Versi del conte Giacomo Leopardi/La vita solitaria

La vita solitaria. Idillio VI

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Lo spavento notturno Elegie
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la vita solitaria

IDILLIO VI


La mattutina pioggia, allor che l’ale
Battendo esulta ne la chiusa stanza
La gallinella, ed al balcon s’affaccia
L’abitator de’ campi, e il Sol che nasce
5I suoi trepidi rai fra le cadenti
Stille tramanda, a la capanna mia
Dolcemente picchiando, mi risveglia;
E sorgo, e i lievi nugoletti, e ’l primo
De gli augelli susurro, e l’aura fresca,
10E le ridenti piagge benedico;
Poichè voi, cittadine infauste mura,
Vidi e conobbi assai, dove si piglia
Lo sventurato a scherno; e sventurato
Io nacqui, e tal morrò, deh tosto! Alcuna
15Benchè scarsa pietà pur mi concede
Natura in questi lochi, un giorno oh quanto
Verso me più cortese. E tu pur volgi
Da i miseri lo sguardo; e tu, sdegnando
Le sciaure e gli affanni, a la reina
20Felicità servi, o Natura. In cielo,
In terra amico a gl’infelici alcuno

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E rifugio non resta altro che il pianto.
     Talor m’assido in solitaria parte,
Sovra un rialto, al margine d’un lago
25Di taciturne piante incoronato.
Ivi quando il meriggio in ciel si volve,
La sua tranquilla imago il Sol dipinge,
Ed erba o foglia non si crolla al vento,
E non onda incresparsi, e non cicala
30Strider, nè batter penna augello in ramo,
Nè farfalla ronzar, nè voce o moto
Da presso nè da lunge odi nè vedi.
Tien quelle rive altissima quiete;
Ond’io quasi me stesso e ’l mondo obblio
35Sedendo immoto; e già mi par che sciolte
Giaccian le membra mie, nè spirto o senso
Più le commova, e lor quiete antica
Co’ silenzi del loco si confonda.
     Amore amore, assai lungi volasti
40Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno,
Anzi rovente. Con sua fredda mano
Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto
Nel fior de gli anni. Mi sovviene il tempo
Che mi scendesti in seno. Era quel dolce
45E irrevocabil tempo, allor che s’apre
Al guardo giovanil questa infelice

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Scena del mondo, e gli sorride in vista
Di paradiso. Al garzoncello il core
Di vergine speranza e di desio
50Balza nel petto; e già s’accinge a l’opra
Di questa vita come a danza o gioco
Il misero mortal. Ma non sì tosto,
Amor, di te m’accorsi, e ’l viver mio
Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi
55Non altro convenia che ’l pianger sempre.
Pur se talvolta per le piagge apriche,
Su la tacita aurora o quando al sole
Brillano i tetti e i poggi e le campagne,
Scontro di vaga donzelletta il viso;
60O qualor ne la placida quiete
D’estiva notte, il vagabondo passo
Di rincontro alle ville soffermando,
L’erma terra contemplo, e di fanciulla
Che a l’opra di sua man la notte aggiunge
65Odo sonar ne le romite stanze
L’arguto canto; a palpitar si move
Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna
Tosto al ferreo sopor; ch’è fatto estrano
Ogni moto soave al petto mio.
     O cara Luna, al cui tranquillo raggio
71Danzan le lepri nelle selve; e duolsi

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A la mattina il cacciator, che trova
L’orme intricate e false, e da i covili
Error vario lo svia; salve o benigna
75De le notti reina. Infesto scende
Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro
A deserti edifici, in su l’acciaro
Del pallido ladron ch’a teso orecchio
Il fragor de le rote e de’ cavalli
80Da lungi osserva o il calpestio de’ piedi
Sul tacito sentier; poscia improvviso
Col suon de l’armi e con la rauca voce
E col funereo ceffo il core agghiaccia
Al passegger, cui semivivo e nudo
85Lascia in breve tra’ sassi. Infesto occorre
Per le contrade cittadine il bianco
Tuo lume al drudo vil che de gli alberghi
Va radendo le mura e la secreta
Ombra seguendo, e resta, e si spaura
90De le ardenti lucerne e de gli aperti
Balconi. Infesto a le malvage menti,
A me sempre benigno il tuo cospetto
Sarà per queste piagge, ove non altro
Che lieti colli e spaziosi campi
95M’apri alla vista. Ed io soleva ancora,
Bench’innocente io fossi, il tuo vezzoso

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Raggio accusar ne gli abitati lochi,
Quand’ei m’offriva al guardo umano e quando
Umani volti al mio guardo scopria.
100Or sempre loderollo, o ch’io ti miri
Veleggiar tra le nubi, o che serena
Dominatrice de l’etereo campo
Questa flebil riguardi umana sede.
Me spesso rivedrai solingo e muto
105Errar pe’ boschi e per le verdi rive,
O seder sovra l’erbe, assai contento
Se lena e core a sospirar m’avanza.