Versi sciolti dell'abate Carlo Innocenzio Frugoni/2
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AL SIG. CO: AURELIO BERNIERI
Ornatissimo Cavaliere.
Desto mi son, che il Cacciator non lungi
Romoreggiando per le secche stoppie
Giva inseguendo, e ne le tese reti
5Cacciando le pedestri, incaute quaglie
Immemori de l’ali, e de la fuga:
Nè so, perche di buon mattin mi sia
Desto oltre 1’uso. Su le mie palpebre
Vapor tenace di soave sonno
10Dai papaveri suoi Morfeo diffonde,
E rado, anzi non mai rinascer veggio
La nimica de i Ladri, e degli Amanti
Ridente Sposa, che de i fior nudrice
Del rugoso Titon lasciar s’affretta
15I vani amplessi, e le infeconde piume.
Pur non potendo le vegghianti ciglia
Più ricomporre in placida quiete
Presi a pensar sotto le molli coltri
A me si care, or che sentir si fanno
20A i dilicati, ed a i Poeti infeste
Le fresche mattutine aure d’Autunno,
Presi, dico, a pensar per quante vie
Desiosa d’onor schiera d’ingegni
Poggiar s’affanni sul canoro Monte
25Per aver colatsù, se pure a Febo
Sarà in grado, e a le Dee, dotta ghirlanda
Di sacro Lauro, e d’amoroso Mirto.
Questi tentando su le dubbie scene
Di murate fortune illustri esempli
30Grave si calza il Sofocleo Coturno,
E quando estima in Teatrale Arena
Del taciturno Popolo, che ascolta
Di fscreto terror compunger l’Alme,
E di pietade, che furtiva i volti
35D’inaspettate lacrime cosperga,
Vede nojosa, e come marmo fredda
L’accolta Gente, che su i folti scanni
Si torce sbadigliando, e lassa chiede
Che d’alto in giù la mal sospefa tela
40Caggia, e l’ingrato recitar finisca.
Quegli in cor volge, e ne le lunghe notti,
E su le chete, e limpide mattine
Va meditando, se pur possa a i fonti
Ber del culto Petrarca, e gentilmente
Com’egli feo, filosofar d’amore.
45Altri poi schivo di servil catena
Prova, se col favor de l’alma Euterpe
Possa emulando il Savonese ardito
Nove liriche vie, novi colori
Crear cantando, e su le proprie penne
50Libero, e novel Cigno a i Numi alzarsi;
Ma chi di Sorga a i puri rivi attinga
Raro è assai più, che sul dorato Gange
L’augel che ardendo in odoroso rogo
Incontro al Sol dal cener suo rinasce:
55So ben, che imitatrice immensa turba
Del maggior Toseo pochi sensi, e poche
Ricerche parolette, e scelti modi
Mal ne’suoi versi dilombati, e d’arte
Voti, e di genio a gran fatica intesse,
60E povera del suo, mal fra suoi cenci,
Senza rossor del disadatto furto,
Par s’argumenta, e d’ostentar non pave
Splendenti strisce di purpureo panno.
Chi poi vago di gir per anco intatte
65Da poetico piè strade, che primo
Pindaro tenne, e con felice ardire
Flacco poi corse, e ricalcò di poi
Il Savonese mio, che primier seppe
Pien d’immagini vive, e caldo d’estro
70Armar di Greche, e di Latine corde
L’Itala cetra, oh come a i passi incerti
In sul duro cammin sente, che in breve
Manca lena, e consiglio, e come tardi
Scorge, che a pochi da le Muse è dato
75Stampar perenne, e memorabil’orma
Su quei sentier ricchi di luce, e sparsi
Di velato saper, che de l’ignaro
Vulgo fugge gli sguardi, e i Saggi suole
Ferir di meraviglia, e di diletto!
80Io più ch’altri, mel so, che mal soffrendo
Soverchie leggi al poetar prescritte
Solo feconde d’abborrito stento,
Non senza studio, di natura volli,
Come de la miglior Maestra prima
85Ir secondando i buon principi, e i moti;
E quasi nuotator, che usato, ed atto
Senza corteccia a contrastar con l’onda
Fra ’l nautico favor si lascia addietro
Lo stuol seguace, e l’arenosa riva,
90Ne le nervose gambe, e ne l’esperte
Braccia affidato, e ne l’audace petto,
Senza sostegno, e guida anch’io credei
Franco poter per l’Apollineo Regno
Prender, qual mi piacea, lunge da gli altri
95Novo viaggio, e forse il presi, e forse,
Quando, me fatto già invisibil’ombra,
Vivo il mio nome prenderassi a scherno
La gelid’urna, e le ragion di morte,
Ne farà fede ogni lontano tempo
100Giudice più sincero, e ne’ miei carmi
Non solo certa esterior vaghezza
Di forme, e di fantasmi, e certo dono
Facile di cantar, ma pur fra i lumi
Del difficile stil, come fra belle
105Adorne vesti signoril Matrona
Troverà involte quell’egregie cose,
Che acconciamente trae Poeta accorto
Da le scienze, e dir s’udrà: Costui
Vide, e conobbe ancor le illustri scole.
110 Come poi raro sia, chi dopo Plauto
Padre del riso, e de i giocosi sali,
E il candido Terenzio agguagli il prisco
Menandro, e a i nostri dì pregio a le Tosche
Poche leggiadre auree Commedie accresca,
115Bernier, tei vedi. A talun facil sembra
Cingersi l’umil socco, e sul Teatro
Condur malvagio servo, o troppo dolce
Credula Madre, o simulante Figlia,
Che di secreto Amor pungol già sente,
120O indocile garzon, che al ben rinchiuso,
E riposto tesor del Padre avaro
Tende incessanti insidie, e a goder dato
L’ore presenti, l’avvenir non cura;
Ma quando in questo faticoso guado
125Poi mette i pronti remi, oh quanti incontra
Non preveduti, sventurati inciampi
D’occulte secche, dove urtando rompe,
Che malagevol è, senza dolore
Turpezza rinvenir, che riso desti,
130Ed imitando con piacer corregga
Il guasto, e vario popolar costume.
Infin pensai, ch’altri salire in grido
Potria per la sublime Epica tromba,
Che un novo Achille, o un redivivo Ulisse,
135O l’insigne pietà d’ un’altro Enea,
E d’ un’altro Goffredo al Cielo ergesse;
Ma, se il Meonio, o se il Cantor di Manto,
O se non alza da l’augusto Avello
Il gran Torquato l’onorata fronte,
140Penderà muta da quel santo alloro,
Dove di tal Maestri assai contenta
Di propria mano la sospese Apollo.
Questi, ed altri pensier, che per la mente
Come di Maggio ad Alveare intorno
145Ronzanti pecchie, a me giacente in piuma
L’un dopo l’altro si moveano a prova,
Ruppe, e disciolse abil Coppier, che lieto
D’Indiche Droghe, e d’odorata spuma
Largo conforto mi recava in Nappo
150Di Cinese lavoro. Io la man porsi
Al Nettare beato, e poiché a sorso
A sorso l’ebbi delibato, or s’abbia,
Dissi fra me, quante col calcio aperse
Il pennuto destriero acque in Parnaso.
155E quaggiù sol questa Oriental bevanda
Sia l’Aganippe, o l’Ippocrene mio:
Giurando il dissi per l’intonsa, e bionda
Chioma di Febo, per cui dir non oso,
Diletto Aurelio mio, se pur mel credi,
160Menzogna, e il letto abbandonai d’un salto.