Vera storia di due amanti infelici ovvero Ultime lettere di Iacopo Ortis (1912)/Lettera XVIII
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LETTERA XVIII
Padova...
... onde tu vedi ch’io devo drizzar gli occhi soltanto al raggio di salute, che il caso propizio mi ha presentato. Ma, ti scongiuro, risparmia il solito intercalare: — Iacopo! Iacopo! questa tua indocilitá ti fa divenire misantropo. — E ti pare che, se odiassi gli uomini, mi dorrei, come fo, de’ lor vizi? Tuttavia, poiché non so riderne e temo d’imbrattarmi, io stimo miglior partito la ritirata. E chi mi affida dall’odio di questa razza d’uomini tanto da me diversa? Né giova disputare onde scoprire per chi stia la ragione: non lo so, né la pretendo tutta per me. Quel che importa di sapere, si è (e tu in ciò sei meco d’accordo) che quest’indole mia schietta, ferma, leale, o piuttosto ineducata, tenace, imprudente, e la religiosa etichetta, che veste d’una stessa divisa tutti gli esterni costumi di costoro, non si confanno, perché davvero io non mi sento in umore di cangiar d’abito. Per me dunque è disperata perfino la tregua, anz’io sono in aperta guerra, e la sconfitta è imminente; perché non so nemmeno combattere con la maschera della dissimulazione, virtú d’assai credito e di maggiore profitto. Ve’ la gran presunzione! Io mi reputo men deforme degli altri, e sdegno perciò di contrafarmi; anzi, buono o reo ch’io mi sia, ho la generositá o, di’ pure, la sfrontatezza di presentarmi nudo e quasi quasi come la madre natura mi ha fatto. Che se talvolta io dico a me stesso: — Pensi tu che la veritá in bocca tua sia men temeraria? — io da ciò ne desumo che sarei matto, se, avendo trovato nella mia solitudine la tranquillitá de’ beati, i quali s’imparadisano nella contemplazione del sommo bene, io, per... «per evitare il pericolo d’innamorarmi» (ecco la tua stessa espressione), mi commettessi alla discrezione di questa turba cerimoniosa e maligna.