Utente:Mizardellorsa/Tiraboschi-2-1cap2

171 Girolamo Tiraboschi, Storia della Letteratura Italiana Tomo II, Modena 1787 Capo II - Poesia I. Anche in quest’Epoca vi ebber Poeti, ma in numero e in valore troppo inferiori non solo a quelli del secolo di Augusto, ma a quelli ancora, che vissero nel secol che gli venne appresso. Abbiam veduto, che Alessandro Severo solea recarsi spesso al pubblico Ateneo ad udirvi i Poeti Latini e Greci, che recitavano i loro componimenti; de’ quali perciò convien dire, che vi avesse buon numero in Roma; e di Gallieno ancora si è detto, che gareggiò co’ Poeti in un Epitalamio sulle nozze de’ suoi Nipoti. Anzi Trebellio Pollione ci dice, che cento furono allora i Poeti, che a questa occasion verseggiarono: Epithalamium, quod inter centum Poetas præcipuum fuit1. Del mentovato Alessandro Severo racconta ancora Lampridio, che Agoni præsedit2, colle quali parole sembra ch’egli indichi i Giuochi Capitolini altrove da noi rammentati, che ogni cinque anni solevansi celebrare; e ne’ quali i Poeti e gli Oratori venivano a disfida d’ingegno per riportarne la corona al vincitor destinata. Questi durarono per molto tempo, poiché Censorino, che scrisse il suo libro del Dì Natalizio l’anno 238 in cui fu ucciso Massimino primo, come osserva il P. Petavio3, dice, che in quell’anno appunto eransi i detti giuochi celebrati la trentesima nona volta4. Fino a quando si continuasse a celebrarli, non si può facilmente determinare. Il Pitisco pensa congetturando5, che durassero ancora ne’ più bassi secoli; ma parmi poco probabile, che nello sconvolgimento, in cui gittarono Roma le invasioni de’ barbari, si potesse ancora pensare a gareggiar poetando. Forse ancor prima di esse lo stabilimento della Religion Cristiana li fè cessare, per toglier così ogni occasione di altri giuochi profani e sacrileghi. Ma benché a’ tempi, de’ quali ora trattiamo, si celebrassero cotali giuochi, e benché veggiam nominati Poeti, che recitavano nell’Ateneo, e che componevano Epitalamj in occasione di nozze, e questi ancora fino al numero di cento, certo è nondimeno, che assai minore fu il numero de’ Poeti, di quel che fosse in addietro. In fatti in tutto questo spazio di tempo tre soli ne possiamo additare, le cui Poesie siano a noi pervenute; e di quelli ancora, di cui sappiamo, che esercitaronsi in verseggiare, vedremo che fu scarso il numero. E forse a quel tempo vi eran parecchi, che solo in qualche occasione prendevan tralle mani la cetra, ma fuor di essa non si curavano di coltivare uno studio, che non era più in gran pregio. II. Il primo de’ tre accennati Poeti (se pur gli può convenire un tal nome) è Quinto Sereno Samonico, di cui abbiamo un Poema Didascalico, o, a dir meglio, molti versi intorno alla Medicina, che non sono i più eleganti del Mondo, e che punto non hanno di brio e di vigore poetico. Di qual patria, e di qual condizione egli fosse, nol possiamo raccogliere. Alcuni hanno affermato, che e’ fosse Spagnuolo, ma questa opinione è combattuta anche dall’Autore della Biblioteca Spagnuola, cioè dal celebre Nicolò Antonio6. Sappiamo, ch’egli era uomo assai dotto; e tale il dice Macrobio7, che reca un passo di non so quale sua Opera scritta ad Antonino Caracalla. Da questo passo medesimo nondimeno noi raccogliamo, che cominciavasi allora a non avere molta perizia nella stessa Storia del secolo precedente; perciocché Sereno citando un detto di Plinio il vecchio dice, che questi visse fino a’ tempi di Trajano, confondendo così insieme i due Plinj. Un altro frammento tratto da non so qual altra di lui Opera, ove parla della legge Fannia contro il lusso delle mense, ci ha conservato lo stesso Macrobio8; il quale innoltre fa menzione9 del quinto libro delle Cose Recondite dello stesso Samonico, e da esso trae le due solenni gravissime formole, con cui gli antichi Romani solevan talvolta sopra le nemiche Città chiamare lo sdegno de’ loro Dii; le quali formole dicevansi l’una Evocare Deos, l’altra Devovere Diis. Altri frammenti ancor di Samonico si citano da Arnobio10 e da Servio11; e altrove abbiam detto de’ Distici di Catone, di cui vuolsi da alcuni, ch’egli sia autore12. Fu egli assai caro a Geta fratello di Caracalla, di cui narra Sparziano, che soleva leggere spesso i libri di Samonico indirizzati a suo fratello13, che eran forse quell’Opera 172 stessa, che abbiam veduta rammentarsi da Macrobio. Così pure di Alessandro Severo narra Lampridio14, che avendo assai amato in vita Samonico, con piacere leggevane i libri. Egli finalmente aveva una copiosissima Biblioteca di sessantaduemila Volumi, che essendo poscia passata alle mani di Sereno Samonico suo figlio, questi morendo ne fe dono al secondo de’ tre Gordiani, di cui era stato Maestro15. Ma questo valentuomo ebbe un fine troppo diverso da quello, ch’ei meritava. Perciocché standosi alla cena insieme con Caracalla, fu da lui per qual che si fosse ragione barbaramente ucciso16. Sparziano dopo averne narrata la morte dice, che molti eruditi libri da lui scritti conservavansi ancora; ma trattone il Poema di sopra accennato, per cui l’abbiam posto insiem co’ Poeti, niun’altra Opera di lui ci è rimasta. Intorno a Samonico hanno scritto con particolar diligenza Roberto Keuchenio17 e il celebre Giambatista Morgagni18. Diverso da’ due Samonici padre e figlio sembra che fosse quell’Aulo Sereno Poeta Lirico, che da alcuni vien nominato, come dimostrano i due mentovati Scrittori. III. Gli altri due Poeti vissero al medesimo tempo, cioè sotto Caro e sotto Carino e Numeriano di lui figliuoli, e nel medesimo genere di Poesia si esercitarono. Furono essi M. Aurelio Olimpio Nemesiano e Tito Calpurnio. Il primo fu di patria Cartaginese; ma sembra che avesse almeno per qualche tempo dimora stabile in Roma; perciocché egli è quel medesimo, con cui vedemmo poc’anzi, che Numeriano soleva gareggiar verseggiando, e di cui dice Vopisco19, che scripsit Halieutica, Cynegetica, & Nautica, cioè tre Poemi sulla pesca, sulla caccia, e sulla Nautica. Di questi solo il secondo ci è rimasto da lui dedicato a’ due suddetti fratelli Carino e Numeriano dopo la morte di Caro lor Padre, a cui egli perciò dà il nome di Divo: Divi fortissima pignora Cari20. Un passo però di questo Poema fa nascere qualche dubbio intorno al soggiorno di Nemesiano in Roma. Egli parlando a’ due fratelli Imperadori così dice21: Hæc vobis nostræ libabunt carmina Musæ, Cum primum vultus sacros, bona numina terræ, Contigerit vidisse mihi: E poco dopo: Videorque mihi jam cernere fratrum Augustos habitus, Romam, clarumque Senatum. Non è ella questa maniera di parlare propria di chi non abbia mai veduti né gli Imperadori né Roma? Come dunque si può dire, ch’egli vivesse in Roma, e che Numeriano con lui contendesse in Poesia prima di essere sollevato all’Impero? giacché dopo ei nol poté certamente, ucciso, mentre dalla guerra di Persia sen tornava a Roma. Alcuni interpreti ne escon col dire, che Nemesiano era stato prima in Roma, che poscia o se n’era ritornato a Cartagine, o erasi ritirato in qualche luogo fuori di Roma, ove pensava di nuovamente recarsi. Può essere, che tale veramente sia il senso di Nemesiano; ma a dir vero le sue parole parmi che indichin piuttosto una prima che una seconda venuta a Roma; nel quel caso io non saprei, come accordarle col racconto, che fa Vopisco. Checché ne sia, il Poema, che ci è rimasto, di Nemesiano, è colto ed elegante per riguardo a’ tempi, in cui fu scritto. Egli certo non ha alcuno de’ vizj del secolo precedente; e ove se ne tragga la non sempre pura espressione, effetto del corrompersi che faceva il latino idioma, e una soverchia prolissità singolarmente nell’introduzione, in cui egli occupa quasi una terza parte del suo Poema, egli può a ragione essere annoverato tra’ migliori Poeti dopo il secol d’Augusto. IV. A lui pure comunemente si attribuiscon quattro Egloghe, che si sogliono aggiugnere al suo Poema sopra la Caccia. Ma Giano Ulizio seguito ancora da Pier Burmanno e da altri pensa22, che esse siano di Tito Calpurnio ossia Calfurnio Siciliano, di cui son certamente altre sette Egloghe. Le ragioni, ch’egli ne arreca, sono la somiglianza dello stile, alcuni versi, che quasi colle stesse parole si incontrano nelle une e nelle altre, qualche espressione, da cui par che raccolgasi, che l’Autor di esse fosse Siciliano, l’autorità della prima edizione di queste Egloghe, in cui tutte si attribuiscono a Calpurnio, ed altri sì fatti argomenti, che hanno qualche forza, ma che non rendono abbastanza certa questa opinione. Calpurnio fu Siciliano, e assai povero di sostanze, come da varii passi de’ suoi versi medesimi si raccoglie23. Visse al tempo medesimo di Nemesiano, a cui anche dedicò le sue Egloghe. Queste o siano tutte di Calpurnio, o altre siano di lui, altre di Nemesiano, 173 hanno eleganza e soavità superiore a quella degli altri Scrittori di questi tempi. L’Abate Quadrio accusa il Fontenelle di averle antiposte a quelle ancor di Virgilio24; ma né egli cita, né io trovo, in qual luogo abbia egli recato un sì travolto giudizio; e parmi strano, ch’ei l’abbia recato, perché in un luogo egli dice apertamente, che Calpurnio non ha il merito di Virgilio25, benché in un tal passo, di cui ragiona, creda che Calpurnio sia stato più di Virgilio felice non già nell’espressione, ma nel pensiero. Calpurnio fu in sì gran pregio in alcune delle età trapassate, che veniva nelle pubbliche scuole proposto ad esemplare di Poesia. Così afferma il Giraldi, il quale però saggiamente non ne reca sì favorevol giudizio: Bucolica hic scripsit, quæ extant, & a multis leguntur probanturque. Ego certe in eo facilitatem & sermonis volubilitatem, sed parum interdum nervi & concinnitatis offendi. Fuit quidem, cum ego eas omnes septem Eclogas avidissime legerem; nam & me puero magni quidam professores, ut tunc erant tempora, eas etiam publice prælegebant26. Il qual sentimento si può ugualmente adattare a Nemesiano ancora. V. Alcuni altri Poeti troviam nominati presso gli antichi Autori; de’ quali però non ci è rimasta cosa alcuna; né io credo, che abbiamo a dolercene molto. Gellio rammenta un Anniano27 Poeta, com’egli dice, di leggiadro ingegno, e nelle antichità erudito, e dotato innoltre di una maravigliosa facilità di parlare; e un Giulio Paolo, cui dice uomo a sua memoria dottissimo28, e uom dabbene e nella antica Letteratura versato assai29. Tossozio Senatore della famiglia degli Antonini vivea al tempo di Massimino primo, e alcuni Poemi avea composti, che al tempo di Giulio Capitolino ancora si conservavano30. Abbiam già fatta menzione di Aurelio Apollinare, che da Vopisco si dice scrittor di Jambi31, e autore di una vita dell’Imperador Caro, la qual però non sappiamo, se scritta fosse in versi o in prosa. Aggiungansi quelli tra gli Imperadori, da’ quali abbiam detto che fu coltivata la Poesia, come Lucio Vero, Alessandro Severo, i Gordiani, Gallieno, e Numeriano. Fuor di questi e di qualche altro, che venga per avventura accennato dagli antichi Scrittori, io non saprei, quali altri Poeti additare di questi tempi. Il che dee farci conoscere, che e pochi coltivatori ebbe allora la Poesia, trattene alcune rare occasioni, in cui era onorevole e vantaggioso l’esser Poeta, o, se ebbene molti, questi non furon troppo felici nel poetare, e i lor versi perciò vennero presto dimenticati. VI. Ciò che mi sembra più strano si è, che anche di Poesie Teatrali appena trovasi in quest’Epoca autore alcuno. Io veggo sol nominato da Giulio Capitolino32 un Marullo Scrittor di Mimi, di cui egli racconta, che soleva co’ mordaci suoi scherzi pungere i due Imperadori Marco Aurelio e Lucio Vero, e che questi dieder pruova della loro mansuetudine col non farne risentimento. Di lui parla ancora Servio33 dicendo, che nel comporre egli poneva mente a sollazzare il popolo anzi che a scrivere correttamente. Né io so, se alcun altro Scrittore o di Tragedie o di Commedie a questi tempi si trovi essere vissuto. E nondimeno i teatrali spettacoli usavansi ancora, benché nella Storia di quest’età non sembri ch’essi fossero né sì frequenti né sì magnifici come in addietro. Certo io non trovo menzione di Teatri o ristorati, o nuovamente edificati, fuorché di quel di Marcello, di cui si narra, che Alessandro Severo pensò di rifabbricarlo34, benché non si dica, se conducesse ad effetto il suo disegno. Sembra dunque, che cominciasse allora a curarsi poco il Teatro, e quindi non è maraviglia, che pochi fossero gli Autori di Teatrali Poesie, potendosi usare, ove ne venisse occasione, di quelle, che da’ Poeti dell’età precedenti erano state composte. 174

Note modifica

1 In Gallieno c. XI.
2 In Alex. Sev. c. XXXV.
3 De Doctr. Temp. lib. XI cap. XXI.
4 De Die Nat. c. VI.
5 Lexic. Antiq. Rom. V. Agon.
6 Bibl. Hisp. Vet. l. I c. XX.
7 Saturn. l. II c. XII.
8 Ib. c. XIII.
9 Ib. l. III c. IX.
10 L. VI adv. Gentes.
11 Ad l. I Georg. Virg.
12 V. t. I p. 152.
13 In Geta c. V.
14 In ejus vita c. XXX.
15 Capitolin. in Gordianis c. XVIII.
16 Spartian. in Carac. c. IV.
17 Prolegom. ad Q. Ser. Samonicum.
18 Epist. ad Jo. Ant. Vulpium ante Samonici Edit. Comin. 1722.
19 In Caro &c. c. XI.
20 In Cyneget. v. 64.
21 V. 76 &c.
22 In Præf. & in Not. ad Nemes. Eclogas.
23 Lib. IV v. 26 &c.
24 Storia della Poesia t. II p. 609.
25 Discours sur la Nature de l’Eglog. t. IV Oeuvr. Edit. de Paris 1742 p. 148.
26 De Poet. Histor. Dial. IV.
27 L. VII c. VII.
28 L. I c. XXII & l. V c. IV.
29 L. XIX c. VII.
30 Capitol. in Maximin. Jun. c. I.
31 In Caro &c. c. XI.
32 In Marc. Aurelio c. VIII.
33 Ad Ecl. VII Virg.
34 Lamprid. in Alex. c. XLIV.