Vo passegiando dell’aonie dive
     I luoghi senza strada, e da nessuno
     Mai più calcati. A me diletta, e giova
     Gire a vergini fonti a inebriarmi
     5D’onde non tocche. A me diletta e giova
     Coglier novelli fiori, onde ghirlanda
     Peregrina ed illustre al crin m’intrecci,
     Di cui fin qui non adornar le Muse
     Le tempie mai d’alcun poeta Tosco:
     10Pria perchè grandi, e gravi cose insegno,
     E seguo a liberar gli animi altrui
     Da gli aspri ceppi, e da’ tenaci lacci
     Della Religion: poi perchè canto
     Di cose oscure in così chiari versi,
     15E di nettar febeo tutte le spargo.
     Nè questo è, come par, fuor di ragione:
     Poichè, qual se fanciullo infermo langue,
     Fisico esperto alla sua cura intento
     Suol porgergl’in bevanda assenzio tetro,
     20Ma pria di biondo, e dolce mele asperge
     L’orlo del nappo, acciò gustandol poi
     La semplicetta età resti delusa
     Dalle mal caute labbra, e beva intanto
     Dell’erba a lei salubre il succo amaro,
     25Nè si trovi ingannata, anzi consegua
     Solo per mezzo suo vita e salute;
     Tale appunto or facc’io, perchè mi sembra,
     Che le cose, ch’io parlo, a molti indotti
     Potrian forse parer aspre e malvage;
     30E so, che ’l cieco e sciocco volgo aborre
     Da mie ragioni. Io per ciò volli; o Memmio,
     Con soave eloquenza il tutto esporti,
     E quasi asperso d’apollineo mele,
     Te ’l porgo innanzi per veder, s’io posso
     35In tal guisa allettar l’animo tuo;
     Mentre dipinta in questi versi miei
     La natura vagheggi, e ben conosci
     Quanto l’utile sia, ch’ella n’apporta:
Ma perchè innanzi io t’ho provato a lungo,
     40Quali sian delle cose i primi semi,
     E con che varie forme essi per se
     Vadan nel vano errando, e sian commossi
     Dal moto eterno, e come possa il tutto
     Di lor crearsi; ed ho mostrato in oltre
     45La natura dell’animo, insegnando
     Ciò ch’egli siasi, e di quai semi intesto
     Viva insieme co ’l corpo, ed in qual modo
     Torni distratto ne’ principj primi;
     Tempo mi par di ragionarti omai
     50Di quel, che molto in queste cose importa;
     Cioè che quelle immagini, che dette
     Son da noi simolacri, altro non siano,
     Che certe sottilissime membrane,
     Che ognor staccate dalla buccia esterna
     55De’ corpi, or qua, or là volin per l’aura;
     E che quelle medesime, che incontro
     Ci si fanno vegliando, e di spavento
     Empion gli animi nostri, anche dormendo
     Ci si paran davanti allor che spesso
     60Veggiamo ignudi simolacri, ed ombre
     Sì spaventose, e d’ogni luce prive,
     Che ne destan dal sonno orribilmente.
     Acciocchè forse non si pensi alcuno,
     Che del basso Acheronte uscendo l’alme
     65Volin tra’ vivi, o che rimanga intatta
     Qualche parte di noi dopo la morte,
     Quando del corpo, e della mente insieme
     Dissipata l’essenza, il tutto omai
     Avrà ne’ semi suoi fatto ritorno.
70Se dunque io dico, che de’corpi ognora
     Le tenui somiglianze, e i simolacri
     Vengon dal sommo lor vibrati intorno,
     Questi da noi quasi membrane, o bucce
     Debbon chiamarsi; conciossiachè seco
     75Portin sempre d’immagini ’l sembiante,
     E la forma di quello, ond’esse in prima
     Staccansi, e per lo mezzo erran diffuse;
     E ciò quind’imparar, benchè alla grossa,
     Lice a ciascun. Pria, perchè molte cose
     80Vibran palesemente alcuni corpi
     Lungi da se, parte vaganti, e sparsi,
     Come il fumo le querci, e le faville
     Il foco; e parte più contesti insieme,
     Come soglion talor l’antiche vesti
     85Spogliarsi le cicale allor che Sirio
     Di focosi latrati il mondo avvampa:
     O quale appunto il tenero vitello
     Lascia del corpo la membrana esterna
     Nel presepio, ove nasce: O qual depone
     90Lubrico sdrucciolevole serpente
     La spoglia infra le spine, onde le siepi
     Delle lor vesti svolazzanti adorne
     Spesso veggiamo. Or se tai cose adunque
     Si fanno, è ben credibile, che debba
     95Vibrar dal sommo suo qualunque corpo
     Di se medesmo una sottile immago.
     Conciossiachè giammai ragione alcuna
     Assegnar non si può, perchè staccarsi
     Debbiano dalle cose i detti corpi,
     100E noi i più minuti, e più sottili;
     Massim’essendo delle cose al sommo
     Molti piccioli semi, i quai vibrarsi
     Ponno con lo stess’ordine, che prima
     Ebbero, e conservar la stessa forma;
     105E ciò tanto più ratti, quanto meno
     Ponno i pochi impedirsi, e nelle fronte
     Prima hanno luogo. Conciossiachè sempre
     Emergon molte cose, e son vibrate
     Non pur da’ cupi penetrali interni,
     110Com’io già dissi; ma sovente ancora
     Il medesmo color diffuso intorno
     È dal sommo de’corpi, e l’auree vele,
     E le purpuree, e le sanguigne spesso
     Ciò fanno allor che ne’ teatri augusti
     115Son tese, o sventolando in sull’antenne
     Ondeggian fra le travi. Ivi ’l consesso
     Degli ascoltanti, ivi la scena, e tutte
     L’immagini de’padri, e delle madri,
     E degli Dei di color varj ornate
     120Veggonsi fluttuare; e quanto più
     Han d’ogn’intorno le muraglie chiuse,
     Sicchè da’ lati del teatro alcuna
     Luce non passi, tanto più cosperse
     Di grazia, e di lepor ridon le cose
     125Di dentro, avendo in un balen concetta
     L’alma luce del dì. Se dunque il panno
     Dall’esterne sue parti il color vibra,
     Mestiero è pur, che tutte l’altre cose
     Vibrino il tenue simolacro loro;
     130Posciachè quello, e questi è dall’esterne
     Parti scagliato. Omai son certi adunque
     Delle forme i vestigj, che per tutto
     Volano, e son di sottil filo intesti,
     Nè mai posson disgiunti ad uno ad uno
     135Esser visti da noi. L’odore in oltre,
     Il fumo, il vapor caldo, e gli altri corpi
     Simili errar soglion diffusi e sparsi
     Lungi da quelle cose, ond’esalaro;
     Perchè venendo dalle parti interne,
     140Nati dentro di lor per tortuose
     Vie camminando, son divisi, e curve
     Trovan le porte, ond’eccitati al fine
     Tentan d’uscir. Ma pe ’l contrario allora
     Che le tenui membrane dall’estremo
     145Color de corpi son vibrate intorno,
     Cosa non è, che dissipar le possa;
     Perch’elle in pronto sono, e nella prima
     Fronte locate. Finalmente è d’uopo,
     Che ciascun simolacro, che apparisce
     150Negli specchj, nell’acqua, ed in qualunque
     Forbita, e liscia superficie, avendo
     La medesima forma delle cose,
     Ch’egli altrui rappresenta, anche si stia
     Nelle scagliate immagini di quelle.
     155Conciossiachè giammai ragione alcuna
     Assegnar non si può, perchè staccarsi
     Debbiano i corpi, che da molte cose
     Son deposti, o lasciati apertamente,
     E non i più minuti, e i più sottili.
160Son dunque al mondo i tenui simolacri,
     E simili alle forme delle cose,
     I quai benchè vedersi ad uno ad uno
     Non possan; non per tanto a gli occhi nostri
     Con urto assiduo ripercossi e spinti
     165Dal piano degli specchi a noi visibili
     Fannosi al fin, nè par, che in altra guisa
     Deggiano illesi conservarsi, e tanto
     A qualunque figura assomigliarsi.
Or quanto dell’immagini l’essenza
     170Sia tenue, ascolta. E pria, perchè i principj
     Son da’ sensi dell’uom tanto remoti,
     E minori de’ corpi, che i nostri occhi
     Comincian prima a non poter vedere;
     Or nondimeno acciò che meglio provi
     175Tutto quel, ch’io propongo, ascolta, o Memmio,
     Ne’ brevi detti miei, quanto sottili
     Sian d’ogni cosa i genitali semi.
     Pria, sono al mondo sì fatti animali,
     Che la lor terza parte in guisa alcuna
     180Veder non puossi: or qual di questi adunque
     Creder si debbe ogn’intestino? quale
     Del core il globo, e gli occhi?, e quai le membra,
     Quai le giunture? e quai dell’alma in somma
     Gli atomi, e della mente? Or non conosci
     185Quanto piccioli sian, quanto sottili?
     In oltre, ciò che dal suo corpo esala
     Acuto odor, la panacea, l’assenzio,
     E l’amaro centauro, e ’l grave abrotano,
     Se fia mosso da te, vedrai ben tosto
     190Molte effigie vaganti in molti modi
     Prive affatto di forze, e d’ogni senso,
     Delle quai quanto sia picciola parte
     L’immagine, uom non è, che sia bastante
     A dir altrui, nè con parole possa
     195Render di cosa tal ragione alcuna.
Ma perchè tu forse vagar non creda
     Quelle immagini sol, che dalle cose
     Vengon lanciate, altre si creano ancora
     Per se medesme in questo ciel, che detto
     200Aere è da noi. Queste formate in varj
     Modi all’in sù van sormontando, e molli
     Non cessan mai di variar sembianza;
     E novi Protei in qualsivoglia forma
     Cangian se stesse; in quella guisa appunto,
     205Che le nubi talor miransi in alto
     Facilmente accozzarsi, e la serena
     Faccia turbar del mondo, e’l cielo intanto
     Lenir co’l moto: conciossiachè spesso
     Ne sembra di veder per l’aere errando
     210Volar giganti smisurati, e l’ombra
     Distender largamente, e spesso ancora
     Gran monti, e sassi da gran monti svelti
     Precorrere, e seguir del sole i raggi;
     E belve al fin di non ben noto aspetto
     215Trar seco, e generar nembi, e tempeste.
Or quanto agevolmente, e come presto
     Sian generati, e dalle cose esalino
     Perpetuamente, e sdrucciolando cedano,
     Tu quindi apprendi: poichè sempre in pronto
     220Ogni estremo è de’ corpi, onde si possa
     Vibrare; e quando all’altre cose arriva,
     Le penetra, e le passa;, e ciò gli avviene
     Principalmente in quelle vesti urtando,
     Che inteste son di sottil filo, e raro:
     225Ma se ne’ rozzi sassi, o nell’opaco
     Legno percote, ivi si spezza in guisa,
     Che simolacro alçun non puote a gli occhi
     Rappresentar. Ma se gli fieno opposti
     Corpi lucidi, e densi, in quella guisa,
     230Che sovra ogni altro di cristallo terso
     E di forbito acciar sono gli specchi,
     Nulla accade di ciò; poichè non puote,
     Come le vesti penetrargli, ed oltre
     Passar, nè dissiparsi in varie parti,
     235Giacchè la liscia superficie intero
     Ed intatto il conserva, e’l ripercote;
     E quindi avvien, che son per noi formati
     De’ corpi i simolacri, e che ponendo,
     Quando vuoi, ciò che vuoi, quanto vuoi tosto
     240Dirimpetto allo specchio, appar l’immago.
     Onde ben puossi argomentar, che sempre
     Dal sommo delle cose esalan fuori
     Tenui effigie, e figure. In breve spazio
     Dunque si crean ben mille, e mille immagini,
     245Onde a ragion l’origine di queste
     Si può dir velocissima. E siccome
     Dee molti raggi in breve spazio il sole
     Vibrar d’intorno, acciocchè sempre il cielo
     Illustrato ne sia; tal anco è d’uopo,
     250Che molti simolacri in molti modi
     Sian dalle cose in un medesmo istante
     Certamente scagliati in ogni parte.
     Poichè rivolgi pur dove t’aggrada
     Lo specchio, ivi apparir vedrai le cose
     255Tra lor di forma, e di color simili.
     Mira oltre a ciò, che se tranquillo, e chiaro
     Di luce, e di seren l’aere fiammeggia,
     Talor sì sconciamente, e così tosto
     D’atra, e nera caligine s’ammanta,
     260Che ne par, che le tenebre profonde
     Del cupo e cieco abisso abbandonando
     Le lor sedi natie tutte in un punto,
     E fuor volando ad eclizzar le stelle,
     Ripiene abbian del ciel l’ampie spelonche:
     265Tal già sorta di nembi orrida notte,
     Veggiam d’atro terror compagne eterne
     Spalancate nel ciel fauci infiammate
     Eruttar verso noi fulmini ardenti;
     E pur quanto di ciò picciola parte
     270Sia l’immago, uom non è, che basti appieno
     A dire altrui, nè con parole possa
     Render di cosa tal ragione alcuna.
Or via, quanto l’immagini nel corso
     Celeri siano, e quanta in lor prontezza:
     275Mentre nuotan per l’aure, abbiano al moto;
     Sicchè in brev’ora, ovunque il volo indrizzino,
     Spinte da vario impulso un lungo spazio
     Passino, io con soavi, e dolci versi,
     Piucchè con molti, di narrarti intendo:
     280Qual più grato è de’ Cigni il canto umìle
     Del gridar, che le Grue fan tra le nubi,
     Se i gran campi dell’aria austro conturba,
Pria sovente veggiam, che assai veloce
     Movimento han le cose, i cui principj
     285Interni atomi son lisci, e minuti;
     Qual è forza, che sia la luce, e quale
     Il tepido vapor de’ rai del sole:
     Che fatti essendo di minuti semi
     Son quasi a forza ognor vibrati, e nulla
     290Temono il penetrar l’aereo spazio,
     Sempre da novi colpi urtati e spinti.
     Conciossiachè la luce è dalla luce
     Somministrata immantinente, ed ave
     Dal fulgore il fulgor stimolo eterno;
     295Onde per la medesima cagione
     Mestieri è, che l’effigie in un momento
     Sian per immenso spazio a correr atte,
     Pria perchè basta ogni leggiero impulso,
     Che l’urti a tergo, e le sospinga avanti;
     300Poi, perchè son di così tenui e rari
     Atomi inteste, che lanciate intorno
     Penetrano ogni cosa agevolmente,
     E volan quasi per l’aereo spazio.
In oltre se dal ciel vibransi in terra
     305Minimi corpi, qual del sole appunto
     È la luce, e ’l vapor, miri, che questi
     Diffondendo se stessi, in un momento
     Irrigan tutto il ciel supremo, e tutta
     L’aria, l’acqua, e la terra, ove sì mobile
     310Leggerezza gli spinge; or che dirai?
     Dunque le cose, che de’ corpi al sommo
     Sono al moto sì pronte, se lanciate
     Fian senza intoppo, ir non dovran più ratte,
     E più spazio passar nel tempo istesso,
     315Che la luce, e ’l vapor passano il cielo?
     Ma di quanto l’immagini de’ corpi
     Sian veloci nel corso, io per me stimo
     Esser principalmente indizio vero
     L’esporsi appena all’aria aperta un vaso
     320D’acqua, ch’essendo il ciel notturno, e scarco
     Di nubi, in un balen gli astri lucenti
     Vi si specchian per entro. Or tu non vedi
     Dunque omai, quanto sia minimo il tempo,
     In cui dell’auree stelle i simolacri
     325Dall’eterea magion scendono in terra?
     Sicchè voglia, o non voglia, è pur mestiero,
     Che tu confessi esser vibrati intorno
     Questi minimi corpi atti a ferirne
     Gli occhi, e la vista provocarne, e sempre
     330Nascere, ed esalar da cose certe;
     Qual dal sole il calor, da’ fiumi il freddo,
     Dal mare il flusso, ed il riflusso edace
     Dell’antiche, muraglie a i lidi intorno.
     Nè cessan mai di gir per l’aria errando
     335Voci diverse; e finalmente in bocca
     Spesso di sapor salso un succo scende,
     Quando al mar t’avvicini; ed all’incontro,
     Mescer guardando i distemprati assenzj,
     Ne sentiam l’amarezza. In così fatta
     340Guisa da tutti i corpi il corpo esala,
     E per l’aer si sparge in ogni parte;
     Nè mora, o requie in esalando alcuna
     Gli è concessa giammai, mentre ne lice
     Continuo il senso esercitare, e tutte
     345Veder sempre le cose, e sempre udire
     Il suono, ed odorar ciò che n’aggrada.
     In oltre se palpata una figura
     Al bujo, si ravvisa esser l’istessa
     Vista nel lume, e nel candor del giorno,
     350D’uop’è, che la medesima cagione
     Ecciti ’n noi la vista, e ’l tatto. Or dunque
     Se palpiamo un quadrato, e questo il senso
     La notte ne commove, or qual giammai
     Cosa potrassi alla sua forma aggiungere
     355Il dì, fuorchè la sua quadrata immagine?
     Onde sol nell’immagini consiste
     La cagion del vedere, e senza loro
     Ciechi affatto sarian tutti i viventi.
Or sappi, che l’effigie, e i simolacri
     360Volano d’ogn’intorno, e son vibrati,
     E diffusi, e dispersi in ogni banda.
     Ma perchè solo atti a veder son gli occhi
     Quindi avvien, che dovunque il volto volgi,
     Ivi sol delle cose a noi visibili
     365La figura, e ’l color ti s’appresenta;
     È quanto sia da noi lungi ogni corpo,
     Il simolacro suo chiaro ne mostra.
     Poichè allor ch’ei si vibra, in un istante
     Quella parte dell’aria urta, e discaccia,
     370Ch’è fra se posta, e noi. Sì questa allora
     Trascorre pe’ postr’occhi, e quasi terge
     L’un’, e l’altra pupilla; e così passa.
     Quindi avvien, che veggiamo agevolmente
     La lontananza delle cose; e quanto
     375Più d’acre è spinto innanzi, e ne forbisce,
     E molce le pupille aura più lunga,
     Tanto a noi più lontan sembra ogni corpo;
     Ch’ambedue queste cose in un baleno
     Fannosi al certo. A un tempo stesso vedesi
     380Quai sian gli oggetti, o quanto a noi discosti.
Nè qui vogl’io, che meraviglia alcuna
     T’occupi l’intelletto, ond’esser deggia,
     Che non potendo i simolacri all’occhio
     Tutti rappresentarsi, ei pur bastante
     385A scorger sia tutte le cose opposte.
     Poichè nel modo stesso aura gelata,
     Che lieve spiri, e ne ferisca il corpo
     Co’ pungenti suoi stimoli, non suole
     Mai commover le membra a parte a parte,
     390Ma tutte insieme, e le percosse, e gli urti
     Ricevuti da lor, quasi prodotti
     Sembran da cosa, che ne sferzi, e scacci
     Fuor di se stessa arditamente il senso.
     In oltre, allor che tu maneggi un sasso
     395Tocchi di lui la superficie estrema,
     E l’estremo color; ma già non puoi
     Sentir quella, nè questo, anzi la sola
     Durezza sua ti si fa nota al tatto.
Or via, perchè l’immago oltre allo specchio
     400Si vegga, intendi. Che remota al certo
     Apparisce ogni effigie, in quella guisa
     Che fan gli oggetti, i quai veracemente
     Si miran fuor di casa, allor che l’uscio
     Libero per se stesso, e aperto il varco
     405Concede al guardo nostro, e fa, che molte
     Cose lungi da noi scorger si ponno.
     Conciossiachè per doppio aer procede
     Anco questa veduta. Il primo è quello,
     Ch’è dentro all’uscio, indi a sinistra, e a destra
     410Seguon l’imposte. Indi la luce esterna
     Gli occhi ne terge, e ’l second’aere, e tutte
     Le cose, che di fuor veracemente
     Son da noi viste. In cotal guisa adunque
     Tosto che dello specchio il simolacro
     415Per lo mezzo si lancia, allorch’ei viene
     Ver le nostre pupille, agita, e scaccia
     Tutto l’aer frapposto, e fa, che prima
     Veggiam lui, che lo specchio. Indi si scorge
     Lo specchio stesso, e nel medesmo istante
     420Percote in lui la nostra effigie, e tosto
     Riflessa indietro a veder gli occhi torna,
     E cacciandos’innanzi, e rivolgendo
     Tutto l’aer secondo, opra, che prima
     Veggiam questo, che lei. Quindi l’immago
     425Dallo specchio altrettanto appar lontana,
     Quanto dall’occhio ei situato è lungi,
     Sappi oltre a ciò, che delle nostre membra
     Quella parte, ch’è destra, entro allo specchio
     Sinistra esser n’appare: e questo accade,
     430Perchè giungendo al piano suo l’immago,
     L’urta, e da lui non è riflessa intatta;
     Ma drittamente ripercossa, e infranta:
     Qual se una molle maschera di creta,
     Battuta in un pilastro, o in una trave
     435Si nella fronte la primiera fatma
     Serbi indietro volgendosi, che possa
     Esprimer se medesma in un istante,
     L’occhio, che fu sinistro, allor farassi
     Destro; e sinistro pe’l contrario il destro,
440Ponno ancor tramandarsi i simolacri
     Di specchio in specchio, e generar talora
     Cinque immagini, o sei. Poichè qualunque
     Cosa, ancorchè remota e posta in parte
     Occulta al veder nostro, indi si puote.
     445Trar con più specchi in varj siti e certi
     Locati alternamente, e far, che giunga
     D’essa per torte vie l’effigie all’occhio:
     Tanto è ver, che l’immagine traluce
     Di specchio in specchio; e se la destra riede
     450Sinistra, quindi ripercossa indietro
     Pur di novo si volge, e torna destra.
     Anzi qualunque lato abbian gli specchi
     Curvo a foggia di fianco, a noi riflette
     De’ corpi destri i simolacri a destra
     455O perch’ivi l’immagine trapassa
     Di specchio in specchio, e quindi a noi sen vola
     Due volte ripercossa; o perchè mentre
     Corre verso i nostr’occhi, erra aggirata,
     Spinta a ciò far dalla figura esterna
     460Dallo specchio medesimo, che essendo
     Curva, fa, che ver noi tosto si volga.
Pare oltre a ciò, ch’entri l’effigie, ed esca
     Con noi, che il piede fermi, e i gesti imiti,
     Poichè da quella parte, onde ne piace
     465Partirne, e dallo specchio allontanarsi,
     Tornar non ponno i simolacri all’occhio
     Nostro; poichè incidenti, e ripercossi
     Sempre fan con lo specchio angoli eguali.
Odian poi le pupille i luminosi
     470Oggetti, e schivan l’affissarsi in loro;
     Anzi se troppo il guardi, il sol t’accieca,
     Perchè troppo possente è l’energia
     De’ suoi lucidi raggi, e son vibrati
     D’alto per l’aer puro i simolacri
     475Impetuosamente, e fiedon gli occhi,
     Tutta turbando e confondendo insieme
     La lor fabbrica interna. In oltre il lume,
     Qualor troppo è gagliardo, abbruciar suole
     Spesso i nostri occhi, perchè in se di foco
     480Molti semi racchiude atti a produrre,
     Mentre passan per lor, noja, e dolore.
     Giallo in oltre divien ciò che rimira
     L’uom, ch’è da regia infirmitade oppresso;
     Perchè di giallo molti semi esalano
     485Dall’itteriche membra, i quali incontro
     Vanno all’effigie delle cose, e molti
     Ne son misti negli occhi, e di pallore
     Con lor tetro velen tingono il tutto.
Dalle tenebre poi scorger si ponno
     490Tutte le cose a’ rai del lume esposte;
     Perchè quando a nostr’occhi arriva il primo
     Aer vicin caliginoso, e fosco,
     Ed aperti gl’ingombra, incontinente
     Segue il secondo lucido e sereno,
     495Ch’ambi quasi gli purga, e l’ombre scaccia
     Di quell’aer primier; perchè di lui
     È più tenue, più snello, e più possente:
     Onde non così tosto empie di luce
     I meati degli occhi, e ciò che tenne
     500Chiuso pria l’aer cieco, apre e rischiara,
     Che de’ corpi illustrati i simolacri
     Seguon senz’alcun velo, ed a vedergli
     N’incitan la pupilla. Il che non puossi
     Far pe ’l contrario dalla luce al bujo;
     505Perchè l’aer secondo oscuro, e grosso
     Succede al tenue, e luminoso, e tutti
     I meati riempie, e cinge intorno
     Le vie degli occhi, onde impedito affatto
     Sia d’ogni corpo a’ simolacri il moto.
510Succede ancor, che le quadrate torri
     Riguardate da lungi appajan tonde,
     Sel perchè di lontan gli angoli loro
     Molto ottusi si veggono, e svanisce
     Affatto ogni lor piaga, e non ne giunge
     515Pur a moverne il senso un picciol urto.
     Poichè mentre l’immagine per lungo
     Tratto si move, è dagli stessi incontri
     Dell’aere a forza rintuzzato, e quindi
     Tosto che tutti gli angoli a’ nostri occhi
     520Son resi impercettibili, ne sembra
     Tornito l’edificio; ma non tale,
     Che differenza non vi sia fra quello,
     E gli edificj veramente tondi,
     E visti da vicin. Per ciò ne pare
     525Da lungi ancor, ch’ei non sia tondo affatto.
Parne oltre a ciò, che al sol l’ombra si muova,
     E segua i nostri passi, e il gesto imiti,
     Se pur credi, che l’aria, essendo priva
     Di luce, passeggiar debba, e seguire
     530Dell’uomo i gesti, ed emularne i moti.
     Che null’altro, che aria orba di lume
     Esser può mai quel, che da noi si suole
     Ombra chiamar. Ciò senza dubbio accade,
     Perchè resta per ordine la terra
     535Priva de’ rai del sole, ovunque il passo
     Da noi si volga, e le si pari il lume;
     E quei luoghi all’incontro, onde partimmo,
     S’illustran tutti ad un ad uno. Or quindi
     Pare a noi, che l’istessa ombra del corpo
     540Sempre ne segua; conciossiachè sempre
     Novi raggi di luce in ordin certo
     Si diffondon per l’aria, e quei di prima
     Spariscon quasi lana arsa dal foco;
     Onde resta la terra agevolmente
     545Di luce ignuda;, e nella stessa guisa
     Se n’adorna, e riveste, e scuote e purga
     L’atra e densa caligine dell’ombre.
     Nè qui nulladimen gli occhi ingannati
     Punto non son; poichè dovunque il lume
     550Si trovi, o l’ombra, il veder tocca a loro.
     Ma se i raggi medesimi di luce
     Camminano in più luoghi; e se la stessa
     Ombra di qui si parta, e vada altrove;
     O pur, come poc’anzi io ti diceva,
     555Segua tutto il contrario, il ciò discernere
     Opra è della ragion, nè posson gli occhi
     Mai delle cose investigar l’essenza.
     Onde non voler tu questo difetto,
     Che solo è del consiglio, ingiustamente
     560A gli occhi artribuir. Ferma ne sembra
     La nave, che ci porta, ancorchè voli
     Per l’alto a piene vele. Ir giureresti
     L’immobil lido; e verso poppa i colli:
     Fuggirsi, e i campi, allor che spinto innanzi
     565Dalle forze del vento il curvo pino
     Indietro se gli lascia. Ogni astro immoto
     Parne, e dell’etra alle caverte affisso;
     E pure astro non v’è, che irrequieta
     Mente non giri. Conciossiache tutti
     570Sorgendo, i lunghi cerchj a veder tornano
     Tosto che i globi lor chiari, e lucenti
     Han misurato il ciel. Nel modo stesso
     Par, che il sol non si mova, e che la luna
     Stia ferma; e pur chiaro ne mostra il fatto,
     575Ch’ambi con giro assiduo ognor passeggiano
     I gran campi dell’etra: e se da lungi
     Miri di mezzo al mar monti sublimi
     Disgiunti in guisa, ch’all’intere armate
     Navali sia fra lor l’esito aperto;
     580Nondimen ti parrà, che tutt’insieme
     Facciano una sol’isola. A’ fanciulli,
     Che già cessato han di girare attorno,
     Par, che talmente, e le colonne, e gli atrj
     Girino anch’essi, che a gran pena omai
     585Credon, che sopra lor l’ampio edificio
     Di cader non minacci. E quando in cielo
     Già con tremulo crin l’alba apparisce,
     E la splendida giuba in alto estolle,
     Quel monte a cui sì da vicino il sole
     590Par; che sovrasti, e che da’ rai lucenti
     Del suo fervido globo arso ti sembra,
     Lungi appena è da noi due mila tratti
     Di freccia, anzi talvolta appena è lungi
     Sol cinquecento: e pur fra ’l ’sole, ed esso
     595Sai, che giaccion di mar pianure immense
     Distèse sotto vaste aeree piagge;
     E gran tratti di terra, in cui son varj
     Popoli, e d’animai specie diverse.
     L’acqua oltre ciò, che nelle pozze accolta
     600Per le vie lastricate in mezzo a’ sassi
     Ferma si sta, benchè non sia d’un dito
     Punto più alta; nondimeno a gli occhi
     Lascia tanto abbassar sotterra il guardo,
     Quanto l’ampie del ciel fauci profonde
     605S’apron lungi da noi, sicchè le nubi
     Veder ti sembra, e l’auree stelle, e ’l sole
     Splender sotterra in quel mirabil cielo.
     Tosto al fin, che si ferma in mezzo al fiume
     Il veloce cavallo, e chi si fissano
     610Gli occhi nell’onde rapide e tranquille,
     Parne, che il corpo suo, quantunque immoto,
     Sia portato a traverso, e che la propria
     Forza il fiume al contrario urti e respinga;
     E dovunque da noi l’occhio si volga,
     615Girne sembra ogni cosa, ed a seconda
     Nuotar dell’acque. E finalmente i portici,
     Benchè sian d’egual tratto, e da colonne
     Non mai da lor dispari abbian sostegno;
     Pur nondimen se dalla somma all’ima
     620Parte son riguardati, a poco a poco
     Stringer mostran se stessi in cono angusto,
     Più, e più sempre avvicinando il destro
     Muro al sinistro, e ’l pavimento al tetto,
     Sinchè di cono in un oscuro acume
     625Vadano a terminar. Sorto dall’acque
     A’ naviganti ’l sol par, che nell’acqua
     Anco s’attuffi, e vi nasconda il lume;
     Ma quivi altro mirar, che cielo, e mari
     Non puossi, e crederai sì di leggiero,
     630Che sian offesi d’ogn’intorno i sensi?
Zoppe in oltre nel porto a gl’imperiti
     Esser pajon le navi, e con infranti
     Arredi premer di Nettuno il dorso,
     Poichè quel, che de’ remi, e del governo
     635Sovrasta al salso flutto, e fuor n’emerge,
     Dritto senz’alcun dubbio a gli occhi appare;
     Ma non fanno così l’altre lor parti
     Ricoperte dall’onde, anzi refratte
     Mostran voltarsi, e ritornar supine
     640Verso ’l margine estremo, e ripercosse
     Quasi al sommo dell’acque ir fluttuando.
     E se in tempo di notte al ciel sereno
     Per lo vano dell’aria il vento spinge
     Nuvole trasparenti, allor ci sembra,
     645Che gli splendidi segni a i nembi incontro
     Vadano in region molto diversa
     Dal lor vero viaggio; e se la mano
     Supposta all’un degli occhi il preme ed erge,
     Doppio al senso divien ciò che si mira;
     650Doppio di casa ogni ornamento, e doppie
     Degli uomini le faccie, e doppj i corpi.
     Al fin quando sepolte in dolce sonno
     Giaccion tutte le membra, e gode il corpo
     Una somma quiete, allor sovente
     655Parne esser desti non per tanto, e moverne,
     E mirar nella cieca ombra notturna
     L’aureo lume del giorno, e in chiuso luogo
     Cielo, e mare passar, fiumi, e montagne,
     E con libero piè scorrer pe’ campi,
     660E parole ascoltar, mentre il sereno
     Silenzio della notte il mondo ingombra,
     E risponder tacendo alle proposte:
     Ed in somma guardando ognor veggiamo
     Molte altre cose simili, che tutte
     665Cercan di violar, quasi la fede
     A ciascun sentimento, ancorchè indarno.
     Poichè di questi una gran parte inganna
     Per la fallace opinion dell’animo,
     Ch’è formata da noi, mentre prendiamo
     670Per noto quel, che non è noto al senso
     Se finalmente alcun crede, che nulla
     Non si possa saper, questi non sa
     Anco, se la cagion possa sapersi;
     Ond’egli nulla non saper confessa.
     675Dunque il più disputar contro a costui
     Opra vana saria, mentr’egli stesso
     Co’l suo proprio cervel corre all’indietro.
     Ma concesso anco questo, nondimeno
     Chiederogli di novo: In qual maniera
     680Non avend’egli conosciuto innanzi
     Cosa, che vera sia, sappia al presente
     Quel, che il sapere, e il non saper significhi;
     Onde il falso dal ver, dal dubbio il certo
     Discerna: E in somma troverai, che nacquè
     685La notizia del ver da’ primi sensi;
     Nè ponno i sensi mai, se non a torto
     Ripudiarsi da te, mentr’è pur d’uopo,
     Che presti ognun di noi fede maggiore
     A quel, che può per se medesmo il falso
     690Vincer co’l vero. E qual di maggior fede
     Cosa degna sarà, che il nostro senso?
     Forse da falso senso avendo origine,
     Potrà mai la ragione esser bastevole
     I sensi a confutar? mentr’ella è nata
     695Tutta da’ sensi ai quai se non son veri,
     Mestieri è ancor, ch’ogni ragion sia falsa
     Forse potrà redarguir l’orecchio
     Gli occhi, o il tatto l’orecchie, o della lingua
     Confutare il saper l’udito, e il tatto?
     700Forse il riprenderan gli occhi, e le nari?
     Non per certo il, faran, poichè diviso
     È de’ sensi il potere, ed a ciascuno
     La sua parte ne tocca; però dove
     Quel, ch’è tenero, o duro, o freddo, o caldo,
     705Freddo, o caldo parer, tenero, o duro
     Distintamente; ed è mestier, che i varj
     Colori delle cose, e tutto quello,
     Ch’è congiunto a i color, distintamente
     Si senta. E della bocca ogni sapore
     710Ha distinta virtù. Nascon gli odori
     Dal suon distinti, e ’l suon distinto anch’egli
     Finalment’è prodotto; ond’è pur d’uopo,
     Che l’un, dall’altro senso esser ripreso
     Non possa; e molto men creder si debbe,
     715Che pugni alcun di lor contro se stesso.
     Conciossiache prestargli ugual credenza
     Sempre dovriasi, o per sospetto averlo.
     Dunqu’è mestier che ciò che appare al senso,
     In qual tempo tu vuoi, sia vero, e certo.
     720E se non puoi con la ragion disciorre
     La causa, perchè tondo appaja all’occhio
     Da lungi quel, che da vicino è quadro,
     Meglio è però, se di ragion v’è d’uopo,
     False cause assegnar, che con le proprie
     725Mani trar via quel, ch’è già noto e conto,
     E violar la prima fede, e tutti
     Scuotere i fondamenti, ove la propria
     Vita, e salute ogni mortale appoggia.
     Poichè non solo ogni ragione a terra
     730Cade; ma quel ch’è peggio, anche la vita
     Tosto vien men, che tu non credi a’ sensi,
     Ne schivar curi i ruinosi luoghi,
     Nè l’alçre cose simili, che denno
     Fuggirsi, e segui le contrarie ad esse.
     735In van dunque ogni copia di parole
     Fia contr’a i sensi apparecchiata, e pronta
     Al fin siccome oprando un architetto
     Nelle fabbriche sue torta la riga,
     Falsa la squadra, e zoppo l’archipendolo,
     740Forza è poi, che malfatto, e sconscio in vista,
     Curvo, obliquo, inchinato, e vacillante
     Riesca ogn’edificio, e già minacci
     Imminente caduta; anzi sorgendo
     Da bugiardi, ingannevoli giudici
     745Rovini in tutto, e al fin s’adegui al suolo;
     Così d’uopo sarà, ch’ogni ragione,
     Che da sensi fallaci origin ebbe;
     Cieca si stimi, e mal fedele anch’ella:
Or come ogni altro senso il proprio obbietto
     750Senta per se medesmo, agevolmente
     Può capirsi da noi. Pria s’ode il suono,
     E s’intendon le voci, allorch’entrando
     Nell’orecchie il lor corpo agita il senso:
     (Che corporea per certo anche la voce,
     755E il suon d’uopo è, che sia, mentre bastanti
     Sono a movere il senso, e risvegliarlo)
     Poichè raschia sovente ambe le fauci
     La voce, e nell’uscirsene le strida
     Inaspriscon viepiù l’aspera arteria.
     760Conciossiache sorgendo in stretto luogo
     Turba molto maggior, tosto che i primi
     Principj delle voci han cominciato
     A volarsene fuora, e che ripieni
     Ne son tutti i polmon; radono al fine
     765La troppo angusta porta, ond’hanno il passo.
     Dubbio dunque non è, che le parole
     Siano, e le voci di corporei semi
     Create; conciossiach’offender ponno.
     Nè t’è nascosto ancor, quanto detragga
     770Di corpo, e quanto sminuisca altrui
     Di forza, di vigor, di robustezza
     Un continuo parlar, che cominciando
     Dal primo albor della nascente aurora
     Duri insino alla cieca ombia notturna,
     775Massime s’egli è sparso in larga vena
     Con altissime strida. Egli è pur forza
     Dunque, ch’ogni parola, ed ogni voce
     Corporea sia; poichè parlando l’uomo,
     Sempre del corpo suo perde una parte;
     780Nè conforme simìl possono i semi
     Penetrar nell’orecchie, allor che mugge
     La tromba, o ’l corno in murmure depresso,
     Ed allor che morendo al canto snoda
     La lingua il bianco cigno, e di soavi,
     785Benche flebili voci empie le valli
     Del canoro Elicona, ove già nacque.
     Dunque da noi son certamente espresse
     Le voci in un co’l corpo, e fuor mandate
     Con dritta bocca. La dedalea lingua.
     790Variamente movendosi gli accenti
     Articola, e la forma delle labbra
     Dà forma in parte alle parole anch’essa.
     Dall’asprozza de’ semi è poi creata
     L’asprezza della voce, e parimente
     795Il levor dal levor. Che se per lungo
     Spazio correr non dee prima che possa
     Penetrar nell’orecchie, ogni parola
     Si sente articolata, e si distingue
     Dall’altre; conciossiachè in simil caso
     800Tutta conservan la struttura prima.
     Ma se lungo all’incontro è più del giusto
     L’interposto cammin, forza è che mentre
     Fiedon le voci il soverchio aere, e vanno
     Per l’aure a volo, in un confuse, e miste
     805Siano, e scomposte, e dissipate in guisa
     Che ben passen l’orecchie un indistinto
     Suono ascoltar; ma non però discernere
     Punto, qual sia delle parole il senso,
     Sì confusa è la voce, ed impedita.
810In oltre allor che il banditore aduna
     La gente, un solo editto è da ciascuno
     Inteso. In mille, e mille voci adunque
     Qua, e là senza dubbio una sol voce
     Si sparge in un balen; poichè diffusa
     815Ogni orecchio, penètra, e quiv’imprime
     La forma, e ’l chiaro suon delle parole:
     Parte ancor delle voci oltre correndo
     Senza alcun incontrar, perisce al fine
     Per l’aure aeree dissipata indarno:
     820Parte in dense muraglie, in antri cavi,
     In curve, e cupe valli urta, e reflessa
     Rende il suono primiero, e spesso inganna
     Con mentita favella il creder nostro.
     Il che bene intendendo, agevolmente
     825Saper potrai, per qual cagiope i sassi
     Ne riflettan per ordine l’intera
     Forma delle parole, allor che cerchi
     Per selve opache, per montagne alpestri
     Gli smarriti compagni, e li richiami
     830Con grida alte, e sonore. E mi sovviene,
     Ch’una sola tua voce, or sei, or sette
     Volte s’udìo: tal reflettendo i colli
     A i colli stessi la parola, a gara,
     Iteravano i detti. I convicini
     835Di questi luoghi solitarj han finto,
     Che Fauni, e Ninfe, e Satiri, e Silvani
     Ne siano abitatori, e che la notte,
     Con giochi, e scherzi, e strepitosi balli
     Rompan dell’aer fosco i taciturni
     840Silenzj, e dalla piva, e dalla cetra
     Tocca da dotta man spargano all’aure
     Dolci querele, e armoniosi pianti:
     E che rozzo villan senta da lungi,
     Qualor scotendo del biforme capo
     845La corona di pino il Dio de’ boschi,
     Spesso con labbro adunco in varie guise
     Anima la siringa, e fa che dolce
     Versin le canne sue musa silvestre.
     Altri han finto eziandio mostri, e portenti
     850Simili a’ sopraddetti, onde si creda,
     Che non sian dagli Dei sole e deserto
     Le lor selve tenute; e però vanno
     Millantando miracoli, o son mossi
     Da qualch’altra cagione che troppo in vero
     855D’aver gente, che l’oda, avido è l’uomo.
Or quanto a quel, che segue, a meraviglia
     Non t’ascriva da te: che per gl’istessi
     Luoghi, ove penetrar gli occhi non ponno,
     Penetrin le parole, e sian bastanti
     860A commovere il senso; il che talora
     Veggiam parlando a porte chiuse insieme.
     Conciossiachè trovar libero il varco
     Posson per torte vie le voci, e ’l suono;
     Ma non l’effigie, che divise, e guaste
     865Forz’è, che sian, se per diritti fori
     Lor non tocca a passar, come son quegli
     Del vetro, onde ogni specie oltre sen vola.
S’arroge a ciò, che d’ogn’intorno il suono
     Se medesmo propaga, e d’una voce
     870Molte voci si creano, in quella guisa
     Ch’una sola favilla in più faville
     Talor si sparge. Di parole adunque
     Ogni luogo vicin, benchè nascosto,
     Empir si può, ma per diritte strade
     875Corre ogn’immago, onde a nessun, fu dato
     Il veder sopra se; ma bene a tutti
     L’udir chi fuor ne parla. E nondimeno
     Questa voce medesma, allor che passa
     Per vie non dritte, e dagli estremi intoppi
     880Più, e più rintuzzata, onde all’orecchie
     Giunge indistinta, ed ascoltar ne sembra
     Più che note, e parole, un suon confuso,
Ma la lingua, e il palato, ove consiste
     Del gusto il senso, han di ragione, e d’opra
     885Parte alquanto maggior. Pria nella bocca
     Si sentono i sapori, allor che il cibo
     Masticando si preme, in quella guisa
     Che si fa d’una spugna. Il succo espresso
     Quindi si sparge pe’ meati obliqui
     890Della rara sostanza della lingua;
     E del nostro palato;, e se di lisci
     Semi è composto, dolcemente tocca
     Gl’istrumenti del gusto, e dolcemente
     Gli molce, e gli solletica; ma quanto
     895Son più aspri all’incontro, e più scabrosi
     Gli atomi suoi, tanto più punge e lacera
     Del palato i confin: ma giù caduto
     Per le fauci del ventre alcun diletto
     Più non ne dà, benchè si sparga in tutte
     900Le membra, e le ristori. E nulla monta,
     Di qual sorte di cibo il corpo viva,
     Parchè distribuir possa alle membra
     Concotto ciò che pigli, e dello stomaco
     Sempre intatto servar l’umido innato.
905Ma tempo è di insegnarti, onde proceda,
     Che varj han vario cibo; ed in qual modo
     Quel, che sembra ad alcuni aspro ed amaro,
     Possa ad altri parer dolce e soave;
     Anzi è tal differenza in queste cose,
     910E tal diversità, che quello stesso,
     Che ad altri è mutrimento, ad altri puote
     Esser tetro e mortifero veleno.
     Poichè spesso il serpente appena tocco
     Dall’umana saliva, in se rivolge
     915Irato il crudo morso, onde s’uccide;
     E spesso anche le capre, e le pernici
     S’ingrassan con l’elleboro, il qual pure
     Senza dubbio è per noi tosco mortale.
     Or acciocchè tu sappia, in che maniera
     920Possa questo accader, pria mi conviene
     Ridurti a mente quel, ch’io dissi innanzi;
     Cioè che i semi fra le cose in molti
     Modi son misti. Or come gli animali,
     Che prendon cibo, son fra se diversi
     925Nell’esterna apparenza, ed ogni specie
     L’abito delle membra ha differente,
     Così nascono ancor di varj semi,
     E di forma difformi. I semi varj
     Han poi varie le vie, varj i meati,
     930E varj gl’intervalli in ogni membro,
     E nel palato, e nella lingua stessa.
     Dunque alcuni minori, altri maggiori
     D’uop’è, che siano, altri quadrati, alcuni
     Triangolari, altri rotondi, ed altri
     935Scabrosi in varie guise, e di molt’angoli;
     Poichè tal differenza esser conviene
     Tra le figure de’ meati esterni,
     E fra tutte le vie de’ nostri sensi,
     Qual richieggon degli atomi le forme,
     940I moti, e le testure. Or quando un cibo
     Che par dolce ad alcuno, ad altri amaro
     Sembra; a quei, che par dolce, i lisci semi
     Debbon soavemente entro i meati
     Penetrar della lingua; ed all’incontro
     945A quei, che sembra amato, i rozzi, e gli aspri.
     Quindi intender potransi agevolmente
     Tutte le cose appartenenti al gusto:
     Poichè senz’alcun dubbio allor che l’uomo,
     O per bile eccedente, o per qualunque
     950Altra cagion langue da febbre oppresso,
     Già tutto è il corpo suo turbato, e tutti
     Gli atomi; ond’è composto, han varj, e novi
     Siti acquistato: e da tal causa nasce,
     Che quei corpi medesimi, che innanzi
     955S’adattaro alle fauci, or non s’adattino;
     E sian gli altri di sorte, che produrre
     Debbano in penetrando, acerbo senso.
     Posciachè gli uni, e gli altri entro il sapore
     Del mel son mescolati; il che di sopra
     960Con più ragione io t’ho dimostro a lungo.
Or via, come l’odor giunto alle nari
     Le tocchi, e le solletichi, insegnarti
     Vo’, s’attento m’ascolti. E prima è d’uopo
     Suppor, che molte cose in terra sono,
     965Onde di vario odor flusso diverso
     Continuo esala, e per l’aeree strade
     Vola, e s’aggira, e ben credibil sembra,
     Che sia vibrata d’ogn’intorno, e sparsa
     Qualche specie d’odor; ma questa a questi
     970Animali convien, quella a quegli altri
     Per le forme difformi, e quindi accade,
     Che del mele all’odor, benchè lontano,
     Corron le pecchie, e gli avoltoj al lezzo
     De’ fracidi cadaveri; e che l’unghie
     975Delle belve fugaci, ovunque impressero,
     L’orme proprie nel suol, tirin de’ bracchi
     Il robusto odorato; e che da lungi
     Possan l’oche sentir l’umano odore,
     E difender da i Galli il Campidoglio:
     980Tal varj han vario odor, che gli conduce
     Ne’ paschi a lor salubri, e gli constringe,
     A fuggir dal mortifero veleno;
     E tal degli animai duran le specie.
     Dunque fra questi odori alcuni ponno
     985Per lo mezzo diffondersi, e volare
     Viepiù lungi degli altri, ancorchè mai
     Non possa alcun di loro in sì lontano,
     Quanto il suono, e la voce (io già tralascio
     Di dir, quanto l’effigie, e i simolacri,
     990Che fiedon gli occhi, e fan veders’intorno)
     Poichè tardo si move e vagabondo,
     E talvolta perisce a poco a poco
     Per l’aereo sentier distratto e sparso
     Pria che giuhga alle nari. E ciò succede
     995Principalmente, perchè fuori a pena
     Dall’imo centro delle cose esala;
     Che ben dall’imo centro uscir gli odori
     Mostra il sempre olezzar, più degl’interi,
     I corpi infranti stritolati ed arsi:
     1000Poi, perch’eglì è di maggior semi intesto
     Della voce, e del suon, come vedere
     Lice a ciascun; perchè la voce, e il suono
     Penetra per le mura, ove l’odore
     Mai non penetra. Ond’eziandio si vede,
     1005Che non è così agevole il potere
     Rintracciar con le nari, ove locati
     Siano i corpi odoriferi che sempre
     Più divien fredda ogni for piaga, e fiacca
     Per l’aure trattenendosi, e non giunge.
     1010Calda al senso, e robusta, e quindi spesso
     Errano i bracchi, e in van cercan la traccia.
Nè però negli odori, e ne’ sapori
     Ciò solo avvien, ma similmente è certo,
     Che non tutti i color, non delle cose
     1015Tutte l’effigie in guisa tal s’adattano
     Di tutti al senso, che a vedersi alcune
     Non siano più dell’altre aspre, e pungenti;
     Anzi qualor l’ali battendo il gallo,
     Quasi a se stesso applauda, agita, e scaccia
     1020Le cieche ombre notturne, e con sonora
     Voce risveglia ogni animale all’opre,
     Non ponno incontr’a lui fermi e costanti
     Trattenersi un momento i leon rapidi,
     Nè pur mirarlo di lontan; ma tosto
     1025Precipitosamente in fuga vanno:
     E ciò perchè de’ galli entro le membra
     Trovansi alcuni semi, i quai negli occhi
     Del leon penetrando, ambe le luci
     Gli pungono in tal guisa, e così aspro
     1030Dolor gli dan, che più durargli a petto
     Non ponno, ancorchè fieri, ancorchè indomiti.
     E pur dagli stessi atomi non hanno
     Mai le nostre pupille offesa alcuna
     O perch’essi non v’entrano, o piuttosto
     1035Perch’entrandovi, han poi l’esito aperto,
     Per gl’istessi meati, onde in tornando
     Non ponno i lumi in alcun modo offendere.
Or su, quai cose a moverne bastanti
     Siam l’alma, intendi, e in brevi detti aşcolta,
     1040Onde possa venir ciò che ne viene
     In mente. E prima, sappi, che vagando
     Van molte effigie d’ogn’intorno, in molti
     Modi, e son così tenui, e sì cedenti,
     Che ben spesso incontrandosi per l’aria
     1045Si congiungono insieme agevolmente,
     Quasi rele di ragni, o foglie d’oro,
     Poichè queste eziandio viepiù sottili
     Son dell’istesse immagini, che ponno
     Gli occhi istigare, e concitar la vista.
     1050Conciossiachè pe ’l raro entran del corpo,
     E la tenue natura a mover atti
     Son della mente, e risvegliare il senso,
     Dunque Centauti, e Scille, e Can trifauci
     Veggiamo, e di coloro ombre ed immagini,
     1055Che già morte ridusse in poca polvere.
     Posciache simolacri d’ogni genere,
     Parte, che dalle cose ognor si staccano,
     Parte, che nati son da cose varie,
     Per lo vano del cielo errando volano,
     1060E di questi, e di quegli a caso unitisi
     Nuove forme sovente anco si creano.
     Conciossiache la specie del Centauro
     Certamente non può da viva origine
     Farsi; poichè nel mondo unqua non videsi
     1065Un simile animal. Ma se l’effigie
     D’un uomo, e, d’un cavallo a caso incontransi,
     L’apparirne un tal mostro è cosa agevole,
     Giacche tosto ambedue forse congiungonsi
     Per la natura lor, ch’è sottilissima.
     1070Tutti gli altri portenti a questo simili
     Nel medesimo modo anco si creano;
     E lievi essendo sommamente, corrono
     Viepiù del vento, del balen, del fulmine,
     Come già t’insegnammo. Onde assai facile
     1075Fia, che in un colpo sol possa commovere
     Gli animi qualsisia cadente immagine;
     Giacchè ben sai, che per natura è tenue
     La mente anch’essa a maraviglia, e mobile.
     E che ciò, ch’io ragiono, altronde nascere
     1080Non possa, che da quel, ch’io ti rammemoro,
     Ben dee ciascuno agevolmente intendere;
     Mentre ogni spettro, che da noi con l’animo
     Vedesi, a quel, che miran gli occhi, è simile,
     Ed in simil maniera anco si genera:
     1085Dunque perchè giammai veder non puossi,
     Verbigrazia, un leone in altra guisa,
     Che per l’immagin sua, ch’entra negli occhi,
     Quindi lice imparar, che nello stesso
     Modo senz’alcun dubbio anco la mente
     1090Da varie effigie di leoni è mossa.
     Da lei viste ugualmente; e nulla meno
     Di quel, che rimirar possano gli occhi;
     Se non ch’ella più tenui, e più sottili
     Specie discerne. E certamente altronde
     1095Esser non può, che quando il sonno ha sparse
     Di dolce onda Letea tutte le membra,
     Della mente il vigor sia vigilante,
     Se non perchè l’immagini medesme,
     Che vegliando miriam, gli animi nostri
     1100Concitano in tal guisa, che di certo
     Ne sembra di veder chi molto innanzi
     Brev’ora ancise, e poca terra asconde.
     E questo avvien, perchè del corpo i sensi
     Tutti in un con le membra avviluppati
     1105In profonda quiete, allor non ponno
     Con le cose veraci e manifeste
     Convincer le ingannevoli; e sopita
     Giace oltre a questo ogni memoria, e langue;
     Nè basta a dissentir, che già morisse
     1110Quel, che vivo mirar crede la mente.
In somma, che l’immagine passeggi,
     Che mova acconciamente ambe le braccia,
     E le mani, e la testa, e tutto il corpo,
     Meraviglia non è; poichè sognando
     1115Ne sembra di veder, che i simolacri
     Posson far ciò perchè svanendo l’uno,
     E creandosi l’altro in altro sito,
     Par a noi, che il medesimo di prima
     Abbia in un tratto variato il gesto;
     1120Che ben creder si dee, che questo avvenga
     Con somma ed ammirabile prestezza:
     Tanto mobili son gli spettri, e tanta
     È la lor copia, e così grande il numero
     Delle minime parti d’ogni tempo
     1125E qui di molte cose interrogarmi
     Lice, e che molte io ne dichiari è d’uopo,
     Se di spiegar perfettamente altrui
     Di natura desio gl’intimi arcani.
     E pria può domandarmisi, in che modo
     1130L’animo umano, ore il desio lo sprona,
     Tosto volga il pensier? Forse han riguardo
     L’effigie al voler nostro, e senza indugio
     Qualor n’aggrada, a noi vengono incontro
     Se la terra, se ’l mar, se brami il cielo,
     1135Se i ridotti degli uomini, o i conviti,
     O i solenni apparati, o le battaglie,
     Forse ad un cenno sol crea la Natura
     Spettri sì varj, e se gli pone avanţi?
     Massime allor che in un medesmo loco
     1140Altri ha fissa la mente ad altre cose?
     Che poi, quando legati in dolce sonno
     Passar veggiamo i simolacri, e movere
     Le pieghevoli membra acconciamente,
     Qualor tutti a vicenda agili, e snelli
     1145Con le braccia, e co’ piè scherzano in danza,
     Forse nell’arte del ballare esperti
     Vagano i simolacri, e però sanno
     Menar, dormendo noi, tresche notturne?
     O piuttosto fia ver, che in ogni tempo
     1150Sensibil, molti tempi si nascondano,
     Che l’umana ragion sola comprende?
     E che quindi l’effigie apparecchiate
     Sien tutte in tutti i tempi, in tutti i luoghi?
     Tanta è la loro agilitate, e tanta
     1155È la lor copia. O perchè tenui e rare
     Son viepiù dell’immagini, che l’occhio
     Fiedono, unqua mirarle acutamente
     L’alma non può, se non s’affissa in loro?
     E per questo ogni specie in un baleno
     1160Sfuma, se non se l’animo in tal guisa
     Apparecchia se stesso, e brama, e spera
     Di veder ciò che segue, e ’l vede in fatto.
     Noto forse non t’è, che gli occhi nostri
     Si preparano anch’essi, e le pupille
     1165Fissano, allor che tenui cose e rare
     Hanno preso a guardar? Dunque non vedi,
     Che non pon senza questo acutamente.
     Nulla mirare? E pur conosce ognuno,
     Che se l’animo nostro altrove è volto,
     1170Le cose anco vicine e manifeste
     Ci sembran lontanissime ed oscure.
     A che dunque stimar dei maraviglia,
     Ch’ei non possa altre immagini vedere,
     Che quelle, in cui s’affissa? In oltre, ogni uomo
     1175Da segni piccolissimi conchiude
     Talor gran cose, e no ’l pensando, in mille
     Modi s’avvolge, e se medesmo inganna:
     Succede ancor, che variando effigie
     Vadan gli spettri, onde chi prima apparve
     1180Femmina, in un balen maschio diventi;
     E d’una in altra etade, d’una in altra
     Faccia si muti, e che mirabil cosa
     Ciò non si stimi, il sonno opra, e l’obblio.
Or qui vorrei, che tu schivassi in tutto
     1185Quel vizio, in cui già molti hanno inciampato
     Cioè, che non credessi in alcun modo,
     Che sian degli occhi nostri i chiari lumi
     Creati per veder; nè che le gambe
     Nascan atte a piegarsi, acciocchè l’uomo
     1190Or s’inchini, or si drizzi, or mova il passo;
     Nè che le braccia nerborute, e forti
     Date ne sian dalla natura, ed ambe
     Le man quasi ministre, onde si possa
     Far ciò ch’è d’uopo a conservar la vita;
     1195Nè l’altre cose simili, che tutte
     Son del pari a rovescio interpretate.
     Poichè nulla giammai nacque nel corpo,
     Perchè usar lo potessimo; ma quello,
     Che all’incontro vi nacque, ha fatto ogni uso
     1200Nè fu prima il veder, che le pupille
     Si creasser degli occhi;, e non fu prima
     L’arringar, che la lingua, anzi piuttosto
     Della lingua l’origine precesse
     Di gran tratto il parlare; e molto innanzi
     1205Fur prodotte l’orecchie, che sentite
     Le voci, e il suono; e tutte al fin le membra
     Fur pria dell’uso lor. Dunque per l’uso
     Nate non son, ma l’azzuffarsi in guerra,
     L’uccidersi, il ferirsi, e d’atro sangue
     1210Bruttarsi ’l corpo pe ’l contrario, innanzi
     Fu, che per l’aere i dardi a volo andassero.
     Pria natura insegnò, che da schivarsi
     Eran le piaghe, e poi l’arte maestra
     Le corazze inventò, gli elmi, e gli scudi.
     1215Ed è molto più antico il dar quiete
     Alle membra già stanche, o sulla dura
     Terra, o sull’erbe molli all’aria aperta,
     Che il nutrirne a grand’agio in piume al rezzo.
     E prima a dissetar l’arsicce fauci
     1220La man concava usammo, e l’onde fresche,
     Che le tazze d’argento, e il vin di creta,
     Dunqu’è ben ragionevole, che fatto
     Per l’uso sia ciò che dall’uso è nato.
     Ma tal non è quel, che prodotto innanzi
     1225Fu, che dell’util suo notizia desse:
     Come principalmente esser veggiamo
     Le membra, e i sensi, onde incredibil parmi,
     Che per utile nostro unqua potesse
     La natura crear le membra, e i sensi.
1230Similmente parer cosa ammiranda
     Non dee, che cerchi ogni animale il proprio
     Vitto, e senz’esso a poco a poco manchi.
     Perch’io, se ben sovvienti, ho già mostrato,
     Che da tutte le cose ognor traspirano
     1235Molti minimi corpi in molti modi
     Ma forza è pur, che in maggior copia assai
     Lor convenga esalar dagli animali,
     Che son dal moto affaticati e stanchi;
     Senzachè molti per sudore espressi
     1240Son dall’interne parti, e molti sfumano
     Dalle fauci anelanti sitibonde.
     Or quindi ’l corpo rarefassi, e tutta
     La natura vien men; quindi il dolore
     Si crea; quindi i viventi amano il cibo
     1245Per ricrear le forze, e sostenere
     Le membra, e per le vene, e per le viscere
     Sedar l’ingorda fame. Il molle umore
     Penetra similmente in tutti i luoghi,
     Che d’umore han bisogno, e dissipando
     1250Molti caldi vapor, che radunati
     Nello stomaco nostro incendio apportano,
     Quasi foco gli estingue, e vieta intanto
     Che non ardano il corpo. In simil guisa
     Dunque s’ammorza l’anelante sete:
     1255Tal si pasce il desio delle vivande.
Or come ognun di noi gire, e fermarsi
     Possa, ovunque gli aggrada, e in varie guise
     Mover le membra; e da qual urto il grave
     Pondo del nostro corpo impulso e moto
     1260Abbia, vo’ dir: tu quel, ch’io dico, ascolta.
L’effigie pria d’andar fassi alla mente
     Incontro, e la percote: indi si crea
     La volontà, poichè nessun non piglia
     Mai nulla a far, se no ’l prevede, e vuole
     1265L’animo in pria: ma senza dubbio è d’uopo,
     Che di ciò ch’ei prevede, i simolacri
     Gli sian già noti e manifesti. Adunque
     Tosto che dall’immagini è commossa
     La mente in guisa tal, che stabilito
     1270Abbia di gir, fiede il vigor dell’alma,
     Ch’è diviso, e disperso in tutto il corpo,
     E pe’ nervi, e pe’ muscoli: nè questo
     È difficile a far; poichè congiunto
     L’uno è con l’altro: indi ’l vigor predetto
     1275Ne percote le membra, e così tutta
     Spinta è la mole a poco a poco e mossa.
     In oltre allor d’ogni animale il corpo
     Divien molto più raro; e come deve,
     L’aria, che sempre per natura è mobile,
     1280Largamente vi penetra, e per tutte
     Le sue minime parti si diffonde:
     E quindi avvien, che qual naviglio urtato
     Dalle vele, e da’ venti, il corpo nostro
     Per due cause congiunte al fin si more.
     1285Nè per cosa mirabile s’additi,
     Che sì tenui corpuscoli sian atti
     A girar sì gran corpo, e mover tutto
     Il pondo suo; mentre sì spesso il vento,
     Che pure anch’egli è di sottili e rari
     1290Atomi intesto, impetuosamente
     Move un vasto naviglio, e un sol piloto
     È possente a frenarlo, ancorchè voli
     Furioso per l’alto a piene vele;
     Purchè tosto, ove dee, giri il governo:
     1295Ed un solo architetto erger talora
     Suol con timpani, e taglie immensi pesi.
Or come il sonno per le membra irrighi
     La sicura quiete, e della mente
     Scioglia ogni affanno, io con soavi carmi,
     1300Più che con molti, di narrarti intendo
     Qual più grato è de’ cigni il canto umile
     Del gridar, che le grue fan tra le nubi,
     Se i gran campi dell’aria austro conturba;
     Tu con acuto erecchio, e con sagace
     1305Mente m’ascolta, acciocchè poi non neghi
     Tutte quel, ch’io ti dico, e non disprezzi
     Con animo ostinato, e ripugnante
     Le mie vere ragion, pria che l’intenda.
Pria si genera il sonno allor che l’alma
     1310Per le membra è distratta, e fuori in parte
     Cacciata esala, e in parte anco rispinta
     Ne’ penetrali suoi fugge, e s’asconde.
     Conciossiachè languisce, e quasi manca
     Il corpo allor; ma non è dubbio alcuno,
     1315Che dell’anima umana opra non siano
     Tutti i sensi dell’uom. Dunque se il sonno
     Ce gli tiene impediti, è pur mestiero,
     Che turbata sia l’alma, e fuor dispersa;
     Ma non tutta però, che gelo eterno
     1320Di morte ingombreriane, ove nascosta
     Dell’alma aſcuna parte entro alle membra
     Non rimanesse; in quella guisa appunto
     Che sotto a molta cenere sepolto
     S’asconde il foco: onde repente il senso
     1325Tal possa in noi rinovellarsi, quale
     Pur da sepolto ardor sorge la fiamma.
Ma di tal novità quai le cagioni
     Siano, e quai cose ne conturbin l’alma,
     E faccian tutto illanguidire il corpo,
     1330Brevemente dirò. Tu non volere,
     Ch’io sparga intanto ogni mio detto al vento.
     Primieramente essendo il corpo nostro
     Dall’aure aeree d’ogn’intorno cinto,
     D’uopo è, che sia, quanto alle parti esterne,
     1335Dagli stessi lor colpi urtato, e pesto.
     E per questa cagion tutte le cose
     Son coperte da callo, e da corteċcia,
     O da cuojo, o da setole, o da velli,
     O da spine, o da guscio, o da conchiglie,
     1340O peli, o piume, o lana, o penne, o squame
     E nell’interne ancor sedi penètra
     L’aer medesmo, e le percote, e sferza,
     Mentre da noi si attragge, e si respira:
     Ond’essendo le membra in varie guise
     1345Quinci, e quindi agitate, ed arrivando
     Pe’ fori occulti le percosse a’ primi
     Elementi del corpo, a poco a poco
     Nasce a noi per lo tutto, e per le parti
     Una quasi del senso alta ruina.
     1350Poichè turbansi ’n guisa i moti, e i siti
     De’ principj dell’anima, e del corpo,
     Che di quella una parte è fuor cacciata,
     Un’altra in dentro si ritira, e cela,
     E un’altra vien ad esser per le membra
     1355Sparsa, e distratta un vicendevol moto
     Non puote esescitar, poichè natura
     I meati, e le vie chiuse le tiene.
     E quindi è poi, che variati i moti
     Sfuma altamente, e si dilegua il senso;
     1360E non v’essendo allor cosa, che possa
     Quasi regger le membra, il corpo langue,
     Caggion le braccia, e le palpebre, e tosto
     Ambe s’inchinan le ginocchia a terra.
     E dal pasto oltre a ciò creato il sonno;
     1365Perchè quel, che fa l’aria agevolmente,
     Fanno anche i cibi, allor che per le vene
     Vengon distribuiti; e più d’ogni altro
     È profondo il sopor, che sazj e stanchi
     N’assal: poichè in tal caso una gran massa
     1370D’atomi si rimescola agitata
     Da soverchia fatica; e similmente
     L’anima si ritira, e si nasconde
     I più cupi recessi, e fuor cacciata
     Esala in maggior copia, e fra se stessa
     1375Più sparsa in somma, e più distratta è dentro,
     Onde il più delle volte in sogno appare
     O cosa, cui per obbligo s’attende,
     O che gran tempo esercitossi innanzi,
     O che molto ci appaga. All’avvocato
     1380Sembra di litigare, e pe’ clienti
     Citar leggi e statuti. Il capitano
     Co’ nemici s’azzuffa, e sanguinose
     Battaglie indice. I naviganti fanno
     Guerra co’ venti, e con le sirti; ed io
     1385Cerc’ognor di spiar gli alti segreti
     Di natura, e spiati acconciamente
     Nella patria favella esporgli ’n carte:
     Tal quasi sempre ogni altro studio, ed arte
     Suol dormendo occupar gli animi umani.
     1390E chiunque più giorni intento e fisso
     Stette a mirar per ordine una festa,
     Veggiam, che spesso, ancorchè i sensi esterni
     Lungi ne sian, pur nell’interno aperte
     Sono altre strade, onde venirgl’in mente
     1395Posson gl’istessi simolacri; e quindi
     Avvien, che lungo tempo avanti a gli occhi
     Gli stanno in guisa, ch’eziandio vegliando
     Pargli veder chi balli, e salti, e mova
     Le pieghevoli membra acconciamente,
     1400E sentir delle cetre i dolci carmi,
     E de’ nervi loquaci il suon concorde,
     E mirare il medesimo consesso,
     E di varie pitture, e d’oro, e d’ostro
     Splender la scena, ed il teatro intorno:
     1405Tanto il voler, tanto lo studio importa,
     Ed a quali esercizj assuefatti,
     Non pur gli uomini sian, ma tutti i bruti.
     Conciossiachè sovente, ancorchè dorma
     Il feroce destrier steso fra l’erbe,
     1410Quasi a nobil vittoria avido aspiri,
     Sbuffa, zappa, nitrisce, anela, e suda,
     E per vincer pugnando opra ogni forza.
     E spesso immersi in placida quiete
     Corrono i bracchi all’improvviso, e tutto
     1415Empion di grida, e di latrati il cielo;
     E qual se l’orme di nemiche fiere
     Si vedessero innanzi, aure frequenti
     Spirano, e spesso ancor poi che son desti
     Seguen de’ cervi i simolacri vani
     1420Quasi dati alla fuga, infin che scosso
     Ogn’inganno primier tornino in loro.
     Ma le razze sollecite de’ cani
     Delle mandre custodi, e degli alberghi,
     Quasi abbian visto di rapace lupo
     1425L’odiata presenza, o di notturno
     Ladro il sembiante sconosciuto, spesso
     S’affrettano di cacciar dagli occhi i levi
     Lor sonni incerti, e di rizzarsi in piede,
     E quanto son di più scabrosie rozzi
     1430Atomi intesti, tanto più commossi
     D’uopo è, che siano, e tormentati in sogno.
     Quindi la plebe de’ minuti augelli
     Suol repente fuggirsi, e paurosa
     Turbar con l’ali a ciel notturno i boschi
     1435Sagri a’ rustici Dei, qualor sepolta
     In piacevole sonno a tergo avere
     Le par di smergo audace il rostro ingordo.
     Ma che fan poi negl’improvvisi e grandi
     Moti gli animi umani? Essi per certo
     1440Fan sovente gran cose. Espugnan regi,
     Son presi, attaccan guerra, alzan gridando
     Le voci al ciel, quasi nemico acciajo
     Vivi gli scanni. Altri combatte e sparge
     Di pianto il suol, di gemiti e sospiri
     1445L’aria; e quasi pantera, o fier leone
     Digiun lo sbrani, empie di strida il tutto
     Altr’in sogno favella, e ne rivela
     Talor cose importanti, e porge spesso
     Degli occulti misfatti indicio aperto.
     1450Molti da breve sonno a sonno eterno
     Fan passaggio crudel. Molti assaliti
     Da spavento terribile improvviso,
     Qual se d’alta montagna in cupa valle
     Fosser precipitati, oppressi ’n guisa
     1455Restan, che quasi mentecatti, e scemi
     Desti a gran pena pe ’l disturbo interno
     Delle membra agitate, in se ritornano.
     Siede poi l’assetato appresso un fiume,
     O presso un fonte, o presso un rivo, e tutto
     1460L’occupa quasi con le fauci ingorde:
     E spesso anco i bambin dal sonno avvinti,
     Pensan d’alzarsi i panni, o sovra un lago,
     O sovra un corto doglio, e di deporvi
     Il soverchio liquor di tutto il corpo:
     1465Mentre intanto d’Olanda i preziosi
     Lini vanno irrigando, e le superbe
     Coltre tessute in Babilonia, o Menfi.
In oltre quei, che dell’etade al primo
     Bollor son giunti, e che maturo il seme
     1470Hanno omai per le membra, effigie e spettri
     Veggono intorno di color gentili,
     E di volti leggiadri: indi eccitarsi
     Sentono i luoghi di soverchio seme
     Gonfj, e quasi che allor congiunti in uno
     1475Abbian tutti i lor voti, un largo fiume
     Spargon sovente, ond’è men puro il letto.
     Dunque il seme, ch’io dissi, entro alle membra
     S’eccita allor che per l’adulta etade
     Comincia il corpo a divenir robusto:
     1480Che varj effetti han varie cause; è quindi
     Sol dell’uomo il vigor provoca, e move
     Nell’uom l’umano seme; il quale uscendo
     Fuor de’luoghi natii, da tutto il corpo
     Si parte, e per le membra, e per gli articoli
     1485Cade in certe di nervi inteste sedi
     A lui convenienti, e tosto irrita
     Le parti genitali: esse irritate
     Gonfian per troppo seme;, e quindi nasce
     Il desio di vibrarlo, ove comanda
     1490La sfrenata libidine; e la mente
     Brama quel corpo, onde ferilla amorẹ.
     Così dunque ciascun, che saettato
     Sia dallo stral di Venere, o pur donna,
     Che dagli occhi leggiadri incendio spiri;
     1495O per vago fanciul, cui la vezzosa
     Femminil guancia ancor piuma non veli,
     Quasi a fermo bersaglio il pensier volge
     Tosto, onde uscìo l’aspra sua piaga, e brama
     D’unirsi a chi l’offese, e di lanciare
     1500L’umor tratto dal corpo entro quel corpo;
     Perchè il molto desio piacer gli annunzia.
     Quest’è Venere in noi: quindi fu tratto
     D’amore il nome, indi stillaro in prima
     Le veneree dolcezze, indi le fredde
     1505Cure i petti ingombrar. Poichè se lungi
     E’ l’oggetto, che s’ama, almen presente
     Ne sta l’effigie, e’l desiato nome
     Sempre all’orecchie si raggira intorno.
Ma fuggir ne convien l’esca d’amore,
     1510E l’immagini sue, volgendo altrove
     La mente, e del soverchio umor del corpo
     Sgravarne, ovunque n’è concesso, e mai
     Fissa non ritener d’un solo oggetto
     Nel cor la brama, e per noi stessi intanto
     1515Nutrir cure mordaci, e certo duolo.
     Conciossiachè la piaga ognor più viva
     Diventa, e co’l nutrirla infistolisce:
     Cresce il furor di giorno in giorno, e sempre
     La miseria del cor fassi più grave,
     1520Se tu con dardi novi i primi dardi
     Prontamente a cacciar non t’apparecchi,
     Come d’asse si trae chiodo con chiodo,
     E con vagante affetto or quello, or questo
     Dolce frutto di Venere cogliendo
     1525Le fresche piaghe non risani, e volgi
     Dell’alma afflitta in altra parte i moti
Nè da i frutti d’amor chi schiva amore
     Mena lungi la vita; anzi ne prende
     Senza travaglio alcun tutti i contenti.
     1530Conciossiachè più certo, e più sincero
     Quinci tragge il piacer chi mai non pose
     Il cauto piè sull’amorosa pania;
     O tosto almen senza invischiarsi l’ale
     Ne ’l ritrasse, e fuggìo. Che gli ostinati
     1535Miseri amanti, i quai nel tempo stessa
     De’ godimenti lor van fluttuando
     In un mar d’incertezze, e stanuo in forse
     Di qual parte fruir gli occhi, o le mani
     Debbano in prima, il desiato corpo
     1540Premon sì stretto, che dolore acerbo
     Gli danno, e spesso nell’amate labbra
     Lascian de proprj denti impressi i segni,
     Ove suggono i baci avidamente;
     Perchè impuro è il diletto, e con occulti
     1545Stimoli pungentissimi gl’incita
     Ad oltraggiar, che ch’egli sia, quel desso,
     Che d’un tanto furor produce i germi.
     Ma Venere ogni pena infra gli amori
     Mitiga dolcemente, e dolcemente
     1550Frena i morsi, e l’offese il piacer misto;
     Poichè speran, che un giorno anco ammorzarsi
     Possa l’incendio lor dal corpo stesso,
     Onde il cieco desio sorse, e la vampa:
     Il che nega all’incontro apertamente
     1555Natura; anzichè questa è quella sola
     Cosa, di cui quanto più l’uom possiede,
     Tanto arde più di crudel brama il petto.
     Poichè ’l cibo, e l’umor dentro alle membra
     Si piglia, e perch’ei puote alcune parti
     1560Certe occupar, quinci è mestier, che resti
     Dal mangiare, e dal ber sazio il desio,
     Ma del volto leggiadro, e del soave
     Color dell’uomo altro non gode il corpo,
     Fuorchè le tenui immagini volanti,
     1565Che porta il vento d’infelice speme.
     E qual dormendo un assetato infermo
     Cerca di liquor freddo o fonte, o rio,
     Che il grave incendio delle membra estingua,
     Ma cerca indarno, e de’ gelati amori,
     1570Fuorchè le vane effigie, altro non trova,
     E di sete in bevendo arde nell’onde;
     Tal con fallaci simolacri, e spettri
     Venere infra gli amor beffa gli amanti,
     Che mai di vagheggiar l’amato aspetto
     1575Saziar non ponno i desiosi lumi;
     Nè detrar con le mani alcuna parte,
     Mentre per tutto il corpo errano incerti.
     In somma allor che vigorose, e forti
     Han già le membra, e dell’etade il fiore
     1580Godono, allor che presagisce il corpo
     Gaudj non più sentiti, e che la stessa
     Venere attende a seminare i campi
     Delle giovani donne, avidamente
     Congiungon petto a petto, e bocca a bocca,
     1585E mordendosi ’l volto ansano indarno;
     Poichè quindi limar nulla non ponno,
     Nè penetrar con tutt’il corpo il corpo,
     Come par, che talvolta abbian talento:
     Sì desiosamente avviticchiati
     1590Stan con lacci venerei, infin che lassi
     Per soverchio piacer solvonsi i membri
     Al fin poi che l’ardor ne i nervi accolto
     Fuor se n’uscìo, la violenta brama ·
     Ha qualche pausa. Indi la rabbia stessa
     1595Riede, e ’l furor; mentre toccar di novo
     Cercan l’amato corpo, e mai non poano,
     Arte alcuna trovar, che gli ristori
     Dal mal, che gli ange, e lor tormenta il core:
     Tal per cieca ferita incerti errando
     1600Tabidi fansi a poco a poco, e mancano.
     Aggiungi, che il vigor scema, e la forza;
     Che l’angosce, e i travagli ognor n’afliggono;
     Che sotto al cenno altrui l’età si logora;
     La roba intanto si disperde e fonde,
     1605Dansi le sicurtà, langue ogni uffizio,
     E la gloria, e la fama egre vacillano:
     Splende d’unguenti ’l crin, ridono in piede
     Sicionj coturni, ornan le dita
     Grossi smeraldi in fino oro legati,
     1610E di serico manto adorno il corpo.
     Giornalmente rifulge, e le ricchezze
     Da’ paterni sudor bene acquistate
     Divengon fasce di ghirlande, e mitre,
     E talvolta in lascivi abiti molli
     1615Cangiansi, e in vesti Melitensi, e Cee,
     E quel, che al vestir nobile, ed al vitto
     Servir dovrebbe, è dissipato in giochi,
     In musiche, in conviti, in giostre, in danze,
     In profumi, in corone, in rose, in fiori:
     1620Ma tutto in van, poichè di mezzo al fonte
     Dolce d’amore un non so che d’amaro
     Sorge, che sin tra’ fiori ange gli amanti;
     O perchè dagli stimoli trafitto
     Della propria coscienza in se ritorna
     1625L’animo;, e di menar forse si duole
     La vita all’ozio, ed alle piume in preda,
     E tra sozzi bordelli indegnamente
     Perire in sen d’una Bagascia infame;
     O perch’ell’avrà detto una parola
     1630D’obliquo senso, che nel core infissa,
     Qual foco sotto cenere s’avviva;
     O perchè troppo cupidi, e vaganti
     Gli occhi, e troppo gli volge al suo rivale,
     E con lui troppo parla, e troppo ride,
1635E di mali sì gravi amore abbonda,
     Allorchè favorevole e propizio
     Si mostra altrui, quanto mostrar si puote,
     Ma quando egli all’incontro incrudelisce
     Verso i mendici suoi miseri servi,
     1640N’ha tanti, e tanti, che co’ gli occhi stessi
     Puoi vederne infiniti. Onde assai meglio
     Ti fia lo star ben vigilante, e desto,
     Com’io già t’insegnai, pria che la dolce
     Esca t’alletti, in cui nascosto è l’amo.
     1645Posciachè lo schivar d’esser indotto
     A cader nella rete, è molto meno
     Malagevole a far, che preso uscirne,
     E romper di Cupido i forti nodi;
     O pure avvinto ed irretito ancora
     1650Scior ti potrai, se tu medesmo a te
     Non sei d’impedimento, e non dissimuli
     Tutti i vizj dell’animo, e del corpo
     Di colei, che tu ami, e che desideri;
     Poichè il più delle volte i folli amanti
     1655Ciò fanno, e spesso attribuiscon loro
     False prerogative: e quindi accade,
     Che molte, ancorchè brutte, in varie guise
     Piacciono, e s’hanno in somm’onore, e pregio
     Olivastra è la Nera; inculta ad arte
     1660La sciatta, e sporca: Pallade somiglia
     Chi gli occhi ha tinti di color celeste:
     Forte, e gagliarda è la Nervosa, e dura:
     Piccioletta la Nana, e delle Grazie
     O sorella, o compagna, e tutta sale.
     1665Quella, che immane è di statura, altrui
     Terrore insieme, e meraviglia apporta,
     Piena d’onor, di maestà nel volto:
     È balba, e quasi favellar non puote?
     Fra se stessa borbotta, è muta affatto,
     1670Un ingenuo puder fa, che non parli:
     È ardente, odiosa, e linguacciuta?
     Fia lampa fiammeggiante: È tisicuzza,
     E co’ denti tien l’anima? vien detta
     Gracile e gentilina: È morta omai
     1675Di tosse? Cagionevole s’appella:
     È paffuta, popputa, e naticuta?
     Sembra Cerere stessa amica a Bacco:
     Sime ha le nari? è Satira, o Silena:
     Grosse ha le labbra sue? bocca è da baci.
     1680Ma lungo fia, s’io ti racconto il resto.
     Ma pur sia, quanto vuoi, bella di faccia;
     Paja a Venere stessa in ogni membro
     Di leggiadria, di venustà simìle:
     Ben dell’altre ne son; ben senza questa
     1685Vivemmo innanzi; ben si sa, che tutte
     Fan le cose medesime, che fanno
     Quelle, che son deformi. Ed ella in oltre
     Di biacca intride, e di cinabro il volto,
     Folle, e con tetri odor se stessa ammorba
     1690Sì che fin dalle serve avuta a schifo
     È fuggita, odiata, e mostra a dito.
     Ma di setti, e di fior l’escluso amante
     Spesso piangendo orna la fredda soglia,
     E di soavi unguenti unge l’imposte
     1695Misero, e baci al superb’uscio affige;
     Che poi se dentro a limitare il piede
     Ferma, un’aura, che lieve lo percota,
     L’offende sì, che di tirarlo omai
     Cerca oneste cagioni. Un punto solo
     1700Rasciuga il pianto di molt’anni, e freno
     Pone a’ lameṇti; anzi se stesso accusa
     Di solenne pazzia, chiaro veggendo
     D’aver più ad una femmina concesso,
     Che a mortal cosa attribuir non lice.
     1705Nè ciò punto è nascosto alle moderne
     Veneri nostre, onde ogn’industria, ogni arte
     Usan per occultar ciò che in segreto
     Fanno, allorchè tener gran tempo avvinti
     Fra legami d’amor braman gli amanti;
     1710Ma tutto in van: che se mirar non puossi
     Co’ gli occhi della testa, almen con quelli
     Dell’animo si mira, e si contempla;
     E se bella è di mente, e se ti porta
     Vicendevole amor, non vieteratti
     1715Punto il dar venia alle miserie umane.
     Nè per infinito amor sempre sospira
     La donna, allor che nelle braccia accoglie
     Dell’uomo il corpo, e lo si stringe al seno,
     E co’ succhiati labbri umetta i baci.
     1720Conciossiachè di core il fa sovente
     Cercando il comun gaudio, e s’affatica
     Di giunger tosto all’amorosa meta:
     Nè per altra cagione a maschj loro
     Sottopor si potrian gli augelli, e i greggi,
     1725E gli armenti, e le fere, e le cavalle,
     Se non perch’ardon di lussuria, e tutte
     Di focoso desio pregne, e di seme
     Vien liete incontro al genital diletto
     De’ lascivi mariti, ed a vicenda
     1730Il maneggiano anch’esse. Or tu non vedi
     Forse, come color, che spesso avvinti
     Furon da vicendevole piacere,
     Nella stessa prigione, e fra gli stessi
     Lacci sian tormentati? Anzi sovente
     1735Per le pubbliche vie sogliono i cani
     Tentar di separarsi, ed ogni sforzo
     Mettere in ciò, mentre legati intanto
     Stan con nodi venerei: il che per certo
     Far non potrian, se di scambievol gusto
     1740Non gioissero in prima, onde ingannati
     Fossero, e strettamente aggiunti.
     Dunque voglia, o non voglia, il gaudio loro
     È comun senza dubbio, e vicendevole.
     E se per avventura il viril seme
     1745Fia nel carnal congiungimento attratto,
     E con subita forza a se rapito
     Dal seme femminil, dal patrio seme
     Nascono i figli allor simili al padre,
     Dal materno alla madre; e se talvolta
     1750Vedesi alcun, che d’ambidue l’effigie
     Egualmente ritenga, e in un confonda
     De’ genitori i volti, ei dal paterno
     Corpo è cresciuto, e del materno sangue;
     Mentre eccitati per le membra i semi
     1755Da scambievole ardor, furo in tal guisa
     Sbattuti insieme, e rimenati, e misti,
     Che nè questi, nè quel vinto, o vincente
     Dir si potèo nell’amoroso incontro.
     Posson anco alle volte a gli avi loro
     1760Nascer simili i figli, e de’ proavi
     Rinovar le sembianze, e ciò succede
     Perchè spesso mischiati in molti modi
     Celano i genitor molti principj
     Nel proprio corpo, che di mano in mano
     1765Dalla stirpe discesi, i padri a’ padri
     Danno; e quindi è, che Venere produce
     Con diversa fortuna aspetti varj,
     E de’ nostri Antenati i volti imita,
     I moti, i gesti; le parole, e il pelo
     1770Posciachè nulla meno è certo il seme,
     Onde nascono in noi sì fatte cose,
     Di quello, onde si crean le faccie, i corpi,
     E l’altre umane membra: ed è prodotto
     Dal patrio sangue delle donne il sesso,
     1775E l’uom formato è del materno corpo;
     Perchè d’entrambi i semi in un commisti
     Costa ogni parto;, e qual de’ genitori
     E più simile al figlio, ei nel suo corpo
     Ha maggior parte, o sia femmina, o maschio,
1780Nè pon gli Dei la genital semenza
     Disturbare ad alcun, sì ch’ei non veggia
     Scherzar vezzosamente a se d’intorno
     I figli, e il dolce nome oda di padre,
     E fra sterili amplessi ed infecondi
     1785L’età consumi: al che fede prestando
     Molti di molto sangue afflitti e mesti
     Cospergon l’are, e preziosi incensi
     V’ardono, e d’oro, e d’ostro ornan gli altari.
     Acciò gravide poi di largo seme
     1790Rendan le mogli. Ma de’ Numi indarno
     Affatican l’orecchie, e dell’occulto
     Fato i vani decreti indarno stancano.
     Conciossiachè infeconde o il troppo crasso
     Seme le rende, o il troppo tenue, e liquido:
     1795Questo, perchè non puote a’ genitali
     Vasi attaccarsi, onde vibrato appena
     Si dissolve in più parti, e fuor se n’esce;
     Quello, o perchè lanciandosi non vola
     Tanto lungi, che basti, o perchè i luoghi
     1800Debiti non penètra, o penetrati
     Che gli ha, non così bene in un si mesce
     Co ’l seme femminil: che molto varie
     Son l’armonie di Venere; e da questi,
     Più che da quei, di molte donne il seno
     1805Divien grave, e fecondo; e molte furo
     Sterili innanzi a più mariti, e poscia
     Non per tanto trovar chi di bramato
     Parto arricchille, e di soavi figli.
     E chi pria varie mogli ebbe infeconde,
     1810Spesso un’altra ne prese, onde poteo
     Munir di figli la vecchiezza inferma:
     Tanto, acciocchè si mescia il seme al seme
     Generativamente, e che s’adatti
     Il tenue al crasso, e il crasso al tenue, importa
     1815A qual uom sia la femmina congiunta ·
     Nel diletto venereo; e molto ancora
     Monta, di che bevanda, e di che cibo
     L’un, e l’altro si nutra, e si conservi.
     Poichè per altre cose entro alle membra
     1820Si coagula il seme; ed all’incontro
     Per altre anco s’attenua, e divien marcio.
     E non poco, oltre a ciò, l’arte rileva,
     Onde il blando piacer, che ne dà vita,
     Preso è da noi: che delle fere in guisa,
     1825E degli altri quadrupedi animali
     Stimar si dee, che molto più sien atte
     Le donne a concepir; poichè in tal modo
     Stando i lombi elevati, e ’l petto chino,
     Ponno i debiti vasi il viril seme
     1830Ricever molto meglio, e non ha d’uopo
     Di movimenti effemminati, e molli;
     Anzi a se stessa il concepir contrasta
     La donna, allor che del consorte a gara
     Il diletto carnal lieta accompagna
     1835Co ’l moto delle natiche, e bramosa,
     E d’indugio, e di requie impaziente
     Con tutto il petto disossato ondeggia:
     Poichè il vomere allor dal cammin dritto
     Del solco genital caccia, e rimove
     1840Da’ luoghi a lui proporzionati il seme;
     E per questa cagion le meretrici
     Costuman d’agitarsi, acciocch’insieme
     Schifin lo spesso ingravidare, e dieno
     Maggior gusto a’ lor drudi; il che non sembra,
     1845Che d’uopo sia per le consorti nostre.
     Nè creder mai, che per divin volere,
     O per le frecce di Cupido amata
     Sia talvolta una femmina deforme;
     Conciossiachè talor la donna stessa
     1850Co’ i costumi piacevoli, e co’ modi
     Avvenenti, e leggiadri, e con lo schietto
     Culto del proprio corpo opra, che l’uomo
     S’avvezzi agevolmente a viver seco.
     Nel resto il conversar genera amore:
     1855Che sia pur, quanto vuoi, leve ogni corpo,
     Ciò che spesso è percosso, in lungo spazio
     Pur cede, e cade. Or tu non vedi adunque,
     Che fin dell’acque le minute stille
     Con l’assiduo grondar forano i sassi?

Vo passeggiando dell’aonie dive
I luoghi senza strada e da nessuno
Mai più calcati. A me diletta e giova
Gir a’ vergini fonti e inebriarmi
5D’onde non tocche. A me diletta e giova
Coglier novelli fiori onde ghirlanda
Peregrina ed illustre al crin m’intrecci,
Di cui fin qui non adornâr le muse
Le tempie mai d’alcun poeta tósco;
10Pria, perchè grandi e gravi cose insegno
E seguo a liberar gli animi altrui
Dagli aspri ceppi e da’ tenaci lacci
Della religïon; poi, perchè canto
Di cose oscure in così chiari versi,
15E di nêttar febeo tutte l’aspergo.
Nè questo è, come par, fuor di ragione:
Poichè; qual, se fanciullo a morte langue,
Fisico esperto alla sua cura intento
Suol porgergli in bevanda assenzio tetro
20Ma pria di biondo e dolce mèle asperge
L’orlo del nappo, acciò gustandol poi
La semplicetta età resti delusa
Dalle mal caute labbra e beva intanto
Dell’erba a lei salubre il succo amaro,
25Nè si trovi ingannata, anzi consegua
Solo per mezzo suo vita e salute;
Tal a punto or facc’io. Perchè mi sembra
Che le cose ch’io parlo a molti indótti
Potrian forse parere aspre e malvage,
30E so che ’l cieco e sciocco volgo aborre
Da mie ragioni; io per ciò volsi, o Memmo,
Con soave eloquenza il tutto esporti,
E quasi asperso d’apollineo mèle
Te ’l porgo innanzi, per veder s’io posso
35In tal guisa allettar l’animo tuo;
Mentre dipinta in questi versi miei
La natura vagheggi, e ben conosci
Quanto l’utile sia che la n’apporta.
        Ma; perchè innanzi io t’ho provato a lungo
40Quali sian delle cose i primi semi,
E con che varie forme essi nel vano
Per sè vadano errando e sian commossi
Da moto eterno; e come possa il tutto
Di lor crearsi; e t’ho mostrato in oltre
45La natura dell’animo, insegnando
Ciò ch’egli siasi e di quai semi intesto
Viva insieme col corpo ed in qual modo
Torni distratto ne’ principii primi;
Tempo mi par di ragionarti omai
50Di quel che molto in queste cose importa;
Cio è, che quelle imagini che dette
Son da noi simolacri altro non siano
Che certe sottilissime membrane
Ch’ognor staccate dalla buccia esterna
55De’ corpi or qua or là volin per l’aure,
E che quelle medesime, ch’incontro
Ci si fanno vegliando e di spavento
Empion gli animi nostri, anco dormendo
Ci si paran davanti, allor che spesso
60Veggiamo ignudi simolacri et ombre
Sì spaventose e d’ogni luce prive
Che ne destan dal sonno orribilmente;
Acciò che forse non si pensi alcuno
Che del basso Acheronte uscendo l’alme
65Volin tra’ vivi o che rimanga intatta
Qualche parte di noi dopo la morte,
Quando, del corpo e della mente insieme
Dissipata l’essenza, il tutto omai
Avrà ne’ semi suoi fatto ritorno.
        70Su dunque: io dico che de’ corpi ogn’ora
Le tenui somiglianze e i simolacri
Vengon dal sommo lor vibrati intorno.
Questi da noi quasi membrane o bucce
Debbon chiamarsi, con ciò sia che seco
75Portin sempre l’imagini il sembiante
E la forma di quello ond’esse in prima
Staccansi e per lo mezzo erran diffuse.
E ciò quindi imparar, benchè alla grossa,
Lice a ciascun. Pria; perchè molte cose
80Vibran palesemente alcuni corpi
Lungi da sè; parte vaganti e sparsi,
Com’il fumo le querci, e le faville
Il fuoco; e parte più contesti insieme,
Come soglion tal or l’antiche vesti
85Spogliarsi le cicale allor che Sirio
Di focosi latrati il mondo avvampa,
O quale a punto il tenero vitello
Lascia del corpo la membrana esterna
Nel presepio ove nasce, o qual depone
90Lubrico sdrucciolevole serpente
La spoglia in fra le spine, onde le siepi
Delle lor vesti svolazzanti adorne
Spesso veggiamo. Or, se tai cose adunque
Si fanno, è ben credibile che debba
95Vibrar dal sommo suo qualunque corpo
Di sè medesmo una sottile imago.
Con ciò sia che già mai ragione alcuna
Assegnar non si può, perchè staccarsi
Debbiano dalle cose i detti corpi
100E non i più minuti e più sottili;
Massime essendo delle cose al sommo
Molti piccoli semi, i quai vibrarsi
Ponno con lo stess’ordine che prima
Ebbero e conservar la stessa forma,
105E ciò tanto più ratti, quanto meno
Ponno i pochi impedirsi e nella fronte
Prima hanno luogo. Con ciò sia che sempre
Emergon molte cose e son vibrate
Non pur dai cupi penetrali interni,
110Com’io già dissi; ma sovente ancora
Il medesmo color diffuso intorno
È dal sommo de’ corpi. E l’auree vele
E le purpuree e le sanguigne spesso
Ciò fanno allor che ne’ teatri augusti
115Son tese e sventolando in su l’antenne
Ondeggian fra le travi: ivi ’l consesso
Degli ascoltanti, ivi la scena e tutte
L’imagini de’ padri e delle madri
E degli dèi di color vari ornate
120Veggionsi fluttuare; e, quanto più
Han d’ogni intorno le muraglie chiuse
Sì che da’ lati nel teatro alcuna
Luce non passi, tanto più cosperse
Di grazia e di lepor ridon le cose
125Di dentro, avendo in un balen concetta
L’alma luce del dì. Se adunque il panno
Dall’esterne sue parti il color vibra,
Mestiero è pur che tutte l’altre cose
Vibrino il tenue simolacro loro,
130Poscia che quello e questi è dall’esterne
Parti scagliato. Omai son certi adunque
Delle forme i vestigi, che per tutto
Volano e son di sottil filo inteste
Nè mai posson disgiunte ad una ad una
135Esser viste da noi. L’odore, in oltre,
Il fumo, il vapor caldo e gli altri corpi
Simili errar soglion diffusi e sparsi
Lungi da quelle cose onde esalaro;
Perchè, venendo dalle parti interne,
140Nati dentro di lor, per tortuose
Vie camminando, son divisi, e curve
Trovan le porte ond’eccitati al fine
Tentan d’uscir: ma, pel contrario, allora
Che le tenui membrane dall’estremo
145Color de’ corpi son vibrate intorno,
Cosa non è che dissipar le possa;
Perch’elle in pronto sono e nella prima
Fronte locate. Finalmente è d’uopo
Che ciascun simolacro che apparisce
150Negli specchi, nell’acqua ed in qualunque
Forbita e liscia superficie, avendo
La medesima forma delle cose
Ch’egli altrui rappresenta, anche consista
Nelle scagliate imagini volanti:
155Con ciò sia che già mai ragione alcuna
Assegnar non si può, perchè staccarsi
Debbono i corpi che da molte cose
Son deposti o lanciati apertamente
E non i più minuti e i più sottili.
160Son dunque al mondo i tenui simolacri
E simili alle forme delle cose,
I quai, benchè vedersi ad uno ad uno
Non possan, non per tanto, agli occhi nostri
Con urto assiduo ripercossi e spinti
165Dal piano degli specchi, a noi visibili
Fannosi al fin; nè par che in altra guisa
Deggiano illesi conservarsi e tanto
A qualunque figura assomigliarsi.
        Or, quanto dell’imagini l’essenza
170Sia tenue, ascolta. E pria, perchè i principii
Son da’ sensi dell’uom tanto remoti
E minori de’ corpi che i nostr’occhi
Comincian prima a non poter vedere,
Or non di meno, acciò che meglio provi
175Tutto quel ch’io ragiono, ascolta, o Memmo,
Ne’ brevi detti miei quanto sottili
Sian d’ogni cosa i genitali semi.
Pria: sono al mondo sì fatti animali
Che la lor terza parte in guisa alcuna
180Veder non puossi. Or qual di questi adunque
Creder si debbe ogn’intestino? quale
Del cuore il globo e gli occhi? e quai le membra,
Quai le giunture? e quai dell’alma in somma
Gli atomi e della mente? Or non conosci
185Quanto piccioli sian, quanto sottili?
In oltre: ciò che dal suo corpo esala
Acuto odor, la panacea, l’assenzio
E l’amaro centauro e ’l grave abrótano,
Se fia mosso da te, vedrai ben tosto
190Molte effigie vaganti in molti modi
Prive affatto di forze e d’ogni senso;
Delle quai quanto sia picciola parte
L’imagine, uom non è che sia bastante
A dire altrui nè con parole possa
195Render di cosa tal ragione alcuna.
        Ma, perchè tu forse vagar non creda
Quelle imagini sol che dalle cose
Vengon lanciate, altre si creano ancora
Per sè medesme in questo ciel che detto
200Aere è da noi. Queste, formate in vari
Modi, all’in su van sormontando; e molli
Non cessan mai di varïar sembianza;
E novi Protei in qualsivoglia forma
Cangian sè stesse; in quella guisa a punto
205Che le nubi talor miransi in alto
Facilmente accozzarsi, e la serena
Faccia turbar del mondo e ’l cielo intanto
Lenir col moto; con ciò sia che spesso
Ne sembra di veder per l’aere errando
210Volar giganti smisurati e l’ombra
Distender largamente, e spesso ancora
Gran monti e sassi da gran monti svelti,
Precorrere e seguir del sole i raggi,
E belve alfin di non ben noto aspetto
215Trar seco e generar nembi e tempeste.
        Or, quanto agevolmente e come presto
Sian generate e dalle cose esalino
Perpetuamente e sdrucciolando cedano,
Tu quindi apprendi. Poichè sempre in pronto
220Ogni estremo è de’ corpi, onde si possa
Vibrare: e quando all’altre cose arriva
E’ le penetra e passa; e ciò gli avviene
Principalmente in quelle vesti urtando
Ch’inteste son di sottil filo e raro:
225E se ne’ rozzi sassi o nell’opaco
Legno percuote, ivi si spezza in guisa
Che simolacro alcun non puote agli occhi
Rappresentar. Ma, se gli fiano opposti
Corpi lucidi e densi, in quella guisa
230Che sovr’ogni altro di cristallo terso
E di forbito acciar sono gli specchi,
Nulla accade di ciò; poichè non puote
Come le vesti penetrarli et oltre
Passar nè dissiparsi in varie parti,
235Già che la liscia superficie intero
Ed intatto il conserva e ’l ripercuote:
E quindi avvien che son per noi formati
De’ corpi i simolacri, e che, ponendo,
Quando vuoi, ciò che vuoi, quanto vuoi tosto,
240Dirimpetto allo specchio, appar l’imago.
Onde ben puossi argomentar che sempre
Dal sommo delle cose esalan fuori
Tenui effigie e figure. In breve spazio
Dunque si crean ben mille e mille imagini:
245Ond’a ragion l’origine di queste
Si può dir velocissimo. E, siccome
Dee molti raggi in breve spazio il sole
Vibrarsi intorno acciò che sempre il cielo
Illustrato ne sia, tal anco è d’uopo
250Che molti simolacri in molti modi
Sian dalle cose in un medesmo instante
Certamente scagliati in ogni parte;
Poichè, rivolgi pur dove t’aggrada
Lo specchio, ivi apparir vedrai le cose
255Tra lor di forma e di color simíli.
Mira, oltr’a ciò, che, se tranquillo e chiaro
Di luce e di seren l’aere fiammeggia,
Talor sì sconciamente e così tosto
D’atra e nera caligine s’ammanta,
260Che ne par che le tenebre profonde
Del cupo e cieco abisso, abbandonando
Le lor sedi natie tutte in un punto
E fuor volando ad eclissar le stelle,
Ripiene abbian del ciel l’ampie spelonche;
265Tal già sorta di nembi orrida notte,
Veggiam d’atro timor compagne eterne
Spalancarsi nel ciel fauci infiammate,
Eruttar verso noi fulmini ardenti:
E pur, quanto di ciò picciola parte
270Sia l’imago, uom non è che basti a pieno
A dire altrui, nè con parole possa
Render di cosa tal ragione alcuna.
        Or via; quanto l’imagini nel corso
Celeri siano e qual prontezza in loro,
275Mentre nuotan per l’aure, abbiano al moto,
Sì ch’in brev’ora, ovunque il volo indrizzino,
Spinte da vario impulso un lungo spazio
Passino; io con soavi e dolci versi,
Più che con molti, di narrarti intendo,
280Qual più grato è de’ cigni il canto umíle
Del gridar che le grue fan tra le nubi
Se i gran campi dell’aria austro conturba.
Pria: sovente veggiam ch’assai veloce
Movimento han le cose i cui principii
285Interni atomi sian lisci e minuti.
Qual è forza che sia la luce e quale
Il tiepido vapor de’ rai del sole;
Che, fatti essendo di minuti semi,
Son quasi a forza ogn’or vibrati, e nulla
290Temono il penetrar l’aereo spazio
Sempre da nuovi colpi urtati e spinti;
Con ciò sia che la luce è dalla luce
Somministrata immantinente, et ave
Dal fulgore il fulgor stimolo eterno.
295Onde per la medesima cagione
Mestiero è che l’effigie in un momento
Sian per immenso spazio a correr atte;
Pria, perchè basta ogni leggiero impulso
Che l’urti a tergo e le sospinga avanti;
300Poi, perchè son di così tenui e rari
Atomi inteste, che lanciate intorno
Penetrano ogni cosa agevolmente
E volan quasi per l’aereo spazio.
In oltre; se dal ciel vibransi in terra
305Minimi corpi, qual del sole a punto
È la luce e ’l vapor, miri che questi,
Diffondendo sè stessi, in un momento
Irrigan tutto il ciel superno e tutta
L’aria, l’acqua e la terra ove sì mobile
310Leggerezza gli spinge. Or che dirai?
Dunque le cose che de’ corpi al sommo
Sono al moto sì pronte e che lanciate
Nulla impedisce ir non dovran più ratte
E più spazio passar nel tempo stesso,
315Che la luce e ’l vapor passano il cielo?
Ma di quanto l’imagini de’ corpi
Sian veloci nel corso, io per me stimo
Esser principalmente indicio vero
L’esporsi a pena all’aria aperta un vaso
320D’acqua, che, essendo il ciel notturno e scarco
Di nubi, in un balen gli astri lucenti
Vi si specchian per entro. Or tu non vedi
Dunque omai quanto sia minimo il tempo
In cui dell’auree stelle i simolacri
325Dall’eterea magion scendono in terra?
Sì che, voglia o non voglia, è pur mestiero
Che tu confessi esser vibrati intorno
Questi minimi corpi atti a ferirne
Gli occhi e la vista penetrarne e sempre
330Nascere ed esalar da cose certe;
Qual dal sole il calor, da’ fiumi il freddo,
Dal mare il flusso od il reflusso edace
Dell’antiche muraglie ai lidi intorno:
Nè cessan mai di gir per l’aria errando
335Voci diverse: e finalmente in bocca
Spesso di sapor salso un succo scende,
Quando al mar t’avvicini; ed all’incontro
Mescer guardando i distemprati assenzi
Ne sentiam l’amarezza. In così fatta
340Guisa da tutti i corpi il corpo esala,
E per l’aere si sparge in ogni parte;
Nè mora o requie in esalando alcuna
Gli è concesso già mai mentre ne lice
Continuo il senso esercitare e tutte
345Veder sempre le cose e sempre udire
Il suono ed odorar ciò che n’aggrada.
        Perchè poi si conosce esser la stessa
Quella figura che palpata al buio
Fu con le mani e che nell’aureo lume
350Dopo si vede e nel candor del giorno,
D’uop’è che la medesima cagione
Ecciti in noi la vista e ’l tatto. Or dunque,
Se palpiamo un quadrato e questo il senso
La notte ne commuove, e qual già mai
355Cosa potrassi alla sua forma aggiungere
Il dì fuorchè la sua quadrata imagine?
Onde sol nell’imagini consiste
La cagion del vedere, e senza loro
Ciechi affatto sarian tutti i viventi.
360Or sappi che l’effigie e i simolacri
Volano d’ogn’intorno e son vibrati
E diffusi e dispersi in ogni banda:
Ma, perchè solo atti a veder son gli occhi,
Quindi avvien che dovunque il vólto vòlti
365Ivi sol delle cose a noi visibili
La figura e ’l color ti s’appresenta.
E, quanto sia da noi lungi ogni corpo,
Il simolacro suo chiaro ne mostra:
Poichè, allor ch’ei si vibra, in un istante
370Quella parte dell’aria urta e discaccia
Ch’è fra sè posta e noi; questa in tal guisa
Sdrucciola pe’ nostri occhi, e quasi terge
L’una e l’altra pupilla, e così passa:
Quindi avvien che veggiamo agevolmente
375La lontananza delle cose, e, quanto
Più d’aere è spinto innanzi e ne forbisce
E molce le pupille aura più lunga,
Tanto a noi più lontan sembra ogni corpo;
Ch’ambedue queste cose in un baleno
380Fannosi al certo, e che si vegga insieme
Quai sian gli oggetti e quanto a noi discosti.
        Nè qui vogl’io che meraviglia alcuna
T’occupi l’intelletto, ond’esser deggia
Che non potendo i simolacri all’occhio
385Tutti rappresentarsi, ei pur bastante
A scorger sia tutte le cose opposte.
Poichè nel modo stesso aura gelata,
Che lieve spiri e ne ferisca il corpo
Coi pungenti suoi stimoli, non suole
390Mai commover le membra a parte a parte
Ma tutte insieme; e le percosse e gli urti
Ricevuti da lor quasi prodotti
Sembran da cosa che ne sferzi o cacci
Fuor di sè stessa unitamente il senso.
395In oltre: allor che tu maneggi un sasso,
Tocchi di lui la superficie estrema
E l’estremo color; ma già non puoi
Sentir quella nè questo, anzi la sola
Durezza sua ti si fa nota al tatto.
        400Or via, perchè l’imago oltre allo specchio
Si vegga, intendi. Chè remota al certo
Apparisce ogni effigie, in quella guisa
Che fan gli oggetti i quai veracemente
Si miran fuor di casa, allor che l’uscio
405Libero per sè stesso e aperto il varco
Concede al guardar nostro e fa che molte
Cose lungi da noi scorger si ponno.
Con ciò sia che per doppio aere procede
Anco questa veduta. Il primo è quello
410Ch’è dentro all’uscio, indi a sinistra e a destra
Seguon l’impòste: indi la luce esterna
Gli occhi ne terge e ’l second’aere e tutte
Le cose che di fuor veracemente
Son da noi viste. In cotal guisa adunque,
415Tosto che dello specchio il simolacro
Per lo mezzo si lancia, allor ch’ei viene
Vér le nostre pupille, agita e scaccia
Tutto l’aere frapposto, e fa che prima
Veggiam lui che lo specchio: indi si scorge
420Lo specchio stesso, e nel medesmo istante
Percuote in lui la nostra effigie e tosto
Gli occhi indietro reflessa a veder torna,
E, cacciandos’innanzi e rivolgendo
Tutto l’aere secondo, opra che prima
425Veggiam questo che lei: quindi l’imago
Dallo specchio altrettanto appar lontana,
Quant’ei dall’occhio situato è lungi.
Sappi, oltr’a ciò, che delle nostre membra
Quella parte ch’è destra, entro allo specchio
430Sinistra esser ne pare. E questo accade,
Perchè, giungendo al piano suo l’imago,
L’urta, e da lui non è reflessa intatta
Ma drittamente ripercossa e infranta:
Qual, se una molle maschera di créta
435Battuta in un pilastro o in una trave
Tal nella fronte la primiera forma
Serbi indietro volgendosi, che possa
Esprimer sè medesma in un istante,
L’occhio che fu sinistro allor farassi
440Destro e sinistro pel contrario il destro.
Ponno ancor tramandarsi i simolacri
Di specchio in specchio e generar tal ora
Cinque imagini e sei. Poichè qualunque
Cosa, ancor che remota e posta in parte
445Occulta al veder nostro, indi si puote
Trar con più specchi in vari siti e certi
Locati alternamente e far che giunga
D’essa per torte vie l’effigie all’occhio.
Tant’è ver che l’imagine traluce
450Di specchio in specchio, e, se l’è destra, riede
Sinistra, e quindi ripercossa indietro
Pur di nuovo si volge e torna a destra.
Anzi, qualunque lato abbian gli specchi
Curvo a foggia di fianco, a noi riflette
455Dei destri corpi i simolacri a destra;
O perch’ivi l’imagine trapassa
Di specchio in specchio, e quindi a noi se n’ vola
Due volte ripercossa; o perchè, mentre
Corre verso i nostr’occhi, erra aggirata,
460Spinta a ciò far dalla figura esterna
Dello specchio medesimo, ch’essendo
Curva fa che ver noi tosto si volga.
Parne, oltr’a ciò, ch’entri l’effigie ed esca
Nosco e che ’l piede fermi e i gesti imiti;
465Poichè da quella parte, onde ne piace
Partirne e dallo specchio allontanarsi,
Tornar non ponno i simolacri all’occhio
Nostro, poich’incidenti e ripercossi
Sempre fan con lo specchio angoli eguali.
        470Odian poi le pupille i luminosi
Oggetti e schivan d’affissarsi in loro;
Anzi, se troppo il guardi, il sol t’accieca,
Perchè molto possente è l’energia
De’ suoi lucidi raggi, e son vibrati
475D’alto per l’aer puro i simolacri
Impetuosamente, e fiedon gli occhi
Tutta turbando e confondendo insieme
La lor fabbrica interna. Inoltre; il lume,
Qual or troppo è gagliardo, abbruciar suole
480Spesso i nostr’occhi; perchè in sè di fuoco
Molti semi racchiude atti a produrre,
Mentre passan per lor, noia e dolore.
Giallo, in oltre, divien ciò che rimira
L’uom ch’è da regia infirmitade oppresso;
485Perchè di giallo molti semi esalano
Dall’itteriche membra i quali incontro
Vanno all’effigie delle cose, e molti
Ne son misti negli occhi e di pallore
Col lor tetro velen tingon il tutto.
490Dalle tenebre poi scorger si ponno
Tutte le cose a’ rai del lume esposte;
Perchè, quando ai nostri occhi arriva il primo
Aere vicin caliginoso e fosco
Ed aperti gl’ingombra, incontinente
495Segue il secondo lucido e sereno
Ch’ambi quasi gli purga e l’ombra scaccia
Di quell’aere primier, perchè di lui
È più tenue, più snello e più possente:
Onde, non così tosto empie di luce
500I meati degli occhi, e ciò che tenne
Chiuso pria l’aer cieco apre e rischiara,
Che de’ corpi illustrati i simolacri
Seguon senz’alcun velo ed a vederli
N’incitan la pupilla. Il che non puossi
505Far pel contrario dalla luce al buio;
Perchè l’aere secondo oscuro e grosso
Succede al tenue e luminoso, e tutti
I meati riempie, e cinge intorno
Le vie degli occhi, ond’impedito affatto
510Sia d’ogni corpo a’ simolacri il moto.
Succede ancor che le quadrate torri
Riguardate da lungi appaian tonde,
Sol perchè di lontan gli angoli suoi
Molto ottusi si veggono, o più tosto
515Più da noi non si veggono e svanisce
Affatto ogni lor piaga e non ne giunge
Pur a muoverne il senso un picciol urto:
Poichè, mentre l’imagine per lungo
Tratto si muove, è dagli stessi incontri
520Dell’aere a forza rintuzzata; e quindi,
Tosto che tutti gli angoli a’ nostr’occhi
Son resi impercettibili, costrutta
Ci par di sassi fabbricati al torno;
Ma non tali però che differenza
525Fra lor non abbia e’ veramente tondi
E da presso veduti; anzi ne sembra
Che tutti sian quasi adombrati e finti.
Parne, oltr’a ciò, che al sol l’ombra si mova,
E segua i nostri passi, e ’l gesto imíti;
530Se pur credi che l’aria, essendo priva
Di luce, passeggiar debba e seguire
Dell’uomo i gesti ed emularne i moti;
Chè null’altro che aria orba di luce
Esser può mai quel che da noi si suole
535Ombra chiamar. Ciò senza dubbio accade,
Perchè resta per ordine la terra
Priva de’ rai del sol dovunque il passo
Da noi si volga e le si pari il lume,
E quei luoghi all’incontro onde partimmo
540S’illustran tutti ad uno ad uno. Or quindi
Pare a noi che l’istessa ombra del corpo
Sempre ne segua; con ciò sia che sempre
Nuovi raggi di luce in ordin certo
Si diffondon per l’aria, e quei di prima
545Spariscon, quasi lana arsa nel fuoco;
Onde resta la terra agevolmente
Di luce ignuda, e nella stessa guisa
Se n’adorna e riveste, e scuote e purga
L’atra e densa caligine dell’ombre.
        550Nè qui nulla di men gli occhi ingannati
Punto non son: poichè, dovunque il lume
Si trovi o l’ombra, il veder tocca a loro;
Ma, se i raggi medesimi di luce
Camminano in più luoghi e se la stessa
555Ombra di qui si parta e vada altrove
O pur, come poc’anzi io ti diceva,
Segua tutto il contrario, il ciò discernere
Opra è della ragion, nè posson gli occhi
Mai delle cose investigar l’essenza:
560Onde non voler tu questo difetto,
Che solo è del consiglio, ingiustamente
Agli occhi attribuir. Ferma ne sembra
La nave che ci porta, anco che voli
Per l’alto a piene vele. Ir giureresti
565L’immobil lido e verso poppa i colli
Fuggirsi e i campi, allor che spinto innanzi
Dalle forze del vento il curvo pino
Indietro se gli lascia. Ogni astro immoto
Parne e dell’etra alle caverne affisso:
570E pure astro non v’ha che irrequïeta-
mente non giri; con ciò sia che tutti
Sorgendo i lunghi cerchi a veder tornano,
Tosto che i globi lor chiari e lucenti
Han misurato il ciel. Nel modo stesso
575Par che ’l sol non si muova e che la luna
Stia ferma: e pur chiaro ne mostra il fatto
Ch’ambi con giro assiduo ognor passeggiano
I gran campi dell’etra. E, se da lungi
Miri di mezzo al mar monti sublimi
580Disgiunti in guisa ch’all’intere armate
Navali sia fra lor l’esito aperto,
Nondimen ti parrà che tutti insieme
Faccian una sol’isola. A’ fanciulli
Che già cessato han di girare attorno
585Par che talmente e le colonne e gli atri
Girino anch’essi, che a gran pena omai
Credon che sopra lor l’ampio edifizio
Di cader non minacci. E, quando in cielo
Già con tremulo crin l’alba apparisce
590E la splendida giuba in alto estolle,
Quel monte, a cui sì da vicino il sole
Par che sovrasti e che da’ rai lucenti
Del suo fervido globo arso ti sembra,
Lungi a pena è da noi due mila tratti
595Di freccia, anzi tal volta a pena è lungi
Sol cinquecento: e pur fra ’l sole ed esso
Sai che giaccion di mar pianure immense,
D’etere inaccessibili campagne,
E gran tratti di terra in cui son vari
600Popoli e d’animai specie diverse.
L’acqua, oltr’a ciò, che nelle pozze accolta
Per le vie lastricate in mezzo ai sassi
Ferma si sta, benchè non sia d’un dito
Punto più alta, nondimeno agli occhi
605Lascia tanto abbassar sotterra il guardo,
Quanto l’ampie del ciel fauci profonde
S’apron lungi da noi, sì che le nubi
Veder ti sembra e l’auree stelle e ’l sole
Splender sotterra in quel mirabil cielo
610Tosto, al fin, che si ferma in mezzo al fiume
Il veloce cavallo e che si affissano
Gli occhi nell’onde rapide e tranquille,
Parne che ’l corpo suo quantunque immoto
Sia portato a traverso, e che la propria
615Forza il fiume al contrario urti e respinga,
E, dovunque da noi l’occhio si volga,
Girne sembra ogni cosa ed a seconda
Notar dell’acque. E finalmente i portici,
Ben che sian d’egual tratto e da colonne
620Non mai fra lor dispàri abbian sostegno,
Pur nondimen, se dalla somma all’ima
Parte son riguardati, a poco a poco
Stringer mostran sè stessi in cono angusto,
Più e più sempre avvicinando il destro
625Muro al sinistro e ’l pavimento al tetto
Sin che di cono in un oscuro acume
Vadano a terminar. Sorto dall’acque
Ai naviganti ’l sol par che nell’acque
Anco s’attuffi e vi nasconda il lume:
630Ma quivi altro mirar che cielo e mare
Non puossi. E crederai sì di leggiero
Che sian offesi d’ogn’intorno i sensi?
Zoppe, in oltre, nel porto agl’imperiti
Esser paion le navi e con infranti
635Arredi premer di Nettuno il dorso;
Poichè quel che de’ remi e del governo
Sovrasta al salso flutto e fuor n’emerge
Dritto senz’alcun dubbio agli occhi appare,
Ma non fanno così l’altre lor parti
640Ricoperte dall’onde, anzi rifratte
Mostran voltarsi e ritornar supine
Verso il margine estremo e ripercosse
Quasi al sommo dell’acque ir fluttuando.
E, s’in tempo di notte a ciel sereno
645Per lo vano dell’aria il vento spinge
Nugole trasparenti, allor ci sembra
Che gli splendidi segni ai nembi incontro
Vadano in regïon molto diversa
Dal loro vero viaggio. E, se la mano
650Supposta all’un degli occhi il preme ed erge,
Doppio al senso divien ciò che si mira,
Doppio delle lucerne il lume ardente,
Doppio di casa ogni ornamento, e doppie
Degli uomini le facce e doppi i corpi.
655Al fin, quando sepolte in dolce sonno
Giaccion tutte le membra e gode il corpo
Una somma quïete, allor sovente
Parne esser desti non per tanto e moverne,
E mirar nella cieca ombra notturna
660L’aureo lume del giorno, e ’n chiuso luogo
Cielo e mari passar fiumi e montagne,
E con libero piè scorrer pe’ campi,
E parole ascoltar, mentre il severo
Silenzio della notte il mondo ingombra,
665E risponder tacendo alle proposte.
Et, in somma, guardando, ognor veggiamo
Molt’altre cose simili, che tutte
Cercan di vïolar quasi la fede
A ciascun sentimento ancor che indarno:
670Poichè di queste una gran parte inganna
Per la fallace opinïon dell’animo
Che si forma da noi, mentre prendiamo
Per noto quel che non è noto al senso.
        Se finalmente alcun crede che nulla
675Non si possa saper, questi non sa,
Anco se la cagion possa sapersi,
Ond’ei di nulla non saper confessa.
Dunque il più disputar contro a costui
Opra vana saria, mentr’egli stesso
680Col suo proprio cervel corre all’indietro.
Ma, concesso anco questo, nondimeno
Chiederògli di nuovo in qual maniera,
Non avend’egli conosciuto innanzi
Cosa che vera sia, sappia al presente
685Quel che ’l sapere e ’l non saper significhi,
Onde il falso dal ver, dal dubbio il certo
Discerna. E, in somma, troverai che nacque
La notizia del ver dai primi sensi:
Nè ponno i sensi mai, se non a torto,
690Ripudiarsi da te; mentre è pur d’uopo
Che presti ognun di noi fede maggiore
A quel che può per sè medesmo il falso
Vincer col vero. E qual di maggior fede
Cosa degna sarà che ’l nostro senso?
695Forse da falso senso avendo origine
Potrà mai la ragione esser bastevole
I sensi a confutar? mentr’ell’è nata
Tutta da’ sensi, i quai se non son veri,
Mestiero è ancor ch’ogni ragion sia falsa.
700Forse potran redarguir l’orecchie
Gli occhi? o ’l tatto l’orecchie? o della lingua
Confutare il sapor l’udito o ’l tatto?
Forse il riprenderan gli occhi o le nari?
Non per certo il faran: poichè diviso
705È de’ sensi il potere, et a ciascuno
La sua parte ne tocca; e però deve
Quel ch’è tenero o duro o freddo o caldo
Freddo o caldo parer tenero o duro
Distintamente; ed è mestier ch’i vari
710Colori delle cose, e tutto quello
Ch’è congiunto ai color, distintamente
Si senta; e della bocca ogni sapore
Ha distinta virtù; nascon gli odori
Dal suon distinti, e ’l suon distinto anch’egli
715Finalment’è prodotto: ond’è pur d’uopo
Che l’un dall’altro senso esser ripreso
Non possa. E molto men creder si debbe
Che pugni alcun di lor contro sè stesso;
Con ciò sia che prestargli egual credenza
720Sempre dovriasi e per sospetto averlo.
Dunqu’è mestier, che ciò che appare al senso
In qual tempo tu vuoi sia vero e certo.
E, se non puoi con la ragione disciôrre
La causa per che tondo appaia all’occhio
725Da lungi quel che da vicino è quadro,
Meglio è però, se di ragion v’è d’uopo,
False cause assegnar che con le proprie
Mani trar via quel ch’è già noto e conto
E vïolar la prima fede e tutti
730Scuotere i fondamenti ove la propria
Vita e salute ogni mortale appoggia.
Poichè non solo ogni ragione a terra
Cade, ma, quel ch’è peggio, anco la vita
Tosto vien men che tu non credi ai sensi,
735Nè schivar curi i ruinosi luoghi
Nè l’altre cose simili che denno
Fuggirsi e segui le contrarie ad esse.
In van dunque ogni copia di parole
Fia contro i sensi apparecchiata e pronta.
740Al fin: siccome, oprando un architetto
Nelle fabbriche sue torta la riga
Falsa la squadra e zoppo l’archipenzolo,
Mestiero è che mal fatto e sconcio in vista
Curvo, obliquo, inchinato e vacillante
745Riesca ogni edifizio e già minacci
Imminente caduta, anzi sorgendo
Da bugiardi ingannevoli giudìci
Ruini affatto e torni eguale al suolo;
Così d’uopo sarà ch’ogni ragione,
750Che da sensi fallaci origin ebbe,
Cieca si stimi e mal fedele anch’ella.
        Or, come ogni altro senso il proprio obietto
Senta per sè medesmo, agevolmente
Può capirsi da noi. Pria s’ode il suono
755E s’intendon le voci allor ch’entrando
Nell’orecchie il lor corpo agita il senso.
Che corporea per certo anco la voce
E ’l suon d’uopo è che sia, mentre bastanti
Sono a movere il senso e risvegliarlo.
760Poichè raschian sovente ambe le fauci
Le voci, e nell’uscirsene le strida
Inaspriscon vie più l’asper’arteria:
Con ciò sia che, sorgendo in stretto luogo
Turba molto maggior, tosto che i primi
765Principii delle voci han cominciato
A volarsene fuori e che ripieni
Ne son tutti i polmon, radon al fine
La troppo angusta porta ond’hanno il passo.
Dubbio adunque non è che le parole
770Siano e le voci di corporei semi
Create, con ciò sia ch’offender ponno.
Nè t’è nascosto ancor quanto detragga
Di corpo e quanto sminuisca altrui
Di forza di vigor di robustezza
775Un continuo parlar, che cominciando
Dal primo albór della nascente aurora
Duri insino alla cieca ombra notturna,
Massime se gli è sparso in larga vena
Con altissime strida. Egli è pur forza
780Dunque ch’ogni parola et ogni voce
Corporea sia, poichè parlando l’uomo
Sempre del corpo suo perde una parte.
Nè con forma simíl possono i semi
Penetrar nell’orecchie, allor che mugge
785La tromba o ’l corno in murmure depresso,
Et allor che morendo al canto snoda
La lingua il bianco cigno e di soavi
Ben che flebili voci empie le valli
Del canoro Elicona ove già nacque.
        790Dunque da noi son certamente espresse
Le voci in un col corpo e fuor mandate
Con dritta bocca. La dedalea lingua
Variamente movendosi gli accenti
Articola, e la forma delle labbra
795Dà forma in parte alle parole anch’essa.
Dall’asprezza de’ semi è poi creata
L’asprezza della voce e parimente
Il levor dal levor. Chè, se per lungo
Spazio correr non dee prima che possa
800Penetrar nell’orecchie, ogni parola
Si sente articolata e si distingue
Dall’altre; con ciò sia che ’n simil caso
Tutte conservan la struttura prima:
Ma, se lungo all’incontro è più del giusto
805L’interposto cammin, forza è che, mentre
Fendon le voci il soverchio aere e vanno
Per l’aure a volo, in un confuse e miste
Siano e scomposte e dissipate in guisa,
Che ben possan l’orecchie un indistinto
810Suono ascoltar, ma non però discernere
Punto qual sia delle parole il senso:
Sì confusa è la voce ed impedita.
In oltre, allor che ’l banditore aduna
La gente, un solo editto è da ciascuno
815Inteso. In mille e mille voci adunque
Qua e là senza dubbio una sol voce
Si sparge in un balen poichè diffusa
Ogni orecchio penètra e quivi imprime
La forma e ’l chiaro suon delle parole.
820Parte ancor delle voci, oltre correndo
Senza alcuno incontrar, perisce al fine
Per l’aure aeree dissipata indarno:
Parte in dense muraglie in antri cavi
In curve e cupe valli urta e reflessa
825Rende ’l suono primiero, e spesso inganna
Con mentita favella il creder nostro.
Il che bene intendendo, agevolmente
Saper potrai per qual cagione i sassi
Ti riflettan per ordine l’intera
830Forma delle parole, allor che cerchi
Per selve opache e per montagne alpestri
Gli smarriti compagni e li richiami
Con grida alte e sonore. E mi sovviene
Ch’una sola tua voce or sei or sette
835Volte s’udío, tal reflettendo i colli
Ai colli stessi le parole a gara
Iteravano i detti. I convicini
Di questi luoghi solitari han finto
Che Fauni e Ninfe e Satiri e Silvani
840Ne siano abitatori; e che la notte
Con giochi e scherzi e strepitosi balli
Rompan dell’aer fosco i taciturni
Silenzi e dalla piva e dalla cetra
Tocca da dotta man spargano all’aure
845Dolci querele armonïosi pianti;
E che ’l rozzo villan senta da lungi,
Qual or squassando del biforme capo
La corona di pino il dio de’ boschi
Spesso con labbro adunco in varie guise
850Anima la siringa e fa che dolce
Versin le canne sue musa silvestre.
Altri han finto eziandio mostri e portenti
Simili a’ sopraddetti, onde si creda
Che non sian dagli dèi sole e diserte
855Le lor selve tenute; e però vanno
Millantando miracoli; o son mossi
Da qualch’altra cagion; chè troppo in vero
D’aver gente che l’oda avido è l’uomo.
        Or, quanto a quel che segue a maraviglia
860Non s’ascriva da te, che per gli stessi
Luoghi ove penetrar gli occhi non ponno
Penetrin le parole e sian bastanti
A commoverne il senso; il che tal ora
Veggiam parlando a porte chiuse insieme:
865Con ciò sia che trovar libero il varco
Posson per torte vie le voci e ’l suono,
Ma non l’effigie, che divise e guaste
Forz’è che sian se per diritti fóri
Non li tocca a passar, come son quelli
870Del vetro onde ogni specie oltre se n’ vola.
S’arroge a ciò che d’ogn’intorno il suono
Sè medesmo propaga e d’una voce
Molte voci si creano, in quella guisa
Ch’una sola favilla in più faville
875Tal or si sparge: di parole adunque
Ogni luogo vicin ben che nascosto
Empier si può. Ma per diritte strade
Corre ogn’imago: ond’a nessun fu dato
Il veder sopra sè, ma bene a tutti
880L’udir chi ne favella. E, nondimeno
Questa voce medesma, allor che passa
Per vie non dritte, è dagli estremi intoppi
Più e più rintuzzata; onde all’orecchie
Giunge indistinta, e d’ascoltar ne sembra
885Più che note e parole un suon confuso.
        Ma la lingua e ’l palato, in cui consiste
Del gusto il senso, han di ragione e d’opra
Parte alquanto maggior. Pria nella bocca
Si sentono i sapori, allor che ’l cibo
890Masticando si spreme in quella guisa
Che si fa d’una spugna. Il succo espresso
Quindi si sparge pe’ meati obliqui
Della rara sostanza della lingua:
E del nostro palato, e, se di lisci
895Semi è composto, dolcemente tocca
Gli strumenti del gusto e dolcemente
Gli molce e li solletica; ma, quanto
Son più aspri all’incontro e più scabrosi
Gli atomi suoi, tanto più punge e lacera
900Del palato i confin: ma giù caduto
Per le fauci nel ventre, alcun diletto
Più non ne dà, benchè si sparga in tutte
Le membra e le ristori. E nulla monta
Di qual sorte di cibo il corpo viva,
905Pur che distribuir possa alle membra
Concotto ciò che pigli e dello stomaco
Sempre intatto serbar l’umido innato.
        Ma tempo è d’insegnarti onde proceda
Che vari han vario cibo, ed in che modo
910Quel che sembra ad alcuni aspro ed amaro
Possa ad altri parer dolce e soave.
Anzi è tal differenza in queste cose
E tal diversità, che quello stesso
Ch’ad altri è nutrimento ad altri puote
915Esser tetro e mortifero veleno.
Poichè spesso il serpente, a pena tócco
Dall’umana saliva, in sè rivolge
Irato il crudo morso onde s’uccide:
E spesso anco le capre e le pernici
920S’ingrassan con elleboro, che pure
Senza dubbio è per noi tósco mortale.
Or, acciò che tu sappia in che maniera
Possa questo accader, pria mi conviene
Ridurti a mente quel ch’io dissi innanzi:
925Cio è, ch’i semi fra le cose in molti
Modi son misti. Or; come gli animali
Che prendon cibo son fra sè diversi
Nell’estrema apparenza, et ogni specie
L’ambito delle membra ha differente;
930Così nascono ancor di vari semi
E di forma difformi. I semi vari
Fan poi varie le vie, vari i meati
E vari gl’intervalli in ogni membro
E nel palato e nella lingua stessa.
935Dunque alcuni minori, altri maggiori
D’uopo è che sian, altri quadrati ed altri
Triangolari, altri rotondi ed altri
Scabrosi in varie guise e di molt’angoli;
Poichè tal differenza esser conviene
940Tra le figure de’ meati estremi
E fra tutte le vie de’ nostri sensi,
Qual richieggon degli atomi le forme,
I moti e le testure. Or, quando un cibo
Che par dolce ad alcuno ad altro amaro
945Sembra, a quei ch’e’ par dolce i lisci semi
Debbon soavemente entro i meati
Penetrar della lingua, ed all’incontro
A quei ch’e’ sembra amaro i rozzi e gli aspri.
Quindi intender potrassi agevolmente
950Tutte le cose appartenenti al gusto:
Poichè, senz’alcun dubbio, allor che l’uomo
O per bile eccedente o per qualunque
Altra cagion langue da febbre oppresso,
Già tutto è ’l corpo suo turbato, e tutti
955Gli atomi ond’è composto han vari e nuovi
Siti acquistato: e da tal causa nasce,
Che quei corpi medesimi ch’innanzi
S’adattaro alle fauci or non s’adattino,
E sian gli altri di sorte che produrre
960Debbiano, in penetrando acerbo senso:
Posciachè gli uni e gli altri entro il sapore
Del miel son mescolati; il che di sopra
Con più ragione io t’ho dimostro a lungo.
        Or via; come l’odor giunto alle nari
965Le tocchi e le solletichi, insegnarti
Vo’, s’attento m’ascolti. E prima è d’uopo
Suppor che molte cose in terra sono,
Onde di vario odor flutto diverso
Continuo esala e per l’aereo spazio
970Vola e s’aggira: e ben credibil sembra
Che sia vibrata d’ogn’intorno e sparsa
Qualche specie d’odor; ma questa a questi
Animali convien, quella a quegli altri
Per le forme difformi. E quindi accade
975Che del mèle all’odor ben che lontano
Corran le pecchie, e gli avvoltoi al lezzo
De’ fracidi cadaveri; e che l’ugna
Delle belve fugaci, ovunque impressero
Le proprie orme nel suol, tirin de’ bracchi
980Il robusto odorato; e che da lungi
Possan l’oche sentir l’umano sito
E difender da’ Galli il Campidoglio.
Tal vari han vario odor, che gli conduce
Ne’ paschi a lor salubri e gli costringe
985A fuggir dal mortifero veleno;
E tal degli animai duran le specie.
Dunque fra questi odori alcuni ponno
Per lo mezzo diffondersi e volare
Vie più lungi degli altri; ancor che mai
990Non possa alcun di loro ir sì lontano
Quanto il suono e la voce (io già tralascio
Di dir quanto l’effigie e i simolacri
Che fiedon gli occhi ed a veder m’incitano)
Poichè tardo si muove e vagabondo,
995E talvolta perisce a poco a poco
Per l’aereo sentier distratto e sparso
Pria che giunga alle nari. E ciò succede
Principalmente, perchè fuori esala
Dall’imo centro delle cose a pena
1000(Che ben dall’imo centro uscir gli odori
Mostra il sempre olezzar più degl’interi
I corpi infranti stritolati ed arsi);
Poi perchè gli è di maggior semi intesto
Della voce e del suon; come vedere
1005Lice a ciascun, perchè la voce e ’l suono
Penetra per le mura ove l’odore
Mai non penétra. Ond’eziandio si vede
Che non è così agevole il potere
Rintracciar con le nari ove locati
1010Siano i corpi odoriferi; chè sempre
Più divien fredda ogni lor piaga e fiacca
Per l’aure trattenendosi, e non giunge
Calda al senso e robusta: e quindi spesso
Errano i bracchi e in van cercan la traccia.
        1015Nè però negli odori e ne’ sapori
Ciò solo avvien: ma similmente è certo
Che non tutti i color, non delle cose
Tutte l’effigie in guisa tal s’adattano
Di tutti al senso, ch’a vedersi alcune
1020Non sian dell’altre più pungenti ed aspre.
Anzi; qual or l’ali battendo il gallo,
Quasi a sè stesso applauda, agita e scaccia
Le cieche ombre notturne e con sonora
Voce risveglia ogni animale all’opre;
1025Non ponno incontro a lui fermi e costanti
Trattenersi un momento i leon rapidi
Nè pur mirarlo di lontan, ma tosto
Precipitosamente in fuga vanno:
E ciò, perchè de’ galli entro alle membra
1030Trovansi alcuni semi, i quai negli occhi
De’ leon penetrando, ambe le luci
Gli pungono in tal guisa e così aspro
Dolor gli danno, che ristarli a petto
Non ponno ancor che fieri ancor che indomiti:
1035E pur dagli stess’atomi non hanno
Mai le nostre pupille offesa alcuna,
O perch’essi non v’entrano, o più tosto
Perch’entrandovi han poi l’esito aperto
Per gli stessi meati onde in tornando
1040Non ponno i lumi in alcun modo offenderne.
        Or su, quai cose a muoverne bastanti
Sian l’alma, intendi, e ’n brevi detti ascolta
Onde possa venir ciò che ne viene
In mente. E prima sappi che vagando
1045Van molte effigie d’ogn’intorno in molti
Modi, e son così tenui e sì cedenti
Che ben spesso, incontrandosi per l’aria,
Si congiungono insieme agevolmente
Quasi tele di ragni o foglie d’oro.
1050Poichè queste eziandio vie più sottili
Son dell’istesse imagini che ponno
Gli occhi irrigare e concitar la vista:
Con ciò sia che pel raro entran del corpo
E la tenue natura a mover atte
1055Son della mente e risvegliarne il senso.
Dunque e centauri e scille e can trifauci
Veggiamo e di color ombre ed imagini
Che già morte ridusse in poca polve;
Posciachè simolacri d’ogni genere,
1060Parte che per sè stessi in aria nascono,
Parte che nati son da cose varie,
Per lo vano del cielo errando volano,
E di questi e di quelli a caso unitisi
Nuove forme sovente anco si creano.
1065Con ciò sia che la specie di centauro
Certamente non può dal vivo origine
Aver, poichè nel mondo unqua non videsi
Un simile animal: ma, se l’effigie
D’un uomo e d’un cavallo a caso incontransi,
1070L’apparirne un tal mostro è cosa agevole;
Già che tosto ambedue forte congiungonsi
Per la natura lor ch’è sottilissima.
Tutti gli alti portenti a questo simili
Nel medesimo modo anco si creano:
1075E, lievi essendo sommamente, corrono
Vie più del vento del balen del fulmine,
Come già t’insegnammo. Ond’assai facile
Fia che in un colpo sol possa commoverne
L’animo qualsisia cedente imagine;
1080Già che ben sai che per natura è tenue
La mente anch’essa a maraviglia e mobile.
        E che ciò ch’io ragiono altronde nascere
Non possa che da quel ch’io ti rammemoro,
Ben dee ciascuno agevolmente intendere;
1085Mentre ogni spettro che da noi con l’animo
Vedesi a quel che miran gli occhi è simile,
Et in simil maniera anco si genera.
Dunque; perchè già mai veder non puossi,
Verbigrazia, un leone in altra guisa
1090Che per l’imagin sua ch’entra negli occhi;
Quindi lice imparar che nello stesso
Modo senz’alcun dubbio anco la mente
Da varie effigie di leoni è mossa
Da lei viste egualmente e nulla meno
1095Di quel che rimirar possano gli occhi,
Se non ch’ella più tenui e più sottili
Specie discerne. E certamente altronde
Esser non può, che, quando il sonno ha sparse
Di dolce onda letèa tutte le membra,
1100Della mente il vigor stia vigilante,
Se non perchè l’imagini medesme
Che vegliando miriam gli animi nostri
Concítano in tal guisa, che di certo
Ne sembra di veder chi molto innanzi
1105Brev’ora ancise e poca terra asconde.
E questo avvien, perchè del corpo i sensi,
Tutti in un con le membra avviluppati
In profonda quïete, allor non ponno
Con le cose veraci e manifeste
1110Convincer l’ingannevoli, e sopita
Giace, oltr’a questo, e langue ogni memoria,
Nè basta a dissentir che già morisse
Quel che vivo mirar crede la mente.
In somma; che l’imagine passeggi,
1115Che mova acconciamente ambe le braccia
E le mani e la testa e tutto il corpo,
Meraviglia non è: poichè sognando
Ne sembra di veder che i simolacri
Possan far ciò; perchè svanendo l’uno
1120E creandosi l’altro in altro sito,
Pare a noi che il medesimo di prima
Abbia in un tratto varïato il gesto.
Chè ben creder si dee che questo avvenga
Con somma ed ammirabile prestezza:
1125Tanto mobili son gli spettri, e tanta
È la lor copia e così grande il numero
Delle minime parti d’ogni tempo.
        E qui di molte cose interrogarmi
Lice, e che molte io ne dichiari è d’uopo,
1130Se di spiegar perfettamente altrui
Di natura desio gli ultimi arcani.
E pria può domandarmisi, in che modo
L’animo umano ove il desio lo sprona
Tosto volga il pensier. Forse han riguardo
1135L’effigie al voler nostro, e senza indugio
Qual or n’aggrada, a noi vengono incontro?
Se la terra se ’l mar se brami il cielo,
Se i ridotti degli uomini o’ conviti
O’ solenni apparati o le battaglie,
1140Forse ad un cenno sol crea la natura
Spettri sì vari e te li pone avanti?
Massime allor che in un medesmo luogo
Fissa ogni altro ha la mente ad altre cose.
Che poi? quando legati in dolce sonno
1145Passar veggiamo i simolacri e movere
Le pieghevoli membra acconciamente,
Qual or tutti a vicenda agili e snelli
Con le braccia e co’ piè scherzano in danza?
Forse nell’arte del ballare esperti
1150Vagano i simolacri, e però sanno
Menar, dormendo noi, tresche notturne?
O più tosto fia ver che in ogni tempo
Sensibil molti tempi si nascondano
Che l’umana ragion sola comprende?
1155E che quindi l’effigie apparecchiate
Sian tutte in tutti i tempi in tutti i luoghi?
Tanta è la loro agilità nel moto,
Tanta la copia! E, perchè tenui e rare
Son vie più dell’imagini che gli occhi
1160Fiedono, unqua mirarle acutamente
L’alma non può, se non s’affissa in loro:
E per questo ogni specie in un baleno
Sfuma, se non se l’animo in tal guisa
Apparecchia sè stesso; e ben sè stesso
1165In tal guisa apparecchia, e brama e spera
Di veder ciò che segue; e ’l vede in fatto.
Noto forse non è che gli occhi nostri
Si preparano anch’essi e le pupille
Fissano, allor che tenui cose e rare
1170Hanno preso a guardar? dunque non vedi
Che non pôn senza questo acutamente
Nulla mirare? E pur conosce ognuno
Che, se l’animo nostro altrove è volto,
Le cose anco vicine e manifeste
1175Ci sembran lontanissime et oscure.
A che dunque stimar dèi meraviglia,
Ch’ei non possa altr’imagini vedere
Che quelle in cui s’affissa? In oltre; ogni uomo
Da segni piccolissimi conchiude
1180Tal or gran cose, e nol pensando in mille
Frodi s’avvolge e sè medesmo inganna.
Succede ancor, che varïando effigie
Vadan gli spettri, onde chi prima apparve
Femmina in un balen maschio diventi,
1185E d’una in altra etade e d’una in altra
Faccia si muti; e che mirabil cosa
Ciò non si stimi il sonno opra e l’oblio.
        Or qui vorrei che tu schivassi in tutto
Quel vizio in cui già molti hanno inciampato,
1190Cio è, che non credessi in alcun modo
Che sian degli occhi nostri i chiari lumi
Creati per veder, nè che le gambe
Nascan atte a piegarsi acciò che l’uomo
Or s’inchini or si drizzi or muova il passo,
1195Nè che le braccia nerborute e forti
Date ne sian dalla natura et ambe
Le man quasi ministre onde si possa
Far ciò ch’è d’uopo a conservar la vita,
Nè l’altre cose simili che tutte
1200Son da loro a rovescio interpretate.
Poichè nulla già mai nacque nel corpo
Perchè usar lo potessimo, ma quello
Ch’all’incontro vi nacque ha fatto ogni uso.
Nè fu prima il veder che le pupille
1205Si creasser degli occhi; e non fu prima
L’arringar che la lingua, anzi più tosto
Della lingua l’origine precesse
Di gran tratto il parlare; e molto innanzi
Fur prodotte l’orecchie che sentite
1210Le voci e ’l suono; e tutte al fin le membra
Fur pria dell’uso lor: dunque per l’uso
Nate non son. Ma l’azzuffarsi in guerra,
L’uccidersi, il ferirsi e d’atro sangue
Bruttarsi il corpo, pel contrario, innanzi
1215Fu che per l’aria i dardi a volo andassero:
Pria natura insegnò che da schivarsi
Eran le piaghe; e poi l’arte maestra
Le corazze inventò, gli elmi e gli scudi.
Et è molto più antico il dar quïete
1220Alle membra già stanche o su la dura
Terra o sull’erbe molli all’aria aperta,
Che ’l nutrirne a grand’agio in piume al rezzo:
E prima a dissetar l’arsicce fauci
La man concava usammo e l’onde fresche
1225Che le tazze d’argento e ’l vin di Creta.
Dunqu’è ben ragionevole che fatto
Per l’uso sia ciò che dall’uso è nato:
Ma tal non è quel che prodotto innanzi
Fu che dell’util suo notizia desse,
1230Come principalmente esser veggiamo
Le membra e’ sensi: ond’incredibil parmi
Che per utile nostro unqua potesse
La natura crear le membra e i sensi.
        Similmente parer cosa ammiranda
1235Non dee che cerchi ogni animale il proprio
Vitto e senz’esso a poco a poco manchi.
Perch’io, se ben sovvienti, ho già dimostro
Che da tutte le cose ogn’or traspirano
Molti minimi corpi in molti modi:
1240Ma forz’è pur che in maggior copia assai
Li convenga esalar dagli animali
Che son dal moto affaticati e stanchi:
Senza che molti per sudore espressi
Son dall’interne parti, e molti sfumano
1245Dalle fauci anelanti e sitibonde.
Or quindi il corpo rarefassi, e tutta
La natura vien men: quindi il dolore
Si crea; quindi i viventi amano il cibo
Per ricrear le forze e sostenere
1250Le membra e per le vene e per le viscere
Sedar l’ingorda fame. Il molle umore
Penetra similmente in tutti i luoghi
Che d’umor han bisogno; e dissipando
Molti caldi vapor che radunati
1255Nello stomaco nostro incendio apportano
Quasi fuoco, e gli estingue e vieta intanto
Ch’e’ non ardano il corpo. In simil guisa
Dunque s’ammorza l’anelante sete:
Tal si pasce il desio delle vivande.
        1260Or; come ognun di noi gire e fermarsi
Possa ovunque gli aggrada e in varie guise
Mover le membra, e da qual urto il grave
Pondo del nostro corpo impulso e moto
Abbia; vo’ dir: tu quel ch’io dico ascolta.
1265Pria l’effigie d’andar fassi alla mente
Incontro, e la percuote: indi si crea
La volontà: poichè nessun non piglia
Mai nulla a far, se no ’l prevede e vuole
L’animo pria; ma senza dubbio è d’uopo
1270Che di ciò ch’ei prevede i simolacri
Gli sian già noti e manifesti. Adunque,
Tosto che dall’imagini è commossa
La mente in guisa tal che stabilito
Abbia di gir, fiede il vigor dell’alma
1275Ch’è diviso e disperso in tutto il corpo
E pe’ nervi e pe’ muscoli: nè questo
È difficile a far, poichè congiunto
L’uno è con l’altro: indi ’l vigor predetto
Ripercuote le membra: e così tutta
1280Spinta è la mole a poco a poco e mossa.
In oltre; allor d’ogni animale il corpo
Divien molto più raro; e, come deve,
L’aria che sempre per natura è mobile
Largamente vi penetra, e per tutte
1285Le sue minime parti si diffonde:
E quindi avvien che, qual navilio urtato
Dalle vele e da’ remi, il corpo nostro
Per due cause congiunte al fin si move.
Nè per cosa mirabile s’additi
1290Che sì tenui corpuscoli sian atti
A girar sì gran corpo e mover tutto
Il pondo suo; mentre sì spesso il vento,
Che pur anch’egli è di sottili e rari
Atomi intesto, impetuosamente
1295Move un vasto navilio, e un sol piloto
È possente a fermarlo, ancor che voli
Furïoso per l’alto a piene vele,
Pur che tosto ove dee giri il governo;
Et un solo architetto erge tal ora
1300Sol con timpani e taglie immensi pesi.
        Or, come ’l sonno per le membra irrighi
La sicura quïete e della mente
Sciolga ogni affanno, io con soavi carmi
Più che con molti di narrarti intendo;
1305Qual più grato è de’ cigni il canto umíle
Del gridar che le grue fan tra le nubi
Se i gran campi dell’aria austro conturba.
Tu con acute orecchie e con sagace
Mente m’ascolta; acciò che poi non nieghi
1310Tutto quel ch’io ti dico, e non disprezzi
Con animo ostinato e repugnante
La mia vera ragion pria che l’intenda.
Pria: si genera il sonno, allor che l’alma
Per le membra è distratta e fuori in parte
1315Cacciata esala e in parte anco rispinta
Ne’ penetrali suoi fugge e s’asconde;
Con ciò sia che languisce e quasi manca
Il corpo allor. Ma non è dubbio alcuno
Che dell’anima umana opra non sieno
1320Tutti i sensi dell’uom: dunque, se il sonno
Ce li tiene impediti, è pur mestiero
Che turbata sia l’alma e fuor dispersa.
Ma non tutta però; chè gelo eterno
Di morte ingombreriane, ove nascosta
1325Dell’alma alcuna parte entro alle membra
Non rimanesse in quella guisa a punto
Che sotto a molta cenere sepolto
S’asconde il foco, onde repente il senso
Tal possa in noi rinnovellarsi, quale
1330Può da sepolto ardor sorger la fiamma.
        Ma, di tal novità quai le cagioni
Siano e quai cose ne conturbin l’alma
E faccian tutto inlanguidirne il corpo,
Brevemente dirò: tu non volere
1335Ch’io sparga intanto ogni mio detto al vento.
Primieramente, essendo il corpo nostro
Dall’aure aeree d’ogn’intorno cinto,
D’uopo è che sia, quanto alle parti esterne,
Dagli stessi lor colpi urtato e pesto:
1340E per questa cagion tutte le cose
Son coverte da callo o da corteccia
O da cuoio o da setole o da velli
O da spine o da guscio o da conchiglie
O peli o piume o lana o penne o squamme.
1345E nell’interne ancor sedi penètra
L’aere medesmo e le percuote e sferza,
Mentre da noi si attragge e si respira.
Onde, essendo le membra in varie guise
Quinci e quindi agitate ed arrivando
1350Pe’ fóri occulti le percosse a’ primi
Elementi del corpo, a poco a poco
Nasce a noi per lo tutto e per le parti
Una quasi del senso alta ruina.
Poichè turbansi in guisa i moti i siti
1355De’ principii dell’anima e del corpo,
Che di quella una parte è fuor cacciata,
Un’altra indietro si ritira e cela,
Et un’altra ve n’ha cui per le membra
Sparsa e distratta un vicendevol moto
1360Non lice esercitar, poichè natura
I meati e le vie chiuse gli tiene:
E quindi è poi che, varïati i moti,
Sfuma altamente e si dilegua il senso.
E, non v’essendo allor cosa che possa
1365Quasi regger le membra, il corpo langue,
Caggion le braccia e le palpebre, e tosto
Ambe s’inchinan le ginocchia a terra.
È dal pasto, oltr’a ciò, creato il sonno;
Perchè quel che fa l’aria agevolmente
1370Fanno anco i cibi, allor che per le vene
Vengon distribuiti. E più d’ogni altro
È profondo il sopor che sazi e stanchi
N’assal; perchè in tal caso una gran massa
D’atomi si rimescola agitata
1375Da soverchia fatica, e similmente
L’anima si ritira e si nasconde
In più cupi recessi, e fuor cacciata
Esala in maggior copia, e fra sè stessa
Più sparsa in somma e più distratta è dentro.
1380Onde il più delle volte in sogno appare
O cosa a cui per obbligo s’attende
O che gran tempo esercitossi innanzi
O che molto ci appaga. All’avvocato
Sembra di litigare e pe’ clienti
1385Citar leggi e statuti: il capitano
Co’ nemici s’azzuffa, e sanguinose
Battaglie indice: i naviganti fanno
Guerra co’ venti e con le sirti: ed io
Cerc’ognor di spïar gli alti segreti
1390Di natura e spiati acconciamente
Nella patria favella esporli in carte:
Tal quasi sempre ogni altro studio ed arte
Suol dormendo occupar gli animi umani.
E, chiunque più giorni intento e fiso
1395Stette a mirar per ordine una festa,
Veggiam che spesso, ancor che i sensi esterni
Lungi ne sian, pur negl’interni aperte
Sono altre strade onde venirgl’in mente
Possan gli stessi simolacri: e quindi
1400Avvien che lungo tempo avanti agli occhi
Gli stanno in guisa, ch’eziandio vegliando
Pargli veder chi balli e salti e mova
Le pieghevoli membra acconciamente,
E sentir delle cetre i dolci carmi
1405E de’ nervi loquaci il suon concorde,
E mirare il medesimo consesso
E di varie pitture e d’oro e d’ostro
Splender la scena ed il teatro intorno.
Tanto il voler, tanto lo studio importa,
1410Ed a quali esercizi assuefatti
Non pur gli uomini sian, ma tutti i bruti.
Con ciò sia che sovente, ancor che dorma
Il feroce destrier steso fra l’erbe,
Quasi a nobil vittoria avido aspiri,
1415Sbuffa, zappa, nitrisce, anela e suda
E per vincer pugnando opra ogni forza.
E spesso immersi in placida quïete
Corrono i bracchi all’improvviso, e tutto
Empion di grida e di latrati il cielo,
1420E, qual se l’orme di nemiche fiere
Si vedessero innanzi, aure frequenti
Spirano; e spesso ancor, poi che son desti,
Seguon de’ cervi i simolacri vani
Quasi dati alla fuga, in fin che, scosso
1425Ogn’inganno primier, tornino in loro.
Ma le razze sollecite de’ cani
Delle mandre custodi e degli alberghi,
Quasi abbian visto di rapace lupo
L’odïata presenza o di notturno
1430Ladro il sembiante sconosciuto, spesso
S’affrettan di cacciar dagli occhi i lievi
Lor sonni incerti e di rizzarsi in piedi.
E, quanto son di più scabrosi e rozzi
Atomi intesti, tanto più commossi
1435D’uopo è che siano e tormentati in sogno.
Quindi la plebe de’ minuti augelli
Suol repente fuggirsi e paurosa
Turbar con l’ali a ciel notturno i boschi
Sagri ai rustici dèi, qual or sepolta
1440In piacevole sonno a tergo avere
Par lor di smerlo audace il rostro ingordo.
Ma che fan poi negl’improvvisi e grandi
Moti gli animi umani? Essi per certo
Fan sovente gran cose. Espugnan regi,
1445Son presi, attaccan guerre, alzan gridando
Le voci al ciel quasi nemico acciaio
Vivi gli scanni. Altri combatte, e sparge
Di pianto il suol, di gemiti e sospiri
L’aria, e, quasi pantera o tigre od orso
1450Digiun lo sbrani, empie di strida il tutto.
Altr’in sogno favella, e ne rivela
Tal or cose importanti, e porge spesso
Degli occulti misfatti indicio aperto.
Molti da breve sonno a sonno eterno
1455Fan passaggio crudel. Molti, assaliti
Da spavento terribile improvviso,
Qual se d’alta montagna in cupa valle
Fosser precipitati, oppressi in guisa
Restan, che quasi mentecatti e scemi,
1460Desti, a gran pena, pel disturbo interno
Delle membra agitate, in sè ritornano.
Siede poi l’assetato o presso un fiume
O presso un fonte o presso un rivo, e tutto
Quasi l’ingoi’ con l’anelanti fauci.
1465E spesso anco i bambin dal sonno avvinti
Pensan d’alzarsi i panni o sopra un lago
O sovra un corto doglio e di deporvi
Il soverchio liquor di tutto il corpo;
Mentre intanto d’Olanda i prezïosi
1470Lini vanno irrigando e le superbe
Coltri tessute in Babilonia o in Menfi.
In oltre; quei che dell’etade al primo
Bollor son giunti e che maturo il seme
Hanno omai per le membra, effigie e spettri
1475Veggono intorno di color gentili
E di volto leggiadri; indi eccitarsi
Sentono i luoghi di soverchio seme
Gonfi, e, quasi che allor compiuti in uno
Abbian tutti i lor voti, un largo fiume
1480Spargon sovente, ond’è men puro il letto.
        Dunque il seme ch’io dissi entro alle membra
S’eccita allor che per l’adulta etade
Comincia il corpo a divenir robusto:
Chè vari effetti han varie cause; e quindi
1485Sol dell’uomo il vigor provoca e smuove
Nell’uom l’umano seme, il quale, uscendo
Fuor de’ luoghi natii, da tutto il corpo
Si parte, e per le membra e per gli articoli
Cade in certe di nervi inteste sedi
1490A lui convenïenti, e tosto irrita
Le parti genitali: esse irritate
Gonfian per troppo seme: e quindi nasce
Il desio di vibrarlo ove comanda
La sfrenata libidine, e la mente
1495Brama quel corpo onde ferilla amore.
Così dunque ciascun che saettato
Sia dallo stral di Venere, o per donna
Che dagli occhi leggiadri incendio spiri
O per vago fanciul cui la vezzosa
1500Feminil guancia ancor piuma non veli,
Quasi a fermo bersaglio il pensier volge
Tosto ond’uscío l’aspra sua piaga, e brama
D’unirsi a chi l’offese e di lanciare
L’umor tratto dal corpo entro il suo corpo,
1505Perch’il molto desio piacer gli annunzia.
        Quest’è Venere in noi: quindi fu tratto
D’amore il nome; indi stillaro in prima
Le veneree dolcezze, indi le fredde
Cure i petti ingombrâr; poichè, se lungi
1510È l’oggetto che s’ama, al men presenti
Ne stan l’effigie e ’l desiato nome
Sempre all’orecchie si raggira intorno.
Ma fuggir ne convien l’esca d’amore
E l’imagini sue, volgendo altrove
1515La mente, e dal soverchio umor del corpo
Sgravarne ovunque n’è concesso, e mai
Fissa non ritener d’un solo oggetto
Nel cor la brama e per noi stessi intanto
Nutrir cure mordaci e certo duolo:
1520Con ciò sia che la piaga ogn’or più viva
Diventa e col nudrirla infistolisce,
Cresce il furor di giorno in giorno e sempre
La miseria del cor fassi più grave,
Se tu con dardi nuovi i primi dardi
1525Prontamente a cacciar non t’apparecchi
Come d’asse si trae chiodo con chiodo.
E, con vagante affetto or quello or questo
Dolce frutto di Venere cogliendo,
Le fresche piaghe non risani e volgi
1530Dell’alma afflitta in altra parte i moti.
        Nè da’ frutti d’amor chi schiva amore
Mena lungi la vita, anzi ne prende
Senza travaglio alcun tutti i contenti:
Con ciò sia che più certo e più sincero
1535Quinci tragge il piacer chi mai non pose
Il cauto piè su l’amorosa pania,
O tosto al men senza invescarvi l’ale
Ne ’l ritrasse e fuggío. Chè gli ostinati
Miseri amanti, i quai nel tempo stesso
1540De’ godimenti lor van fluttuando
In un mar d’incertezze e stanno in forse
Di qual parte fruir gli occhi o le mani
Debbiano in prima, il desïato corpo
Premon sì stretto che dolore acerbo
1545Gli danno, e spesso nell’amate labbra
Lascian de’ propri denti impressi i segni
E ne suggon i baci avidamente;
Perch’impuro è ’l diletto, e con occulti
Stimoli pungentissimi gl’incita
1550Ad oltraggiar, che ch’egli sia, quel desso
Che d’un tanto furor produce i germi.
        Ma Venere ogni pena in fra gli amori
Mitiga dolcemente, e dolcemente
Frena i morsi e l’offese il piacer misto;
1555Poichè speran ch’un giorno anco attutarsi
Possa l’incendio lor dal corpo stesso
Onde il cieco desio surse e la vampa.
Il che nega all’incontro apertamente
Natura: anzichè questa è quella sola
1560Cosa, di cui quanto più l’uom possiede,
Tanto arde più di crudel brama il petto.
Poichè ’l cibo e l’umor dentro alle membra
Si piglia, e, perch’ei puote alcune parti
Certe occupar, quinci è mestier che resti
1565Del mangiare e del ber sazio il desio:
Ma del volto leggiadro e del soave
Color dell’uomo altro non gode il corpo
Fuor che le tenui imagini volanti,
Che porta il vento d’infelice speme.
1570E; qual dormendo un assetato infermo
Cerca di liquor freddo o fonte o rio
Che ’l grave incendio delle membra estingua.
Ma cerca indarno, e de’ gelati umori
Fuor che le vane effigie altro non trova,
1575E di sete in bevendo arde nell’onde;
Tal con fallaci simolacri e spettri
Venere in fra gli amor beffa gli amanti,
Che mai di vagheggiar l’amato aspetto
Saziar non ponno i desïosi lumi
1580Nè detrar con le mani alcuna parte
Mentre per tutto il corpo errano incerti.
In somma; allor che vigorose e forti
Han già le membra e dell’etade il fiore
Godono, allor che presagisce il corpo
1585Gaudi non più sentiti e che la stessa
Venere attende a seminare i campi
Delle giovani donne; avidamente
Congiungon petto a petto e bocca a bocca,
E mordendosi il volto ansano indarno;
1590Poichè quindi limar nulla non ponno
Nè penetrar con tutto il corpo il corpo;
Come par che tal volta abbian talento;
Sì desïosamente avviticchiati
Stan con lacci venerei in fin che lassi
1595Per soverchio piacer solvonsi i membri.
Al fin, poichè l’ardor ne’ nervi accolto
Fuor se n’uscío, la vïolenta brama
Ha qualche pausa: indi la rabbia stessa
Riede e ’l furor; mentre toccar di nuovo
1600Cercan l’amato corpo, e mai non ponno
Arte alcuna trovar che gli risani
Dal mal che gli ange e gli tormenta il core.
Tal per cieca ferita incerti errando
Tabidi fansi a poco a poco e mancano.
        1605Aggiungi che ’l vigor scema e la forza,
Che l’angoscie e i travagli ogn’or n’affliggono,
Che sotto il cenno altrui l’età si logora,
La roba intanto si disperde e fonde,
Dansi le sicurtà, langue ogni uffizio,
1610E la gloria e la fama egra vacilla.
Splende d’unguenti ’l crin, ridono in piede
Sicionii coturni, ornan le dita
Grossi smeraldi in fino oro legati;
E di serico manto adorno il corpo
1615Giornalmente rifulge; e le ricchezze
Da’ paterni sudor ben acquistate
Divengon fasce, ghirlandette e mitre,
E tal volta in lascivi abiti molli
Cangiansi e in vesti melitensi e cee;
1620E quel che al vestir nobile ed al vitto
Servir dovrebbe è dissipato in giuochi
In musiche in conviti in giostre in danze
In profumi in corone in rose in fiori.
Ma tutto in van; poichè di mezzo al fonte
1625Dolce d’amore un non so che d’amaro
Sorge, che sin tra’ fiori ange gli amanti;
O perchè dagli stimoli trafitto
Della propria coscienza in sè ritorna
L’animo, e di menar forse gli duole
1630La vita all’ozio ed alle piume in preda
E tra sozzi bordelli indegnamente
Perire in sen d’una bagascia infame;
O perchè l’avrà detto una parola
D’ambiguo senso, che nel core infusa
1635Qual foco sotto cenere s’avviva;
O perchè troppo ha cupidi e vaganti
Gli occhi, e troppo gli volge al suo rivale,
E con lui troppo parla e troppo ride.
        E di mali sì gravi amore abbonda,
1640Allor che favorevole e propizio
Si mostra altrui quanto mostrar si puote:
Ma, quand’egli all’incontro incrudelisce
Verso i mendici suoi miseri servi,
N’ha tanti e tanti che co’ gli occhi stessi
1645Puoi vederne infiniti. Onde assai meglio
Ti fia lo star ben vigilante e desto,
Com’io già t’insegnai, pria che la dolce
Esca t’alletti in cui nascosto è l’amo:
Posciachè lo schivar d’esser indótto
1650A cader nella rete è molto meno
Malagevole a far, che preso uscirne
E romper di Cupido i forti nodi.
E pur avvinto et irretito ancora
Sciôr ti potrai, se tu medesmo a te
1655Non sei d’impedimento e non dissimuli
Tutti i vizi dell’animo e del corpo
Di colei che tu ami e che desideri:
Poichè ’l più delle volte i folli amanti
Ciò fanno, e spesso attribuiscon loro
1660False prerogative. E quindi accade
Che molte, ancor che brutte, in varie guise
Piacciono e s’hanno in somm’onore e in pregio.
Ulivastra è la mora: inculta ad arte
La sciatta e sporca: Pallade somiglia
1665Chi gli occhi ha tinti di color celeste:
Forte e gagliarda è la nervosa e dura;
Piccoletta, la nana, e delle Grazie
O sorella o compagna e tutta sale:
Quella ch’immane è di statura, altrui
1670Terrore insieme e meraviglia apporta,
Piena d’onor di maestà nel volto.
È balba e quasi favellar non puote?
Fra sè stessa borbotta. È muta affatto?
Un ingenuo pudor fa che non parli.
1675È ritrosa odïosa e linguacciuta?
Divien lampada ardente. È tisicuzza
E co’ denti tien l’anima? vien detta
Gracile e gentilina. È morta omai
Di tossa? cagionevole s’appella.
1680È paffuta, popputa e naticuta?
Sembra Cerere stessa amica a Bacco.
Sime ha le nari? è Satira o Silena.
Grosse ha le labbra sue? bocca è da baci.
Ma lungo fia s’io ti racconto il resto.
1685Ma pur; sia quanto vuoi bella di faccia,
Paia a Venere stessa in ogni membro
Di leggiadria di venustà simile;
Ben dell’altre ne son, ben senza questa
Vivemmo innanzi; ben si sa che tutte
1690Fa le cose medesime che fanno
Quelle che son deformi, e che sovente
Di biacca intride e di cinabro il volto,
Folle, e con tetri odor se stessa ammorba,
Sì che fin dalle serve avuta a schivo
1695È fuggita, odïata e mostra a dito.
Ma di serti e di fior l’escluso amante
Spesso piangendo orna la fredda soglia,
E di soavi unguenti unge l’impòste
Misero, e baci al superb’uscio affigge.
1700Che poi se dentro al limitare il piede
Ferma, un’aura leggier che lo percuota
L’offende sì, che di ritrarlo omai
Cerca oneste cagioni: un punto solo
Rasciuga il pianto di molt’anni e freno
1705Pone ai lamenti: anzi sè stesso accusa
Di solenne pazzia, chiaro veggendo
D’aver più ad una femmina concesso
Che a mortal cosa attribuir non lice.
Nè ciò punto è nascosto alle moderne
1710Veneri nostre, onde ogni industria ogni arte
Usan per occultar ciò che in segreto
Fanno, allor che tener gran tempo avvinti
Fra i legami d’amor braman gli amanti.
Ma tutto in van; chè, se mirar non puossi
1715Con gli occhi della testa, al men con quelli
Dell’animo si mira e si contempla.
E, se bella è di mente e se ti porta
Vicendevol amor, non vieteratti
Punto il dar venia alle miserie umane.
        1720Nè per infinto amor sempre sospira
La donna, allor che nelle braccia accoglie
Dell’uomo il corpo e lo si stringe al seno
E mirandolo fiso avidi baci
Liba or dagli occhi e dalle labbra or sugge:
1725Con ciò sia che di cuore il fa sovente
Cercando il comun gaudio, e s’affatica
Di giunger tosto all’amorosa meta.
Nè per altra cagione ai maschi loro
Sottopor si potrian gli uccelli e i greggi
1730E gli armenti e le fiere e le cavalle,
Se non perch’ardon di lussuria e tutte
Di focoso desio pregne e di seme
Van liete incontro al genital diletto
De’ lascivi mariti, et a vicenda
1735Il maneggiano anch’esse. Or tu non vedi
Forse come color, che spesso avvinti
Furon da vicendevole piacere,
Nella stessa prigione e fra gli stessi
Lacci sian tormentati? Anzi sovente
1740Per le pubbliche vie sogliono i cani
Tentar di separarsi ed ogni sforzo
Metter in ciò, mentre legati intanto
Stan con nodi venerei: il che per certo
Far non potrian, se di scambievol gusto
1745Non gioissero in prima ond’ingannati
Fossero e strettamente insieme aggiunti.
Dunque, voglia o non voglia, il gaudio loro
È comun senza dubbio e vicendevole.
        E, se per avventura il viril seme
1750Fia nel carnal congiungimento attratto
E con subita forza a sè rapito
Dal seme femminil, nascono i figli
Simili allor dal patrio seme al padre,
Dal materno alla madre: e, se tal volta
1755Vedesi alcun che d’ambidue l’effigie
Egualmente ritenga e in un confonda
De’ genitori i volti, ei del paterno
Corpo è cresciuto e del materno sangue,
Mentre, eccitati per le membra i semi
1760Da scambievole ardor, furo in tal guisa
Sbattuti insieme e rimenati e misti,
Che nè questo nè quel vinto o vincente
Dir si poteo nell’amoroso incontro.
Posson anco alle volte agli avi loro
1765Nascer simili i figli e de’ proavi
Rinovar le sembianze: e ciò succede
Perchè spesso mischiati in molti modi
Celano i genitor molti principii
Nel proprio corpo, che di mano in mano
1770Dalla stirpe discesi i padri a’ padri
Danno: e quindi è che Venere produce
Con diversa fortuna aspetti vari,
E de’ nostri antenati i volti imita
I moti, i gesti, le parole e ’l pelo:
1775Poscia che nulla meno è certo il seme
Onde nascon in noi sì fatte cose
Di quello onde si crean le facce, i corpi
E l’altre umane membra: ed è prodotto
Dal patrio sangue delle donne il sesso,
1780E l’uom formato è del materno corpo.
Poichè d’entrambi i semi in un commisti
Costa ogni parto; e, qual de’ genitori
È più simile al figlio, ei nel suo corpo
Ha maggior parte, o sia femmina o maschio.
        1785Nè pôn gli dèi la genital semenza
Disturbare ad alcun, sì ch’ei non vegga
Scherzar vezzosamente a sè d’intorno
I figli e ’l dolce nome oda di padre
E fra sterili amplessi ed infecondi
1790L’età consumi. Al che fede prestando
Molti, di molto sangue afflitti e mesti
Cospergon l’are, e prezïosi incensi
V’ardon, e d’oro e d’ostro ornan gli altari;
Acciò gravide poi di largo seme
1795Rendan le mogli. Ma de’ numi indarno
Affatican l’orecchie, e dell’occulto
Fato i vani decreti indarno stancano.
Con ciò sia ch’infeconde il troppo crasso
Seme le rende o ’l troppo tenue e liquido;
1800Questo, perchè non puote a’ genitali
Vasi attaccarsi, onde vibrato a pena
Si dissolve in più parti e fuor se n’esce;
Quello, o perchè lanciandosi non vola
Tanto lungi che basti, o perch’i luoghi
1805Debiti non penètra, o, penetrati
Ch’e’ gli ha, non così bene in un si mesce
Col seme femminil. Chè molto varie
Son l’armonie di Venere: e da questi
Più che da quei di molte donne il seno
1810Divien grave e fecondo: e molte fûro
Sterili innanzi a più mariti, e poscia
Non per tanto trovâr chi di bramato
Parto arricchille e di soavi figli:
E chi pria varie mogli ebbe infeconde
1815Spesso un’altra ne prese onde poteo
Munir di figli la vecchiezza inferma.
Tanto, acciò che si mesca il seme al seme
Generativamente e che s’adatti
Il tenue al crasso e ’l crasso al tenue, importa
1820A qual uom sia la femmina congiunta
Nel diletto venereo; e molto ancora
Monta di che bevanda e di che cibo
L’un e l’altro si nutra e si conservi,
Poichè per altre cose entro alle membra
1825Si coagula il seme ed all’incontro
Per altre anco s’estenua e divien marcio.
E non poco, oltr’a ciò, l’arte rileva,
Onde il blando piacer che ne dà vita
Preso è da noi: che delle fere in guisa
1830E degli altri quadrupedi animali
Stimar si dee che molto più sien atte
Le donne a concepir; poich’in tal modo,
Stando i lombi elevati e ’l petto chino,
Ponno i debiti vasi il viril seme
1835Ricever molto meglio. E non ha d’uopo
Di movimenti effemminati e molli:
Anzi a sè stessa il concepir contrasta
La donna, allor che del consorte a gara
Il diletto carnal lieta accompagna
1840Col moto delle nàtiche, e bramosa
E di mora e di requie impazïente
Con tutto il petto disossato ondeggia;
Poichè ’l vomere allor dal cammin dritto
Del solco genital caccia, e rimuove
1845Da’ luoghi a lui proporzionati il seme.
E per questa cagion le meretrici
Costuman d’agitarsi, acciò ch’insieme
Schifin lo spesso ingravidare e dieno
Maggior gusto a’ lor drudi: il che non sembra
1850Che d’uopo sia per le consorti nostre.
        Nè creder mai che per divin volere
O per le frecce di Cupido amata
Sia tal volta una femmina deforme:
Con ciò sia che tal or la donna stessa
1855Con l’azioni piacevoli e co’ modi
Avvenenti e leggiadri e con lo schietto
Culto del proprio corpo opra che l’uomo
S’avvezzi agevolmente a viver seco.
Nel resto il conversar genera amore;
1860Chè, sia pur quanto vuol lieve ogni colpo,
Ciò che spesso è percosso in lungo spazio
Pur cede e cade: or tu non vedi adunque
Che fin dell’acque le minute stille
Con l’assiduo grondar fórano i sassi?