Valore delle ipotesi in Biologia

Giovanni Canestrini

1894 testi scientifici testi scientifici Valore delle ipotesi in Biologia Intestazione 19 maggio 2008 75% testi scientifici

Paulo Fambri ha trattato, nella solenne adunanza del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti del 29 maggio 1892, del metodo positivo nella scienza e nella vita, ed in quel discorso ha discusso intorno a molti argomenti, che qui devo passare sotto silenzio, ed anche del positivismo nelle scienze biologiche che ci interessa da vicino1.

L'autore ha parlato lungamente ed a più riprese delle ipotesi, delle quali non si mostra innamorato, cui anzi attribuisce, forse sulle orme del De Quatrefages, un valore inferiore al vero. «L'ipotesi, egli dice, non è niente altro che una artificiosa dipendenza stabilita fra alcuni fatti, i quali non presentano né dimostrabile, né ben visibile nesso. Tale dipendenza ideale è un surrogato di quella veramente reale ed oggettiva, cui non è giunta ancora l'umana attività». Secondo lui, chi forma un'ipotesi non può credere di avere scoperto il vero nesso obbiettivo delle cose, ma sa di proporre, per intanto, un collegamento artificiale per esse. «Qualche volta, egli soggiunge, si ha la speranza di azzeccare, qualche altra no». Può darsi che le ipotesi della filosofia speculativa sieno tali, quali le definisce il Fambri; nelle scienze positive le ipotesi hanno ben altro significato e ben altro valore.

Siccome il Fambri condanna le ipotesi in massa, è naturale che respinga il darwinismo; infatti nel suo discorso, nel quale si parla di moltissime cose e di altrettanti uomini, non trovasi alcun cenno a questa teoria, quantunque l'occasione di parlarne in un senso o nell'altro si fosse presentata sovente e quasi imperiosa.

Il Mantegazza ha giudicato le ipotesi sotto un aspetto veramente geniale, considerandole come lavori di approccio che ci avvicinano alla cittadella dell'ignoto, ma non ci permettono mai di conquistarla d'un solo assalto. «E così — egli dice — come nella strategia militare una parallela tiene dietro all'altra, finché l'ultima ci fa entrare nella piazza assediata, così vediamo nella storia della scienza una teoria tener dietro all'altra, finché l'ultima da ipotesi diventa la vera e genuina teoria del fatto ignoto».

Il darwinismo è un'ipotesi, nessuno lo nega; eppure esso fu accolto con entusiasmo da un grande numero di biologi. Fra i nostri, potrei citarne molti, fra i quali De Filippi, Lessona, Capellini, Strobel, Mantegazza, Issel, Todaro, Grassi, Camerano, Morselli, Penzig, ecc. Il Buccola, già molti anni fa, disse che «le discipline biologiche resterebbero eternamente infeconde, se non fossero avvivate dal soffio potente del darwinismo»; ed il dott. Giacomo Cattaneo riassunse un suo libro sul darwinismo colle seguenti parole: «La teoria evolutiva dei vegetali e degli animali, con l'aiuto di fatti semplici e da tutti ammessi, e facilmente riscontrabili, quali sono l'influenza del nutrimento e del clima, la concorrenza vitale, la selezione naturale e sessuale, la variazione che da esse tutte consegue, e l'eredità dei caratteri che perpetua, moltiplicandoli, i mutamenti avvenuti, riesce a dare plausibile spiegazione dei fenomeni finora osservati negli organismi, specialmente per ciò che riguarda la formazione delle loro diverse specie, la loro successione nei tempi geologici, il loro sviluppo embrionale, la loro anatomia comparativa. Essa ha dunque tutti i caratteri di una teoria scientifica; e le conclusioni, che se ne traggono, posseggono un alto grado di probabilità»2.

Respingano pure il De Quatrefages ed altri la teoria darwiniana pel solo fatto che è un'ipotesi, ma la generalità dei biologi penserà col Mantegazza che, se la teoria del Lamarck fu una parallela strategica, questa del Darwin è un'altra parallela che ci avvicina maggiormente alla cittadella che vogliamo espugnare.

L'ipotesi, peraltro, perché possa essere presa in considerazione, deve possedere due qualità: l'una di essere suggerita da un sufficiente numero di fatti bene accertati, l'altra di non essere contraddetta da alcun principio scientifico già stabilito. Mancando l'una o l'altra od ambedue queste qualità, non si può parlare di ipotesi scientifica o legittima, ma soltanto di vedute individuali o di ragionamenti più o meno speciosi. Piuttosto che proporre con tale mezzo la soluzione di un grande problema, vale meglio confessare la propria ignoranza e raccogliere quelle conoscenze positive speciali che in seguito potranno servire a stabilire un'ipotesi scientifica o fors'anco a risolvere definitivamente il problema.

L'ipotesi deve avere una terza qualità per essere legittima, cioè di spiegare direttamente i fatti che l'hanno suggerita senza che occorra ricorrere ad ipotesi subordinate alla prima, e ad altre ancora subordinate alla terza, e via di seguito. Un procedimento siffatto può impiegarsi dai filosofi speculativi, non da uno scienziato positivo. Purtroppo, nelle scienze naturali, questo sistema è stato seguito da un uomo eminente quale il Weismann, al quale il Romanes3 ha fatto questo giusto rimprovero: «Sebbene la grande potenza speculativa del Weismann sia accoppiata ad una profonda conoscenza di tutti i rami della biologia, debbo nondimeno esprimere il sospetto che le sia stata accordata soverchia libertà. Purché si possano collegare insieme a mezzo di un legame logico, le ipotesi seguono alle ipotesi in tale copia, quale non si rinviene che nelle opere dei metafisici, e raramente, nemmeno in misura approssimativa, in quelle dei naturalisti. Tutto il meccanismo dell'eredità è così minutamente dipinto e svolto esattamente con convinzione che si ricorre col pensiero alla topografia che Dante ha dato dell'Inferno. Non solo la sfera del plasma germinativo consta di nove cerchie (molecole, biofore, determinanti, idie, idantie, idioplasma, somatoplasma, morfoplasma, apicalplasma), ma il nostro duce sa mostrarci in ciascuno di questi distretti fenomeni così strani e meravigliosi, che ritorniamo volentieri nel regno della scienza come se fossimo reduci da un altro mondo. Per esprimermi altrimenti, se un giudizio scientifico consiste nell'allentare con una mano le redini alla speculazione e nel frenare coll'altra il raziocinio entro i limiti dell'esatta dimostrazione, devesi, a mio avviso, ammettere, che il Weismann, per quanto è in errore, sia corso sopra un carro destituito di freni».

Queste sono, se vere, divinazioni che possono forse destare l'entusiasmo; ma l'ipotesi scientifica è più soda, più positiva, meno soggetta all'ammirazione ma anche meno esposta alla critica.

Chi respinge le ipotesi, si spoglia di un buon strumento di progresso scientifico; ma, d'altra parte, è ottimo consiglio di essere guardinghi nell'accettarle. Il Mendenhall ha scritto recentemente nel periodico «Science» di Nuova York4 un bell'articolo su quest'argomento, in cui dimostra quanto sia facile di arrivare a conclusioni errate quando si emettano leggermente ipotesi non legittime. La biologia può però dimostrare che in molti casi le ipotesi sono state utilissime.

Il Goethe, colpito dalla vista di un cranio di montone e l'Oken da quella di un cranio di cervo, sono arrivati indipendentemente l'uno dall'altro a stabilire la teoria vertebrale del cranio. È vero che poscia l'embriologia non ha trovato interamente accettabili le loro idee; ma il concetto della somiglianza fra le ossa del cranio dei vertebrati con quelle della colonna vertebrale rimase inconcusso e condusse alla teoria segmentale del cranio proposta dal Gegenbaur.

Un altro esempio è citato dal Todaro nel suo discorso intorno al metodo sperimentale nella scienza della vita5. C. Bell, avendo osservato che nella faccia i rami del nervo comunicante terminano tutti nei muscoli e quindi sono esclusivamente motori e che viceversa tutti quelli del trigemino vanno alla pelle e alla mucosa e quindi sono esclusivamente sensitivi, indusse che le due serie di radici dei nervi spinali sono le une motrici, le altre sensitive. Questa ipotesi venne confermata dall'esperimento e costituisce una delle più grandi scoperte fatte dalla fisiologia nel nostro secolo.

La teoria della gastrula, sostenuta da Haeckel, era in origine una ipotesi sorretta da un numero di osservazioni molto esiguo; ma essa ha spinto gli embriologi alla ricerca della gastrula in tutti gli animali superiori al protozoi, ed in un grande numero di essi la gastrula, sebbene sovente modificata, venne rinvenuta, anzi ultimamente si dimostrò la di lei esistenza anche nei mammiferi e nell'uomo nei primordi del loro sviluppo individuale, così che oggi si ha quasi la certezza che tutti i metazoi attraversino una fase gastrulare.

«Mi pare — dice il Todaro — si possa affermare, come i procedimenti pei quali si giunge alla conoscenza del vero nelle scienze biologiche, non differiscano dai metodi coi quali i fisici ed i chimici hanno stabilite le loro teorie. Noi, com'essi, partiamo dalla esatta osservazione e ci serviamo di astrazione e generalizzazione, d'ipotesi e di induzioni per giungere alla scoperta delle leggi fondamentali che regolano la vita».

Fra tutte le scienze positive, peraltro, la biologia ha più frequente bisogno delle altre di ricorrere all'ipotesi, ciò che è dovuto alla complessità dei fatti o fenomeni di cui essa si occupa. Il Comte ha certamente torto, quando dice che i fenomeni organici non possono essere studiati che in modo meno esatto e meno sistematico dei corpi bruti; ma non si può negare che in questa frase vi sia un fondamento di verità.

L'Huxley contraddice a questa asserzione, ed a sostegno della contraria cita i muscoli che si contraggono e che divengono nello stesso tempo più corti e più grossi senza cambiare di volume, e la legge morfologica, secondo la quale gli animali che allattano i loro piccini hanno due condili occipitali, e molti altri risultati avrebbe potuto addurre che nei riguardi dell'esattezza non la cedono punto a quelli conseguiti dalle scienze del mondo anorganico.

Giova tuttavia osservare che l'assoluta esattezza in biologia è un frutto che si matura lentamente, e troppo sovente avviene che ciò che ieri si riteneva una conquista della scienza, oggi debba considerarsi come un errore. Perfino la legge enunciata dall'Huxley come tipo della precisione e sopra menzionata non va esente da ogni obbiezione, perché, secondo le osservazioni di Hunter e di altri, vi sono degli uccelli che allattano i loro piccini (piccioni, canarini), e gli uccelli hanno un solo condilo occipitale. Questo latte non è il secreto di ghiandole mammarie, ma dell'ingluvie; è però latte, od una sostanza ad esso affine, sia che lo si consideri dal lato chimico o fisiologico.

È noto quanti discorsi sieno stati fatti dagli zoologi e dai fisiologi intorno alla morte apparente di alcuni animali, e cioè dei rotiferi e di alcuni gordiacei, fenomeno che si considerava come inesplicabile, perché si compendiava, massime riguardo ai rotiferi, in una vera risurrezione. Fino all'anno scorso la reviviscenza dei rotiferi, dopo parecchi anni di morte apparente, non poteva essere revocata in dubbio, perché sostenuta da osservazioni, che sembravano inappuntabili, di sommi osservatori, come il Leeuwenhoeck, lo Spallanzani, il Fontana, ed altri; oggi le cose sembrane mutate, perché il dottore Fausto Faggioli sostiene con buoni argomenti che i predetti naturalisti si sono ingannati, avendo considerato come rotiferi redivivi i rappresentanti d'una nuova generazione.

La difficoltà di conseguire in biologia risultati certi è attestata dal fatto che di raro possiamo cimentarci sulla via della previsione, e che in ogni caso non facciamo le meraviglie se questa fallisce. Se un oggetto, abbandonato a sé nel vuoto, non cadesse, il fisico sarebbe colto da stupore; se due corpi, chimicamente puri, uniti insieme non dessero il prodotto preveduto, il chimico potrebbe gridare al miracolo; invece il fisiologo, cui non riesce lo sperimento, sa troppo bene che vi sono fonti innumerevoli di insuccesso per sgominarsi, e quindi ritenta la prova in altro modo o con altri mezzi. La legge dell'eredità è fra le meglio stabilite e meglio conosciute, e tuttavia, se si fa il connubio fra due animali o due piante di sesso diverso, nessuno sa prevedere con certezza quali caratteri avranno i figli, prescindendo, bene inteso, dai caratteri specifici ed in alcuni casi da quelli di razza o varietà. Il Lemoigne, il Mantegazza ed il Morselli hanno tentato di raccogliere questi caratteri in una formola matematica, ma di matematica non c'è che la forma, giacché una parte degli elementi dell'equazione si compone di ignote, e la trasmissione dei caratteri acquisiti è negata da un uomo autorevolissimo come è il prof. Weismann.

Tutto ciò nonostante, le scienze biologiche rientrano nella cerchia delle scienze positive al pari di quelle che studiano il mondo anorganico, perché nelle loro operazioni si valgono dell'osservazione e dello sperimento. È quindi il metodo di ricerca che dà ad una scienza il suo carattere di positivismo, il quale metodo, alla sua volta, è bensì garanzia della serietà dei risultati, ma non della infallibilità dell'operatore, massime se l'azione di questo si esplica in un campo sì irto di spine quale è quello della biologia.

Il Comte ha quindi ragione, se nel passo precitato allude alla difficoltà di conseguire in biologia risultati certi e sicuri, ma ha torto se ne incolpa il metodo, il quale, quando è quello delle scuole positive, è egualmente «esatto e sistematico», sia che si tratti dello studio dei corpi organici o dei corpi bruti. Il Fambri, prendendo parte alla discussione fra il Comte e l'Huxley, mette le cose al loro posto quando asserisce che «i corpi anorganici possono venire studiati con maggiore comodità, e come quelli che risultano da minor numero di fattori, sono più facilmente apprezzati nei loro speciali caratteri».

A questo punto devo menzionare l'analogia, della quale le scienze biologiche si valgono largamente e che può essere fonte di errore, specialmente se questo strumento di giudizio sia maneggiato con poca cautela e circospezione. Nello studio del mondo anorganico l'illazione per analogia dà la certezza, perché, a modo di esempio, una sostanza pura, non turbata nel processo di aggregazione molecolare, deve dare cristalli con angoli e spigoli esattamente calcolati; mentre in biologia si afferma bensì «ab ungue leonem», ma si corre il pericolo di ingannarsi, come troppo frequentemente è avvenuto. La paleontologia può darci, a questo riguardo, utili insegnamenti, anche prescindendo dal famoso «homo diluvii testis».

Se noi possiamo assorgere a concetti generali, astratti, lo facciamo coll'aiuto dell'analogia, la quale ci permette di estendere i risultati di un'osservazione o di uno sperimento istituito sopra alcuni organismi a tutti gli organismi sistematicamente affini; così l'Huxley, prima di esporre la legge morfologica summenzionata, non ha certamente contato i condili occipitali di tutti gli animali che allattano i loro piccini; né Giovanni Müller ha sezionato tutti gli individui di tutte le specie dei vertebrati per asserire che in questa serie il sistema nervoso centrale non è trapassato dall'esofago. Del pari, i botanici e zoologi, quando dànno la diagnosi delle specie, dei generi, ecc., sono ben lontani dall'avere esaminati tutti gli individui che appartengono a queste categorie, e quindi s'appoggiano all'analogia. Questo è un potente fattore di progresso, perché nella biologia i concetti generali rappresentano l'abbreviazione del pensiero; ma non usato convenientemente, può condurre a risultati inesatti. La storia delle scienze biologiche prova l'esattezza di quest'asserzione: basta ch'io ricordi come tutte le definizioni delle piante e degli animali sieno cadute davanti ad una critica severa, e come alcune classificazioni degli animali debbano essere rivedute o rifatte.

Rimane a vedere onde scaturisca questa forza, che sembra tanto misteriosa, dell'analogia. Chi considera le cose con mente spassionata, non può non vedere dietro le quinte il «concetto della discendenza». Forme sistematicamente affini, ossia collegate da un vincolo di parentela, non possono essere dissimili, perché in esse deve dominare sovrana la legge della eredità.

Concludendo intorno a questo speciale argomento, sarebbe eresia il negare alle scienze biologiche la qualifica di positive; ma è certo, d'altra parte, che il mondo organico, del quale esse si occupano, colla sua complessità e fluttuazione rende le loro conquiste tarde e difficili.

Il Fambri sfiora anche la questione fisio-psicologica ed esclama: «Per oggi ignoramus»; quanto all'«ignorabimus», non pretende che altri, più fiduciosi, lo ripetano.

Che i quesiti che si riferiscono alla psiche sieno molto oscuri, è impossibile di negare. La psicologia introspettiva ha fatto molti sforzi per diradare alquanto queste tenebre, ma non è riescita nel suo intento, e pare ormai che su questa via sia difficile di progredire. Fra le tante difficoltà che incontra l'introspezione, che meglio potrebbe chiamarsi autospezione, vi ha pur questa, che l'uomo è oggetto e soggetto, fenomeno e noumeno nello stesso tempo, per cui, fra le altre cose, è facile che nell'osservazione del proprio interiore egli trovi ciò che vuole o almeno desidera di trovare.

Visti gli insuccessi della psicologia, la biologia s'è messa al lavoro per vedere se poteva essere più fortunata.

Questi tentativi della fisiologia sono ancora recenti ed i risultati fin qui ottenuti mostrano per conseguenza di essere vaghi ed immaturi.

Nondimeno gli studi recenti hanno gettato qualche sprazzo di luce su questi problemi, così che si può intravvedere la soluzione di due ardui quesiti, di cui l'uno riguarda la natura della psiche, l'altro la psicogenesi.

La fisio-psicologia è ricca di molti ed esatti sperimenti, i quali tutti tendono a dimostrare che l'eccitamento sensitivo impiega un certo tempo, che è il tempo fisiologico o di reazione, per convertirsi in impulso motore. Questo tempo varia a seconda delle persone e delle circostanze e può essere misurato con cronometri perfezionati. Sembra quindi che gli atti psichici, oltre che nello spazio, ossia entro i ganglii encefalici, si compiano in un determinato tempo. Tale conclusione è avvalorata da un fatto di qualche importanza, dal fatto cioè che ogni atto psichico, anche il meno faticoso, produce un aumento della temperatura del cervello.

Se a ciò si aggiunge che anche le attitudini psichiche sono ereditarie, che le facoltà mentali stanno in diretto rapporto allo sviluppo delle masse ganglionari nervose, e che lo stato psichico varia col variare della qualità e della quantità del sangue che irrora il cervello, dovremo ammettere che la fisio-psicologia non ha lavorato indarno.

Può sorgere dubbio intorno alla ereditarietà delle attitudini psichiche, perché molti argomenti militano in favore, ed altri contro, e gli autori stessi si dividono in due partiti opposti l'uno all'altro; ma a questo riguardo sembrano accettabili le idee del Weismann, che cioè non già un talento particolare sia ereditario, ma piuttosto una superiorità generale dell'ingegno, che poi può esplicarsi in maniera diversa. «Mi sembra - egli dice6 - che il talento derivi da una fortunata combinazione di attitudini ereditarie mentali, sviluppatesi in una determinata direzione ed in generale assai elevate».

Quanto alla psicogenesi, la biologia c'insegna che anche le piante sono sensibili, specialmente le loro spore non peranco rivestite di una membrana composta di cellulosa, e le loro parti radicali od aeree giovani in via di crescenza; che altrettanto, a maggior ragione, lo sono gli infimi animali, ancora che in essi non sia specializzato un sistema nervoso; che salendo dalle monere all'uomo le funzioni psichiche vanno, in generale, complicandosi parallelamente allo sviluppo del sistema nervoso; e che, infine, un perfezionamento corrispondente noi lo troviamo se seguiamo gli animali più elevati e l'uomo stesso nella loro ontogenesi, tenendoli cioè in vista dai primi stadi del loro sviluppo fino alla maturità.

Sono trascorsi dodici anni da che l'Haeckel ha pubblicato il suo saggio di psicologia cellulare che ha fatto progredire grandemente la psicologia comparata. Che esista una vita psichica non soltanto nell'uomo e negli altri vertebrati, ma anche negli insetti, nessuno dubita già da lungo tempo, specialmente dopo i classici lavori di Huber sugli insetti; ma che anche i coralli, le spugne ed i protozoi, dove parrebbe che non dovessero palesarsi che nudi fatti meccanici, possedessero un'anima, l'ha affermato e propugnato con buoni argomenti l'Haeckel nell'opera citata.

Quest'autore, dal concetto che la vita in genere non è di necessità collegata alla forma, cioè a corpi morfologicamente differenziati, discende a quell'altro che l'attività psichica, nel suo più largo significato, non è esclusivo attributo della sostanza nervosa. Vita e psiche, secondo lui, sono fenomeni strettamente legati l'uno all'altro, così che questo sorge e si perfeziona col sorgere e svilupparsi dell'altro.

Le idee dell'Haeckel ebbero buona accoglienza presso i biologi, e, fatto interessante, anche presso molti filosofi. Fra questi menziono il Sergi che è anche antropologo, il quale scrisse di proposito sull'origine dei fenomeni psichici7 ed ha un capitolo (cap. settimo) intitolato: «La psiche e la vita». «La psiche — egli dice (p. 106) — e la vita... non sono due cose, due attività distinte e diverse, ma sono come una funzione rispetto al complesso delle funzioni, come la nutrizione e la riproduzione rispetto alla vita. La psiche è una funzione della vita, nulla più, nulla meno... La vita psichica, per noi, comincia parallelamente alla vita di nutrizione, o alla vita fisica, per adoperare le parole di Spencer».

Anche ammesso tutto ciò come dimostrato, i suddetti problemi non sarebbero peranco risolti; ma tuttavia una cosa apparisce chiara, ed è che il dualismo non è in grado di portare alcuna luce su di essi, mentre il monismo ci avvia almeno verso la loro soluzione.

Per riassumere questo breve capitolo, dirò quanto segue:

I. Il naturalista non può essere avverso all'ipotesi, quando questa sia fondata sopra fatti positivi, nel quale caso sovente non solo è utile, ma necessaria per raggruppare sotto un unico punto di vista dei fenomeni che altrimenti resterebbero slegati e dare di essi una spiegazione almeno provvisoria. Se la fisica, pur tanto sussidiata dalla matematica, e la chimica nonostante l'esattezza delle sue formole, ricorrono alle ipotesi per la spiegazione dei loro principii fondamentali, non è giusto di negare questo mezzo di ricerca alla biologia che nel suo cammino trova molti ostacoli da superare.

II. Sebbene la biologia debba ricorrere sovente all'ipotesi, massime quando si tratta di spiegare i fenomeni essenziali della vita, pure per il metodo che segue, il quale il più delle volte la conduce a risultati incontestabili, è una scienza eminentemente positiva, né questa qualifica può essere revocata in dubbio dal fatto che le difficoltà della investigazione o dello sperimento non sono sempre felicemente superate.

III. Nelle questioni che riguardano la psiche, da lungo tempo discusse senza risultati soddisfacenti, la biologia col suo indirizzo monistico ha aperto la via a molteplici ricerche che saranno probabilmente feconde di buoni risultati.


Note

  1. Vedi «Atti del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti», serie VII, tomo IV, Venezia, 1893.
  2. Darwinismo, Saggio sulla evoluzione degli organismi, Milano, 1880.
  3. Eine kritische Darstellung der Weismann'schen Theorie, trad. Fiedler, Leipzig, 1893, p. 126.
  4. Vol. XX, n. 492, 1892.
  5. «Ricerche fatte nel Laboratorio», vol. III, fase. 1°, 1893, p. 10.
  6. Ueber die Vererbung, Iena, 1883, p. 45.
  7. «Biblioteca scientifica internazionale», vol. XL, Milano, 1885.