Utente:Mizardellorsa/Tiraboschi-2-1cap9
145 Girolamo Tiraboschi, Storia della Letteratura Italiana Tomo II, Modena 1787 Capo IX – Biblioteche I. Le pubbliche Biblioteche aperte in Roma prima da Asinio Pollione e poscia da Augusto, delle quali nel precedente Volume si è ragionato, doveano facilmente risvegliare nell’animo de’ seguenti Imperadori il pensiero di imitare la loro munificenza. In fatti Tiberio, che pur non fu certamente Protettor delle lettere, par nondimeno, che un’altra pubblica Biblioteca aprisse in Roma. Gellio ne fa menzione: Cum in domus Tiberianæ Bibliotheca sederemus1; e Vopisco ancora: Libri ex Bibliotheca Ulpia... item ex domo Tiberiana2. Noi non troviam veramente presso alcun degli Storici, che ne hanno scritta la Vita, memoria alcuna di questa Biblioteca di Tiberio. Ma le parole de’ due allegati Scrittori sembra, che avere non possano altro senso. Noi troviamo in Tacito, ch’egli innalzò un tempio ad Augusto3; e forse ad esso contigua era la Biblioteca, come contigue ad altri tempj eran quelle di Pollione e di Augusto. II. Ma troppo funesto alle Romane Biblioteche fu l’Impero di Nerone. Nell’orribile incendio, che da Svetonio4 e da Dione5 e da altri più recenti Scrittori si dice espressamente eccitato per voler di Nerone, ma da Tacito si lascia in dubbio, se forse non avvenisse a caso6, in questo incendio, dico, le Biblioteche ancora furono almeno in gran parte preda del fuoco. Tacito annoverando i danni, ch’esso produsse, e le cose di grandissimo pregio, che ne furono consumate, nomina monumenta ingeniorum antiqua & incorrupta. La Biblioteca Palatina singolarmente dovette soffrirne; poiché, secondo lo stesso Tacito, l’incendio ebbe principio a quella parte del Circo, che era vicina al colle Palatino e al Celio, e dopo essersi sparso pel piano salì ancora all’alto, ed ogni cosa distrusse. Egli è facile a immaginare l’immenso danno, che ne seguì a ogni genere di Letteratura e di Scienza. A que’ tempi, in cui sì rare eran le copie de’ libri, e in cui il sapere era quasi tutto rinchiuso entro le mura di Roma, moltissimi libri dovettero perdersi interamente. Noi forse a quest’incendio dobbiamo il non essere annojati dalle Opere de’ cattivi Scrittori; che essendovene pochissime copie, saranno allora per buona sorte irreparabilmente perite; ma ad esso dobbiamo ancora la perdita di tante pregevolissime opere de’ migliori Autori, che essendo state composte non molti anni prima, e non essendosene perciò ancora moltiplicate assai e sparse in ogni parte le copie, furon consunte dal fuoco senza speranza di ripararne la perdita. A questo un altro incendio si aggiunse alcuni anni dopo, cioè a’ tempi di Tito, in cui per tre giorni continui le fiamme fecer in Roma orribil rovina7. In esso tra gli edificj distrutti dal fuoco Dione annovera8 il portico di Ottavia insiem co’ libri, cioè la Biblioteca, che ivi era stata posta da Augusto, e che nell’incendio di Nerone era rimasta illesa; e in questo ancora è probabile, che molti libri perissero interamente. III. Di Vespasiano non ci narrano gli antichi Storici, che pensasse ad aprire nuove Biblioteche. Nondimeno troviam nominata in Gellio la Biblioteca del tempio della Pace9, e di essa fa menzione Galeno ancora10. Or questo tempio fu opera di Vespasiano, che con esso volle eternare la memoria del trionfo, che riportato avea de’ Giudei e della distruzione di Gerusalemme11. Egli vi raccolse quanto di più raro poté trovare in ogni parte del mondo, singolarmente molti ornamenti del Tempio trasportati da Gerusalemme a Roma12; il libro sol della Legge e le cortine di porpora del Santuario volle che serbate fossero nel suo palazzo. Egli è dunque probabile, che in questa occasione egli a questo tempio aggiugnesse ancora una Biblioteca. Anzi, se mi è lecito il proporre una mia conghiettura, parmi assai verisimile, che molti Codici Ebraici vi fossero allor collocati. Troppo avidi erano i Romani di raccoglierne da ogni parte, ed avendo essi trovati nella presa di Gerusalemme non pochi libri in caratteri e in lingua ad essi comunemente ignota, egli è facile a pensare, che seco dovettero portali a Roma, dove in niun altro luogo dovean esser meglio riposti, che in quello, ove serbavansi le altre spoglie e gli altri monumenti di tal conquista. 146 IV. Nondimeno la gloria di aver riparato il danno, che i due suddetti incendj recato aveano alle Romane Biblioteche, si attribuisce comunemente a Domiziano. Questi, a cui per altro dee assai poco la Romana Letteratura, si diè gran pensiero, come narra Svetonio13, di rinnovare le Biblioteche dall’incendio distrutte; e non solo raccolse con grande spesa e da ogni parte quanti libri poté trovare, ma spedì uomini dotti fino in Alessandria, ove allora fiorivan gli studj, perché vi facessero copia de’ libri, che ivi trovassero. E pare, che la Palatina Biblioteca singolarmente fosse quella, al cui ristoramento pensò Domiziano; poiché essendo probabile assai, che essa fosse incendiata sotto Nerone, veggiamo ciò non ostante, che se ne fa menzione ancora da’ posteriori Scrittori. Giusto Lipsio crede ancora probabile14, che al medesimo Domiziano si debba attribuire la Biblioteca del Campidoglio, che poscia regnando Commodo fu per incendio distrutta. Ma vedremo tra poco, che più verisimilmente deesi credere, che ne fosse fondatore Adriano. V. Trajano ancora segnalò in questo la sua magnificenza coll’aprire una nuova Biblioteca, che dal suo nome fu detta Ulpia. Pare, che di questa Biblioteca si faccia menzione in una Medaglia di Trajano riferita dal Conte Mezzabarba15; ma l’esserne in parte smarriti i caratteri non lascia accertarne il senso. Più chiaramente vedesi in un’altra Medaglia nominata la Basilica Ulpia16, a cui la Biblioteca dovea essere annessa. Di essa fanno pure menzione e Gellio, che rammenta gli Editti degli antichi Pretori, che ivi eran raccolti17, e Vopisco, che nomina ancora i libri di lino, che vi si conservavano. Linteos etiam libros requiras, quos Ulpia tibi Bibliotheca, quum volueris, ministrabit18; e altrove dice, che a suo tempo essa era situata alle Terme di Diocleziano19. Che fossero i libri di lino mentovati da Vopisco, non è di quest’Opera l’esaminarlo. Anche Livio20 e Plinio il vecchio21 ne parlano; ma in modo, che sembra, ch’essi si usasser solo a’ tempi più antichi. Certo non era carta fatta di lino, come la nostra; ma pare anzi, che fossero pezzi di lino, su cui si scrivesse. Così ancora il libro Elefantino della stessa Biblioteca, che altrove rammentasi da Vopisco22, a me par probabile, come pensa il Salmasio23, che altro non sia che un libro formato di tavolette di avorio. Ma di ciò veggansi il Guilandino nella sua Opera intitolata Papyrus, il P. Montfaucon nella sua Palæographia Græca, e gli altri trattatori di somigliante argomento. VI. Abbiam di sopra accennata la Biblioteca del Campidoglio, che da Giusto Lipsio si crede essere stata opera di Vespasiano; e che fu poscia incendiata a’ tempi di Commodo, come a suo luogo diremo. Il Conringio pensa al contrario24, ch’ella non fosse diversa da quella del Tempio della Pace; e l’argomento, ch’egli arreca a provarlo, si è, che questo Tempio era presso il Foro, cioè alle falde del Campidoglio. Ma in questo egli certamente ha preso errore. Il Tempio della Pace era presso il Foro bensì, non però presso il Foro grande, che era alle falde del Campidoglio, ma presso un altro Foro detto Transitorio, come raccogliesi dall’antica descrizione di Roma pubblicata dopo altri dal Muratori25, ove questo Foro insieme col Tempio della Pace è posto nella quarta Regione; al contrario il Campidoglio insieme col Foro grande è posto nell’ottava. Più probabile sembra la conghiettura del Padre Alessandro Donati della Compagnia di Gesù, che nell’erudito suo libro stampato in Roma l’anno 1648 è intitolato Roma vetus & recens, riflettendo, come abbiam di sopra narrato, che Adriano fece fabbricare sul Campidoglio le pubbliche scuole, pensa26, che ivi ancora egli aprisse a vantaggio di que’, che le frequentavano, una pubblica Biblioteca. Di Adriano pure pensano alcuni che fosse una Biblioteca in Tivoli, che si accenna da Gellio27; ma oltreché altri leggono diversamente que’ passi, non vi ha alcun fondamento bastevole a provarlo. VII. Sarebbe a desiderare, che gli Storici, i quali di tutte queste Biblioteche ci han lasciata memoria, ci avessero ancor tramandati i nomi de’ valentuomini, a’ quali ne fu affidata la cura. Ma niuno ne troviam nominato nelle loro Storie. A questo mancamento però suppliscono almeno in parte le antiche Iscrizioni, nelle quali veggiamo espressi i nomi di alcuni di essi. E singolarmente a’ tempi di Claudio alcuni liberti si veggono, che da lui aveano preso il nome, e a questo impiego erano da lui destinati. Tali sono: Ti. Claudius Augusti L. Hymenæus Medicus a Bibliothecis in una Iscrizione presso il Muratori28; e Ti. Claudius Alcibiades Mag. a Bybliotheca Latina Apollinis, item Scriba ab Epistulis Lat. presso il medesimo29; e forse il medesimo impiego avea un altro, che ivi pure si dice: Ti. Claudius Lemnius Divi Claudii Augusti Lib. a Studiis30; E finalmente: Antiochus Ti. Claudii Cæsaris a Bybliotheca Latina Apollinis31. Questo Antioco non era Liberto, ma forse un 147 erudito straniero venuto a Roma. Gli altri tre eran Liberti; e già abbiamo veduto altrove, che spesso ad essi affidavansi tali impieghi; il che non dee sembrare strano sotto il regno di Claudio, che fu il Regno de’ Liberti. Di un altro Bibliotecario ci ha lasciata memoria Suida, cioè di Dionigi Alessandrino figliuol di Glauco e di professione Gramatico, il quale, dice egli, a tempo di Nerone e de’ seguenti Imperatori fino a Trajano fu soprastante alle Biblioteche, e impiegato ancora nello scriver lettere e rescritti, e nelle Legazioni. Aggiugne, che fu Maestro del Gramatico Partenio, e scolaro del Filosofo Cheremone, di cui era stato successore in Alessandria. In un’altra Iscrizione si legge: T. Flavius a Biblioth. Græc. Pal.32. Questi potrebb’essere un Liberto o di Vespasiano, o di Tito, o di Domiziano, che tutti furon Flavii. Ma come Domiziano fu quegli, come abbiam detto, che rinnovò le Biblioteche dall’incendio distrutte, e la Palatina singolarmente, che qui vedesi nominata, è probabile, che questa Iscrizione appartenga a’ tempi di questo Imperadore. Finalmente abbiamo una Iscrizione di uno, il cui nome è smarrito, ma che dicesi Procurator di Adriano in molte Provincie dell’Asia, e insieme Proc. Bibliothecar. Græc. & Latin.33 VIII. Colla munificenza degli Imperadori nell’aprire pubbliche Biblioteche gareggiò il lusso ne’ privati nel formarle entro le domestiche mura. Io non penso, che alcuno desideri, ch’io qui annoveri tutti quelli, che aveano Biblioteca nelle proprie lor case. Basti l’accennarne alcuni pochi per saggio. Una piccola Biblioteca di settecento libri avea il Poeta Persio; cui egli morendo lasciò al suo amicissimo filosofo Anneo Cornuto34. Avea pure la sua Giulio Marziale mentovata dal Poeta dello stesso nome35; la sua il Poeta Silio Italico, come narra Plinio il giovane36, il quale ancor fa menzione di quella di Erennio Severo37. Ma celebre singolarmente fu quella del Gramatico Epafrodito nativo di Cherona, che visse in Roma da’ tempi di Nerone fino a’ que’ di Nerva; perciocché egli, bensì schiavo, seguendo l’esempio di Tirannione, di cui si è parlato nel primo volume, raccolse, se dobbiam credere a Suida38, una Biblioteca di trentamila volumi scelti e rari. Potrebbe parer qui luogo opportuno a ragionar della Biblioteca, che Plinio il giovane aprì in Como a beneficio de’ suoi Concittadini; ma ci riserberemo a parlarne nel terzo libro, ove raccoglieremo tutto ciò, che appartiene, per così dire, alla Letteratura Provinciale d’Italia. IX. Era in somma così frequente l’uso delle private Biblioteche, che appena eravi uom facoltoso, che non avesse la sua, e il lusso, che di questi tempi era eccessivo in Roma, davasi palesemente a vedere in esse ancora, e si gareggiava a chi poteva andare più oltre. Quindi il severo Seneca riformator rigoroso degli altrui vizj più che deì suoi contro di questo abuso ancora fa un’amara invettiva: E a che giovano, dice39, gli innumerabili libri, e le Biblioteche, il cui padrone appena in tutta la sua vita ne legge gli indici? La moltitudine confonde, e non istruisce chi studia; ed è assai meglio il restringersi a pochi autori, che scorrerne molti. Quattrocento mila libri arsero in Alessandria, monumento illustre di Regia magnificenza. Altri la loderanno, come fa Livio, il qual dice, che fu pregevole opera della eleganza e della sollecitudine de’ Re d’Egitto. No non fu ella eleganza né sollecitudine; fu piuttosto un letterario lusso; anzi nemmen letterario. Perciocché non allo studio, ma alla pompa fu indirizzato; come alla più parte degli uomini, che ignorano anche i primi elementi, i libri non son già ajuto allo studio, ma ornamento delle sale di convito. Abbiansi dunque i libri che bastano; ma non se ne faccia spettacolo. Egli è pur meglio, dirai, l’impiegare in ciò il denaro che in bronzi o in quadri. Tutti ciò, che è soverchio, è ancora vizioso. Perché vuoi tu perdonare a un uomo, che adorna gli armarj di avorio e di cedro, che raduna gran copia di autori o sconosciuti o disprezzati, e che si sta sbadigliano fra migliaja di libri, de’ quali sol gli piacciono i titoli e i frontespizj? Tu vedrai i più oziosi raccoglier quante vi sono Orazioni e Storie; e nelle lor case le scansie sollevantisi fino al tetto. Perciocché omai nel bagno ancora e nelle terme si forma una Biblioteca, come ornamento necessario di una casa. Io il soffrirei, se ciò nascesse da soverchio amore di studio; ma tutti questi libri e le immagini de’ loro autori da ogni parte si cercano solo a pompa e ad ornamento delle pareti. Fin qui Seneca, il quale, se è vero, che avesse cinquecento treppiedi di cedro co’ piè di avorio, come abbiamo udito narrarsi da Dione, meglio avrebbe fatto a rivolgere contro di sé medesimo queste invettive. 148
Note
modifica1 L. XIII c. XVIII.
2 In Probo c. II.
3 L. VI Annal. c. XLV.
4 In Ner. c. XXXVIII.
5 Lib. LXII.
6 L. XV c. XXXVIII.
7 Svet. in Tito c. VIII.
8 Lib. LXVI.
9 L. XVI c. VIII & l. V c. XXI.
10 L. I de Composit. Medicam. secund. Cen.
11 Sveton. in Vespas. c. IX.
12 Jos. de Bell. Jud. l. VII.
13 In Domit. c. XX.
14 Syntagma de Biblioth. c. VII.
15 Impp. Rom Numism. p. 160.
16 Ibid.
17 L. XI c. XVII.
18 In Aureliano c. II.
19 In Probo c. II.
20 Dec. I l. IV.
21 L. XIII c. XI.
22 In Tacit. c. VIII.
23 In Notis ad loc. cit. Vopisci.
24 De Biblioth. Augusta.
25 Thes. Inscr. t. IV p. MMCXXVI.
26 Lib. II c. IX.
27 L. IX c. XVI & l. XIX c. V.
28 Nov. Thes. Inscrip. tom II p. DCCCXCIII.
29 Ib. p. CMXXIII.
30 Ib. p. DCCCCXCV.
31 Ib. p. CMXXXII.
32 Ib. p. CMXXVII.
33 Ib. t. I p. CDLIII & t. II p. DCCVI.
34 Sveton. in ejus vita.
35 L. VII Epigr. XVI.
36 L. III epist. VII.
37 L. IV epist. XXVIII.
38 In Lexico.
39 De Tranquill. animi c. IX.