturalezza, con cui ho scritto quest’opera, dettata dal cuore e non dall’ingegno; e che sola può convenire a così umile tema.