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Circolazione monetaria in Italia nord-occidentale: secoli XI-XII 3 invece, la capacità di penetrazione della specie oltralpina fu frenata: la zecche di Pavia e di Milano provvidero a prendere atto di una situazione alla quale di là dalle Alpi ci si era già adeguati da tempo4 . Di queste e altre congeneri vicende ci si occuperà nelle pagine successive. Esse intendono costituire un contributo alla storia della circolazione moneta- ria nell’area dell’attuale Piemonte settentrionale e dell’Astigiano nei cento- cinquant’anni che vanno, con qualche approssimazione, dal Mille alla metà del XII secolo. L’interferenza tra spazio e moneta sarà quindi fondamentale, e da essa proverranno alcuni degli elementi di maggiore interesse di questa ricerca. Altrettanto importante sarà tuttavia la dimensione diacronica, per- ché i momenti di tensione negli scambi monetari, i momenti in cui si fece ricorso, come si è già veduto e si vedrà meglio più avanti, all’“etichettamen- to”5 della moneta o al rinnovo totale o parziale di tale etichettamento sono distribuiti lungo tutto l’arco cronologico prescelto e non sono mai privi di significato. Riguardo ai problemi della circolazione monetaria l’area dell’attuale Piemonte presenta evidenti analogie (e interessanti differenze) con il Lazio, studiato da Pierre Toubert nel suo libro del 19736. Se da una parte Roma non Francia, ma con considerazioni di ordine generale, è ancora utile la lettura di J. Lafaurie, Numismatique: des Carolingiens aux Capétiens, in «Cahiers de civilisation médiévale», 13 (1970), pp. 117-137, in particolare pp. 132 sgg. Una chiara sintesi della situazione italiana nel periodo in esame paragonata con gli sviluppi oltralpini in P. Toubert, Il sistema curtense: la pro- duzione e lo scambio interno in Italia nei secoli VIII, IX e X, in Storia d’Italia, Annali 6, Economia naturale, economia monetaria, a cura di R. Romano e U. Tucci, Torino 1983, pp. 5- 63: pp. 50 sg. (ripubblicato in P. Toubert, Dalla terra ai castelli. Paesaggio, agricoltura e pote- ri nell’Italia medievale, a cura di G. Sergi, Torino 1995, pp. 183-245; qui citerò dall’edizione ori- ginale). 4 Si vedano oltre i parr. 3 e 6. 5 Cfr. Spufford, Money and its use cit., pp. 101 sgg. Si veda anche, per esempio, D. Herlihy, Treasure Hoards in the italian economy, 960-1139, in «The Economic History Review», second series, 10 (1957), p. 7, che si esprime invece (come Pierre Toubert nell’opera indicata alla nota seguente) in termini di “indicazione di provenienza”. 6 P. Toubert, Les structures du Latium médieval. Le Latium méridional et la Sabine du IXe siè- cle à la fin du XIIe siècle, I-II, Rome 1973, ha dedicato a L’instrument monétaire la prima parte del capitolo VI (consacrato nel suo complesso a Les structures d’échanges), pp. 551-624 con le illustrazioni alle pp. 689-692. Altro caso interessante per le analogie con il territorio qui studia- to (assenza di officine monetarie interne) è quello della porzione sud-orientale del ducato di Spoleto: L. Feller, Les conditions de la circulation monétaire dans la périphérie du royaume d’Italie (Sabine et Abruzzes, IXe-XIIe siècle), in L’argent au Moyen Âge, XXVIIe Congrès de la S.H.M.E.S. (Clermond-Ferrand, 30 mai-1er juin 1997), Paris 1998, pp. 61-75. Alcuni aspetti del- l’analisi toubertiana sono stati oggetto in anni recenti, soprattutto per ciò che riguarda il perio- do anteriore all’XI secolo, di tentativi di revisione: cfr. A. Rovelli, La funzione della moneta tra l’VIII e il X secolo. Un’analisi della documentazione archeologica, in La storia dell’alto medioe- vo italiano (VI-X secolo) alla luce dell’archeologia, Convegno internazionale (Siena, 2-6 dicem- bre 1992) a cura di R. Francovich e G. Noyé, Firenze 1994, pp. 521-537; A Rovelli, Le monete nella documentazione altomedievale di Roma e del Lazio, in La storia economica di Roma nel- l’alto medioevo alla luce dei recenti scavi archeologici, Firenze 1993, pp. 333-352 (anche per l’XI secolo); A. Rovelli, Circolazione monetaria e formulari notarili nell’Italia altomedievale, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo», 98 (1992), pp. 109-144; ma si veda soprattutto il recente A. Rovelli, Coins and trade in early medieval Italy, in «Early Medieval Europe», 17 (2009), pp. 45-76. Reti Medievali Rivista, 12, 1 (2011) <http://rivista.retimedievali.it> ha avuto officine monetarie proprie tra la fine del X e l’ultimo quarto del XII secolo, il Piemonte, dopo l’effimera comparsa della moneta di Susa al princi- po del XII secolo, ha tardato ad avere circolanti autoctoni fino al quarto-quin- to decennio di quel secolo, quando la moneta segusina prima, poi la nuova moneta comunale di Asti riuscirono a ritagliarsi ambiti di sicura preminenza locale. In ogni caso se, proprio come il Lazio, il Piemonte si presta bene allo studio di quei «mécanismes de circulation concomitante d’espèces différen- tes et de relève d’une espèce par une autre» individuati da Toubert, occorre anche considerare che l’area che qui si studia fu priva di un centro capace di orientare nel suo complesso la circolazione monetaria regionale, quale fu Roma per il Lazio medievale. Di conseguenza il quadro geografico delle dina- miche monetarie, per quello che si può cogliere dalle fonti scritte, a partire almeno dalla fine dell’XI secolo si presenta in Piemonte con caratteri di note- vole complessità, diviso com’è, sia pure in modo non rigido, in aree dotate di una individualità derivante dall’affermazione in esse di circolanti specifici, in primo luogo con la funzione di monete di conto, irradiantisi da centri esterni al Piemonte stesso, quali la moneta pavese, la moneta milanese e la moneta pittavina. Nelle considerazioni finali si vedrà come un semplice confronto con situazioni coeve di altri ambiti territoriali di dimensione regionale, com- presi entro il Regnum Italiae, mostri la peculiarità del caso trattato in questo contributo. In riferimento alle specie monetarie appena citate, per avere chiaro quan- to si dirà nelle pagine che seguono, va ancora aggiunto che i movimenti delle monete emesse tra XI e XII secolo dalle due zecche di antica tradizione di Pavia e Milano7 (per le emissioni della zecca o delle zecche del Poitou l’essen- ziale è offerto da alcuni documenti studiati più avanti, nel quinto paragrafo)8 sono abbastanza ben noti, nonostante i limiti delle fonti archeologiche (le 7 Sul denaro pavese A. Rovelli, Il denaro di Pavia nell’alto medioevo (VII-XI secolo), in «Bollettino della Società pavese di storia patria», 95 (1995), pp. 71-90; si veda anche il lavoro di M. Matzke cit. oltre, nota 35; per il denaro milanese si vedano gli interventi di C. Brühl, M. Metcalf e O. Murari in La Zecca di Milano, Atti del Convegno internazionale di studio (Milano 9-14 maggio 1983), a cura di G. Gorini, Milano 1984, pp. 247 sgg.; L. Travaini, La moneta mila- nese tra X e XII secolo. Zecche e monete in Lombardia da Ottone I alla riforma monetaria di Federico Barbarossa, in Atti dell’11° Congresso internazionale di studi sull’alto medioevo (Milano, 26-30 ottobre 1987), I, Spoleto 1989, pp. 223-243. 8 Allo stato attuale non sono in grado di stabilire la provenienza precisa del denaro del Poitou, testimoniato dalle fonti oggetto di questa ricerca a partire dalla fine dell’XI secolo. Certo è che l’atelier monetario di Melle, presso le celebri miniere d’argento, ebbe una grande importanza per tutto l’alto medioevo: cfr. Spufford, Money and its use cit., pp. 32 sg., 44, e in particolare 55 sg.; M.-C. Bailly-Maître -P. Benoit, Le mines d’argent de la France médiévale, in L’argent au Moyen Âge, XXVIIe Congrès de la S.H.M.E.S. (Clermond-Ferrand, 30 mai-1er juin 1997), Paris 1998, pp. 17-45, in particolare pp. 21-25; per le coniazioni di Melle dei secoli X e XI si veda F. Dumas- Dubourg, Le trésor de Fécamp et le monnayage en Francie occidentale pendant la seconde moi- tié du Xe siècle, Paris 1971 (Comité de travaux historiques et scientifiques, Mémoires de la sec- tion d’archéologie, 1), pp. 241-244; non ho potuto consultare O. Jeanne-Rose, La monnaie en Poitou au début de l’époque féodale (fin IXe-début XIe siècle), in «Bulletin de la Société des anti- quaires de l’Ouest», 5 ser., 9 (1995), pp. 163-235 citato in M. Bompaire -F. Dumas, Numismatique médiévale, Turnhout 2000 (L’atelier du médiéviste, 7), p. 199 (e cfr. p. 106). Reti Medievali Rivista, 12, 1 (2011) <http://rivista.retimedievali.it>
monete stesse) e delle fonti scritte. Tra queste ultime di capitale importanza sono, come è noto, alcuni passaggi relativi al corso del denaro pavese conte- nute negli Annali genovesi di Caffaro, i cui particolari sono stati ben studiati da numismatici e storici della moneta tra Otto-e Novecento9. Caffaro ricordò che la moneta pavese, che ebbe corso a Genova fino al 1138, anno della con- cessione imperiale alla città del diritto di battere moneta, aveva subito nei primi due decenni del XII secolo due successivi indebolimenti10; riguardo al corso della moneta milanese, per il quale non si dispone di fonti cronachisti- che, è certo che un indebolimento analogo a quello subito dal denaro pavese al principio del secolo XII dovette avvenire nello stesso torno di tempo11 . Naturalmente, ciò che più conta per la mia indagine è stabilire la dinami- ca dell’affermazione e della sostituzione delle singole monete in ambito loca- le e regionale e, insieme, il significato storico di questi processi. Questo per quel tanto almeno – che, come si vedrà, non è davvero poco – che è consen- tito dallo studio delle fonti scritte e per i livelli di scambio che tali fonti testi- moniano12. Nel corso di questo lavoro traccerò prima, in una serie di paragrafi dedicati a singole realtà territoriali, un profilo particolareggiato della circola- 9 Annali genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori dal MXCIX al MCCXCIII, nuova edizione a cura di L.T. Belgrano, I, Genova 1890 (Fonti per la storia d’Italia, 11). Si vedano in particolare V. Capobianchi, Il denaro pavese e il suo corso in Italia nel XII secolo, in «Rivista italiana di numi- smatica», 11 (1896), pp. 21-60, in particolare pp. 28-47; M. Chiaudano, La moneta in Genova nel secolo XII, in Studi in onore di Armando Sapori, I, Milano 1957, pp. 189-214; C.M. Cipolla, Le avventure della lira, Bologna 1975 (ed. or. Milano 1958), pp. 22-24. 10 Fissò al 1102 (in realtà, come si vedrà, la data va anticipata di almeno due anni) la fine della moneta denariorum Papiensium veterum e il conseguente inizio della nova moneta brunito- rum, all’ottobre del 1115 la fine dei denarii bruni prioris nove monete e l’inizio della battitura dell’alia moneta minorum brunitorum: Annali genovesi di Caffaro cit., pp. 13, 15, 29. Come si vedrà nei paragrafi successivi, i dati documentari qui studiati, pur nelle loro specificità linguisti- che, coincidono e talvolta anticipano le notizie relative ai mutamenti monetari ricordati dalle fonti cronachistiche: si vedano le interessanti considerazioni di P. Grillo, La moneta coniata nella documentazione privata del XIII secolo in area lombarda. Fra città e campagna (1200- 1260), in La moneta in ambiente rurale nell’Italia tardomedioevale, Atti dell’Incontro di studio (Roma, 21-22 settembre 2000), a cura di P. Delogu e S. Sorda, Roma 2002, pp. 37-57. 11 Cfr. Capobianchi, Il denaro pavese cit., pp 30-33. Una dinamica di indebolimenti molto simi- le, anche sotto il profilo cronologico, a quella del denaro pavese conobbe anche il denaro lucche- se: M. Matzke, Der Denar von Lucca als Kreuzfahrermünze, in «Schweizer Münzblätter», 43 (1993), pp. 36-44; ma soprattutto M. Matzke, Vom Ottolinus zum Grossus: Münzprägung in der Toskana vom 10. bis zum 13. Jahrhudert, in «Schweizerische Numismatische Rundschau», 72 (1993), pp. 135-200. 12 Per quel che riguarda le fonti numismatiche, è nota la rarità dei rinvenimenti di denari caro- lingi e postcarolingi; i ritrovamenti monetali riprendono con i denari d’età ottoniana, ma soprat- tutto poi con i cosiddetti denari enriciani, a partire dall’XI secolo: Rovelli, La funzione della moneta tra l’VIII e il X secolo cit., che ritiene, contro le tesi toubertiane (vedi il lavoro cit. sopra, nota 3), che tale rarità vada ricondotta all’alto potere liberatorio del denaro dei secoli IX-X che l’avrebbero reso adatto solo per la fascia medio alta degli scambi. La studiosa è tornata di recen- te sull’argomento con un ampio contributo (Coins and trade in early medieval Italy cit.) in cui ribadisce con chiarezza le sue posizioni: «The picture resulting from the archaeological evidence should (…) be seen not simply as a chance ‘absence of evidence’, but rather as negative eviden- ce, which has to be taken into account when determining the level of monetization of Italian society in the Carolingian period» (pp. 48 e cfr. pp. 66 sgg.). Si veda in proposito Feller, Les con- ditions de la circulation monétaire cit., pp. 73 sgg. Reti Medievali Rivista, 12, 1 (2011) <http://rivista.retimedievali.it>
Antonio Olivieri zione monetaria nel periodo considerato, poi in un paragrafo conclusivo pro- verò a tirare le fila del discorso. Ora, prima di entrare nel vivo della ricerca, occorre spendere alcune parole sia intorno alla costituzione del campo di indagine sia sui problemi di metodo connessi con le ricerche di storia della moneta medievale. Riguardo alla delimitazione del campo di indagine sono state compiute scelte nette, decidendo, in primo luogo, di privilegiare le testimonianze offerte dalle fonti d’archivio, vale a dire soprattutto, anche se non esclusivamente, le carte nota- rili; in secondo luogo si è operato un taglio territoriale e cronologico connes- so, per l’essenziale, con l’esigenza pratica di operare in un quadro abbastan- za vasto da consentire sia il confronto tra un gruppo significativo di situazio- ni diverse sia l’osservazione di sviluppi diacronici di respiro più che secolare. Allo stesso tempo, però, nell’operare le scelte cui si è appena accennato, si è badato a far sì che la vastità del materiale da indagare non eccedesse i limiti imposti dall’esigenza di un approccio analitico alle fonti. Queste ultime, d’altra parte, per la loro natura e per i caratteri della tra- dizione archivistica subalpina, costituiscono di per sé un quadro condizio- nante sia sotto un profilo cronologico sia dal punto di vista spaziale. Mentre per i secoli IX e X gli unici aggregati documentari quantitativamente signifi- cativi sono costituiti dalle carte astigiane e novaresi, per il periodo successi- vo il quadro regionale, che si può deliberatamente far coincidere con gli spazi geografico-amministrativi dell’attuale Piemonte13, si presenta fortemente dis- eguale per quel che riguarda le fonti documentarie disponibili, soprattutto quando le si esamini dal punto di vista che qui si assume. Se infatti è vero che nell’ambito regionale è dato riscontrare per il periodo prescelto la presenza di vaste aree nettamente sottodocumentate, quello che più importa è che nella documentazione in largo senso privata le carte attestanti passaggi di denaro all’atto della stipula (il prezzo nelle compravendite, l’entratura in certe con- cessioni di beni immobili, ecc.) o l’imposizione di pagamenti unilaterali dif- feriti, periodici o meno (censi e canoni, restituzioni, penalità, ecc.)14, non sempre sono presenti in quantità significative nell’XI secolo e persino nei decenni immediatamente successivi15. È il caso di tutto il Piemonte meridio- 13 Cfr. Premessa degli autori in Piemonte medievale. Forme del potere e della società. Studi per Giovanni Tabacco, Torino 1985, pp. XI-XV. 14 Per questo si veda C.M. Cipolla, Moneta e civiltà mediterranea, Venezia 1957 (traduzione ita- liana, con modifiche e aggiunte, dell’edizione americana del 1953), pp. 13 sgg. che rimanda alla chiara distinzione operata da Hans von Werveke nella sua recensione al libro di Alfons Dopsch, Naturalwirtschaft und Geldwirtschaft in der Weltgeschichte uscito a Vienna nel 1930, in «Annales d’histoire économique et sociale», 3 (1931), pp. 428-435. 15 Dal campo di ricerca restano esclusi quindi tutti i documenti in cui la moneta non è menzionata o è menzionata soltanto nelle fomulazioni cristallizzate delle clausole penali altomedievali (diverso è il discorso, come si vedrà, per le penali a partire all’incirca dalla fine dell’XI secolo), che spesso non menzionano neppure moneta vera e propria ma quantità di metallo non monetato («multa quod est pena auro obtimo uncias tres, argenti ponderas sex»: per fare un esempio tra i tanti pos- sibili: BSSS 78, p. 92, doc. 59 del 966). Resteranno esclusi quindi i diplomi imperiali, le donazioni e le permute, che sono anche i documenti più numerosi per buona parte dell’XI secolo. Reti Medievali Rivista, 12, 1 (2011) <http://rivista.retimedievali.it>
nale, vasta area nella quale la documentazione che qui interessa è assente per tutto il periodo prescelto16; del Vercellese, per il quale essa inizia solo negli anni finali dell’XI secolo, e del vicino Monferrato, l’area collinare posta sul- l’altra riva del Po, per il quale le carte della canonica di Sant’Evasio di Casale (oggi Casale Monferrato) restituiscono una situazione sotto questo riguardo del tutto simile17 . Un quadro completo dei caratteri della tradizione documentaria subalpi- na, pur limitato al periodo e alle aree prescelte, è fuori dalla portata di questo contributo. D’altra parte alcuni aspetti strutturali di tale tradizione si possono ricavare dalle pagine che seguono. Qui sarà utile piuttosto tentare di trarre subito alcune conseguenze da quanto sin’ora detto: il corpus delle fonti stu- diate in questa ricerca è costituito, come si accennava, dalla documentazione di acquisizioni onerose di beni immobili e dalle carte che attestano il diritto a ricevere (o il dovere di pagare, come nel caso delle clausole penali) prestazio- ni future in denaro. Carte di quest’ultimo tipo costituiscono, almeno in certi periodi, un genere tipico di produzione documentaria ecclesiastica: per resta- re a ciò che costituisce oggetto di questo studio, un gruppo significativo di con- cessioni di terre in censo lo si ha soltanto per Torino e il suo territorio, con l’importante serie di documenti del monastero di San Solutore e con la serie più limitata numericamente, ma interessante, di carte della chiesa urbana di San Benedetto. Documenti consimili sotto il profilo tipologico restituiscono gli archivi delle chiese urbane e rurali del novarese, sia pure in numero limitato; qualche carta dello stesso genere hanno conservato la cattedrale di Santa Maria e il monastero di Santo Stefano di Ivrea. Fatta eccezione per qualche pezzo sparso, non si ha nulla di paragonabile per altri enti religiosi dell’area subalpina, e ciò naturalmente condiziona i risultati della ricerca. Per ciò che riguarda invece i trasferimenti onerosi di immobili il discorso è ancora diver- so. Nel periodo considerato gli enti religiosi, come è persino troppo noto, hanno raramente acquisito beni fondiari a titolo oneroso; più spesso li hanno alienati in modo mascherato, concedendoli a lungo termine o anche in perpe- tuo per censi tenui, ma facendo pagare un’entratura che non sempre è docu- mentata. Eppure i loro archivi non sono in genere privi di carte di vendita, anzi 16 Fa eccezione una vendita del 1018, di tradizione peraltro assai incerta, sulla quale si veda P. Guglielmotti, I signori di Morozzo nei secoli X-XIV. Un percorso politico del piemonte meridio- nale, Torino 1990 (BSS, 206), pp. 36, 39 sgg. 17 Si è scelto deliberatamente di escludere dalla ricerca Tortona e Voghera, entrambe saldamen- te comprese nell’area monetaria pavese. Per quanto riguarda la superstite documentazione tor- tonese, che non reca indicazioni di origine della moneta prima del 1114, si vedano BSSS 29, pp. 44 sgg., docc. 31, 34, 38, 44, 46, 48, 49; BSSS 31, pp. 5 sgg., docc. 2, 62, 63; BSSS 47, pp. 78 sgg., docc. 48, 50. Pur essendo indubitabile che all’interno del territorio vogherese la moneta pavese circolò in assenza di concorrenze significative, occorre notare che le diverse raccolte di docu- menti relativi a Voghera pubblicate dagli editori della Biblioteca della Società storica subalpina sono costituite quasi esclusivamente di documenti prodotti per enti o persone esterne a Voghera (nella grande maggioranza dei casi si tratta di enti e persone pavesi) che per qualche particola- re, spesso la posizione del bene fondiario oggetto del negozio, si riferiscono a Voghera: si veda- no BSSS 46 e BSSS 47. Reti Medievali Rivista, 12, 1 (2011) <http://rivista.retimedievali.it>
8 Antonio Olivieri in alcuni casi – in particolare quello della cattedrale di Santa Maria di Novara e del monastero suburbano di San Lorenzo, le cui carte fanno parte dell’archi- vio della cattedrale – sono caratterizzati da una notevole ricchezza di perga- mene contenenti la documentazione di compravendite stipulate tra privati, acquisite nel momento in cui i beni di cui documentavano le vicende entraro- no a far parte del patrimonio dell’ente in questione. Si tratta di meccanismi ben noti18, sui quali tuttavia è bene qui richiama- re l’attenzione perché alcuni aspetti importanti della circolazione monetaria del secolo XI vengono alla luce proprio grazie a carte di questo tipo; dove invece documenti di questo genere mancano, questi medesimi aspetti resta- no del tutto oscuri. I motivi di tali assenze sono talvolta intuibili (penso soprattutto alle travagliate vicende vercellesi ed eporediesi nell’età di Arduino e alle pesanti ripercussioni sui patrimoni ecclesiastici che esse ebbe- ro19), altre volte restano oscuri. In ogni caso, non tutto va attribuito agli acci- denti della tradizione archivistica: la vivacità della società e dell’economia novaresi dell’XI secolo non trovano sicuri riscontri nelle altre zone studiate. In queste ultime gli scambi che comportano passaggi di numerario sembrano acquisire un certo dinamismo solo a partire degli ultimi decenni del secolo. Quanto ai problemi di metodo posti dalle ricerche di storia monetaria medievale cui prima accennavo, dati i caratteri del mio contributo non riprenderò la discussione sulle cautele da adottare nell’esame delle fonti archeologiche (le monete stesse)20. Resta, è vero, una certa differenza di com- portamento da parte dei numismatici riguardo alle tecniche di costituzione del quadro delle fonti su cui vengono effettuate le ricerche. In ogni caso è il rapporto tra i dati che emergono dall’analisi delle fonti scritte e i risultati delle indagini numismatiche, talvolta in apparenza contraddittorio, a essere occasione di vivaci dissensi tra gli storici e alcuni numismatici21 . Sembra 18 Cfr. P. Cammarosano, Italia medievale. Struttura e geografia delle fonti scritte, Roma 1991, pp. 49 sgg., in particolare p. 55. 19 Cfr. C. Violante, La società milanese nell’età precomunale, Roma-Bari 1981 (prima ed. Bari 1953), pp. 194 sgg., 272 sg.; G. Arnaldi, Arduino, re d’Italia, in Dizionario biografico degli ita- liani, 4, Roma 1962, pp. 53-60; Sergi, I confini del potere cit., pp. 189 sgg.; per il Vercellese in particolare F. Panero, Una signoria vescovile nel cuore dell’Impero. Funzioni pubbliche, diritti signorili e proprietà della Chiesa di Vercelli dell’età tardocarolingia all’età sveva, Vercelli 2004, pp. 77 sgg. 20 Un quadro aggiornato sulla questione in Bompaire -Dumas, Numismatique médiévale cit., pp. 233-285. Per i problemi generali di metodo relativi ai tesori monetari o ai pezzi dispersi rinve- nuti per caso o nel corso di scavi archeologici si veda la bibliografia cit. da Rovelli, Coins and trade cit., p. 46; in particolare per il territorio italiano le considerazioni di E.A. Arslan nel suo intervento in La moneta in ambiente rurale nell’Italia tardomedioevale cit., pp. 119 sgg. 21 Si vedano per esempio gli atti del convegno del 1992 sulla circolazione della moneta battuta a Friesach, in Carinzia: Die Friesacher Münze im Alpen-Adria-Raum, Akten der Friesacher Sommerakademie Friesach (Kärnten), 14. bis 18. September 1992, in Verbindung mit M.J. Wenninger herausgegeben von R. Härtel, Graz 1996. Rimando, in particolare, a R. Härtel, Der Münzlauf im Patriarchat Aquileia aufgrund der Schriftquellen, pp. 405-443 a proposito della circolazione del denaro frisiacense nel patriarcato di Aquileia e al notevole saggio di A. Saccocci, La monetazione dell’Italia nord-orientale nel XII secolo, pp. 285-306: per la posizione di que- sto autore, che limita drasticamente il valore delle testimonianze scritte, si veda più in generale Reti Medievali Rivista, 12, 1 (2011) <http://rivista.retimedievali.it>
emergere, in particolare, una tendenza, forse non del tutto nuova, a svaluta- re il contributo che le fonti scritte possono recare alla conoscenza dei carat- teri della circolazione monetaria medievale e della nozione che di essa aveva- no i contemporanei: aspetto, quest’ultimo, di cui mi sembra difficile soprav- valutare il rilievo. Le obiezioni di maggiore rilievo sono in sostanza due, la prima delle quali investe la grande questione della moneta di conto e della sua natura, l’altra quella della “legge di Gresham”. Riguardo alla moneta di conto, misura di valore per i pagamenti e dunque anche strumento di rag- guaglio tra circolanti concorrenti di valore ineguale, gli storici hanno da tempo espresso sfiducia verso l’ipotesi che tale moneta potesse in certi casi essere un termine di riferimento del tutto sganciato da una moneta reale cor- rente o in corso in un passato più o meno recente22. La moneta di conto non è, insomma, mai stata «some kind of a standard suspended in mid-air like Rodilard, the cat, in one of the fables of La Fontaine»23. Qui occorre restrin- gere il discorso al periodo e all’area che interessa, e quindi alle particolari condizioni della circolazione monetaria nell’Italia centro-settentrionale tra l’XI e la metà circa del XII secolo. Esse, come si è in parte già detto, differen- ziano in modo marcato quest’area sia rispetto alle situazioni coeve che è dato riscontrare oltralpe (in particolare nei territori delle attuali Francia e Germania) sia rispetto alla situazione italiana posteriore, caratterizzata prima dal fiorire delle zecche comunali e poi dalla coniazione della moneta “grossa” argentea. Per l’area e il periodo di cui ci si occupa in questo contri- A. Saccocci, Ritrovamenti monetali e fonti scritte in epoca medievale: problemi di interpreta- zione, in Ritrovamenti monetali nel mondo antico: problemi e metodi, Atti del Congresso Internazionale (Padova, 31 marzo-2 aprile 2000), a cura di G. Gorini, Padova 2002, pp. 284-294. Sul problema della apparente contraddittorietà dei risultati delle indagini sulle fonti d’archivio e delle indagini archeologiche si vedano le considerazioni, vertenti sui diversi livelli di scambio testimoniati da fonti di diversa natura, di A. Rovelli, La funzione della moneta tra l’VIII e il X secolo. Un’analisi della documentazione archeologica, in La storia dell’alto medioevo italiano (VI-X secolo) alla luce dell’archeologia cit., pp. 521-537. Una sintesi ragionata e ricca di esempi sui rapporti tra indagini basate su fonti archeologiche e ricerche basate su fonti scritte in Ch. Wickham, Fonti archeologiche e fonti storiche: un dialogo complesso, in Storia d’Europa e del Mediterraneo, diretta da A. Barbero, IV, Il Medioevo (secoli V-XV), a cura di S. Carocci, IX, Strutture, preminenze, lessici comuni, Roma 2007, pp. 15-49, in particolare pp. 34-40. 22 Rimando qui, scegliendo all’interno di una bibliografia vasta e comprensiva di opere di grande valore, ad alcune recenti messe a punto sull’argomento: oltre al quadro aggiornato (al 2000), comprensivo di una bibliografia selettiva, offerto da Bompaire -Dumas, Numismatique médié- vale cit., pp. 318-336, si veda la chiara messa a punto di Spufford, Money and its use cit., pp. 411- 414 (dove si legge, a proposito della «misnomer ‘imaginary money’», che «on closer inspection an historical explanation may be found for the existence of each money of account and that such an historical explanation will indicate to which real coin the system continued to be attached», pp. 413 sg.), e l’ampia sintesi problematica di J. Day, The problem of the standard in preindu- strial Europe (Thirteenth-Eighteenth centuries), in Fra spazio e tempo. Studi in onore di Luigi De Rosa, a cura di I. Zilli, I, Napoli 1995, pp. 309-359. Per un punto di vista diverso A. Saccocci, Una storia senza fine: le monete di conto in Italia durante l’alto medioevo, in «Annali dell’Istituto italiano di numismatica», 54 (2008), pp. 47-85. 23 R. De Roover, Money, Banking and Credit in Mediaeval Bruges -Italian Merchant-Bankers Lombards and Money-Changers. A Study in the Origins of Banking, Cambridge (Mass.) 1948, p. 220. Reti Medievali Rivista, 12, 1 (2011) <http://rivista.retimedievali.it> buto la situazione è relativamente semplice: basti ripetere che l’accentuato polimorfismo del denaro d’argento, dovuto in Francia e Germania al fiorire delle zecche signorili, nell’Italia centro-settentrionale non esistette, dato che essa rimase sostanzialmente fedele, per ripetere la formulazione di Pierre Toubert, ai quadri tecnici e istituzionali della moneta publica di tradizione carolingia, con le sue poche zecche di tradizione regia e imperiale24. Come si vedrà, fino all’irruzione del denaro del Poitou e ai successivi indebolimenti dei denari battuti dalle zecche di Pavia e di Milano, in Piemonte le monete circolanti al livello degli scambi testimoniati dalle carte notarili furono sol- tanto quelle coniate nelle due città appena menzionate. Questo non significa che non si sentisse il bisogno di standard monetari di riferimento e quindi che le menzioni di una determinata moneta non potessero rimandare, oltre e più che ai denari sonanti provenienti da una certa officina monetaria, anche al numerario prodotto dalla stessa officina in quanto misura di valore25. Chi sa in che modo venivano effettuati i grossi pagamenti? Doveva certo trattarsi di operazioni lunghe nel corso delle quali, se venivano effettuate in sola moneta, non è improbabile che si ricorresse anche alla pesatura delle specie, che potevano non essere del tutto omogenee tra loro. Inutile moltiplicare le ipotesi. D’altra parte, pur essendo le fonti scritte in genere avare di informa- zioni, alcuni fatti risaltano con sufficiente evidenza: nel terzo paragrafo di questo contributo si vedrà come le menzioni di moneta etichettata nelle carte della prima metà dell’XI secolo novarese costituiscano chiara testimonianza non solo del disallineamento dei denari battuti dalle due zecche di Pavia e Milano26, già altrimenti noto, ma anche, dato l’alternarsi delle indicazioni di provenienza, del fatto che a livello locale non fosse ancora stato individuato uno stabile standard monetario. Va aggiunto che in genere quest’ultimo, data la sua funzione, tende a fissarsi sulla moneta più debole tra quelle concor- renti: l’abbassamento del valore (la diminuzione del contenuto di fino) della moneta che funge da standard reca con sé un raffinamento delle sue poten- zialità di strumento di misura del valore, come avevano compreso gli esperti della moneta già nei secoli passati27. Per questa ragione il carattere di misura 24 Cfr. sopra, nota 3. 25 Cfr. del resto Spufford, Money and its use cit., p. 411. Per la tendenza a interpretare in modo sistematico le attestazioni di moneta etichettata soprattutto come testimonianze relative all’ado- zione di un certo standard valutario si veda Matzke, Vom Ottolinus zum Grossus cit., p. 137 («So erlaubt die reiche Überlieferung von Immobiliengeschäften in den italienischen Archiven, meist mit Zahlungsangaben in spezifierten Münzsorten, spätestens ab dem 12. Jahrhundert eine recht genaue Umschreibung von Währungsgebieten (nicht Verbreitungsgebieten!) von Münzsorten») e un esempio a p. 147. 26 Il rapporto tra le due monete è noto per il principio dell’XI secolo: un diploma del 1013 di Enrico II per il monastero di Sant’Abbondio di Como – Die Urkunden Heinrichs II. und Arduins, Hannover 1900-1903 (Monumenta Germaniae Historica, Diplomata regum et imperatorum Germaniae, III), doc. 275, pp. 324 sg. – indica un rapporto di equivalenza di undici lire di dena- ri milanesi con dieci lire di denari pavesi: C. Brühl -C. Violante, Die “Honorantie Civitatis Papie”. Transkription, Edition, Kommentar, Köln-Wien 1983, pp. 52 sg. 27 Si vedano, per esempio, le osservazioni dell’economista settecentesco Pompeo Neri: essendosi «il grado del valore dinotato sotto il nome di lira (...) col decorso dei tempi sempre diminuito, è Reti Medievali Rivista, 12, 1 (2011) <http://rivista.retimedievali.it> di valore si adattò bene alla fine dell’XI secolo e primi due decenni del XII al denaro pittavino, al denaro nuovo di Pavia o al denaro bruno di Milano – se ne parlerà ampiamente in questo lavoro. E tuttavia bisogna ritenere che que- ste stesse monete dovettero avere la funzione di monete di conto anche, ma in modo più complesso, poco più avanti nel tempo, quando è noto che il com- posito insieme degli scambi – composito perché da ricondurre a livelli della vita economica assai diversi tra loro – poté giovarsi di circolanti ulterior- mente indeboliti nell’intrinseco, che le fonti oggetto di questo studio conti- nuarono a ignorare. La moneta di conto è insomma, dal punto di vista concettuale, uno stru- mento assai delicato, mai documentato in modo chiaro dalle fonti del perio- do che qui interessa, ma di cui tenere sempre conto28, anche se, naturalmen- te, non è una chiave che possa aprire