Vae Victis/Parte terza/XXI
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XXI.
Nei primi giorni di maggio, il lento fiume Ourthe e la spumeggiante Aisne, incontrandosi nei pressi di Bomal, si salutarono coi soliti frizzi e spruzzi. «Eccoti qui, pettegola,» brontolò l’Ourthe. «Non si può mai fare questa strada in pace.»
«Sei tu che ti spingi vicino.» protestò l’Aisne. «Guarda che gomito fai! Stammi più lontano.»
«Devo pur passare sotto il ponte,» borbottò l’Ourthe.
«Anch’io!»
«Ah, vedo già che tu vuoi farmi straripare,» gorgogliò l’altro stringendosi nelle sponde.
«Oh, guarda, guarda!» fece l’Aisne, per cambiar discorso. «C’è una cicogna che passa sopra di noi.
«E che me n’importa?»
«È la cicogna che porta i bambini! Guarda — ne ha uno nel becco!...»
«Farebbe meglio a lasciarlo cadere,» brontolò l’Ourthe; «qui sono molto profondo.»
L’Aisne che lo era poco non comprese il bisticcio. «Come sei plumbeo,» disse, avvicinandosi sempre più, sinuosa e serpentina. «Sarà che vuol piovere.»
«Se piove,» mugghiò l’Ourthe, rabbrividendo, «farai bene a stare nel tuo letto.»
«Io no!» esclamò l’Aisne. «Vengo nel tuo!» E con un balzo gli fu accanto, tutta arricciata e increspata.
«Oh, che ti pigli la Mosa!» spumeggiò l’Ourthe, gonfio ed iroso.
.... E a Liegi la Mosa se li prese tutt’e due.
La cicogna frattanto era volata alta sopra il ponte di Bomal. Scese a cerchi digradanti sopra la casa del dottor Brandès. Pose una zampa sul tetto e si fermò.
Schiuse con precauzione il becco. «Apri gli occhi, bambino umano,» disse: «Eccoci arrivati.»