Una famiglia di topi/Capitolo primo

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Capitolo secondo

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CAPITOLO PRIMO


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u due guanciali, che s’eran trascinati vicino al balcone, due bei bambini rosei e ricciuti, Margherita e Lionello, chiamati per vezzo dai genitori Rita e Nello, sedevano accosto, sfogliando un grosso libro, che la mamma aveva regalato loro perchè anche durante la ricreazione imparassero qualcosina.

Il libro era pieno di figure, inframezzate a’ racconti. C’era, fra le altre, la storia d’un bastimento francese, narrata da un vecchio [p. 2 modifica]marinaro, che aveva passato tutta la vita a bordo, dall’età di dieci anni fin quasi a’ sessanta; e quella era una storia piena di peripezie inaspettate, d’avventure curiose, che il vecchio descriveva con la rozza semplicità degli uomini usi a non far complimenti nè con la vita nè con la morte.

A una certa pagina si vedeva il bastimento mezzo inclinato, tra un vapor denso che lo avvolgeva tutto: una gran macchia [p. 3 modifica]nera sopra, che voleva dire i nuvoloni; sotto era bianco, non c’era nulla; e voleva dire la spuma de’ cavalloni, che si levavano alti come montagne e si spalancavano come abissi.

In un’altra pagina il cielo e il mare eran sereni; ma la nave, vicino a una spiaggia bizzarra, dove s’aggruppavano e si confondevano strani alberi e case più strane ancora, appariva circondata di piccoli canotti pieni di selvaggi, che le s’affollavano ai fianchi tra paurosi, curiosi e feroci.

In un’altra pagina ancora si vedeva un vasto porto della Grecia, il Pireo, dove la nave era ancorata, co’ pennoni inghirlandati di fiori: le bandiere sventolavano allegre al maestrale, tra fitte file di lanterne di carta colorata che pendevan da tutti i cordami; e sul ponte ballavano ufficiali e signore, gli uni nelle divise scintillanti d’oro, le altre nelle vesti ricche di trine e di nastri.

La storia di questi quarant’anni di vita [p. 4 modifica]marinaresca era una delle più interessanti del libro per Rita e per Nello.

― Vedi, Rita ― diceva il fanciullo alla sorella ― il vecchio Marjant è partito come mozzo su la Stella di Francia proprio alla mia età. ― E soggiungeva:

― Quanto sarei contento se il babbo permettesse anche a me di far il marinaro! ―

La sorellina, invasa dallo stesso entusiasmo e vaga delle medesime avventure, esclamava:

― Anch’io, oh, anch’io!

― Ma tu non sei un uomo ― le faceva osservar Nello, alzando fieramente la testa, come per attestare la superiorità del suo sesso.

Rita, che in questo era costretta a dar ragione all’altro, rimbeccava subito:

― Ma nemmeno tu sei un uomo ― tutta contenta di dare una mortificazione al fanciullo, minore di lei di due anni. Poi, vedendo [p. 5 modifica]ch’egli si faceva rosso in viso, e che quasi gli venivano i lucciconi, lo consolava col dirgli:

— Quando sarai grande, pregherò io il babbo che ti faccia far il marinaro, vedrai; ma tu mi devi portar tante belle cose di lontano; voglio uccelli tutti rossi e celesti, pappagalli che sanno recitare il paternostro, come quello che ci ha raccontato la Letizia; voglio una scimmia che serva a tavola, come quella del capitano della Stella di Francia; poi conchiglie color di rosa, grandi come un vassoio, poi....

— Non dubitare — l’assicurava il fratellino, tornato tranquillo, e già tutto sorridente all’idea di girare un giorno o l’altro tanta parte del mondo, di veder tanta gente nuova, tanti alberi e tanti fiori di una forma inaspettata, dai colori vivi e smaglianti.

La mamma di Rita e di Nello, ch’era una bella signora ancor giovane e si chiamava [p. 6 modifica]la contessa Sernici, stava per lo più, mentre i suoi bimbi cicalavano, seduta a un elegante tavolinetto da lavoro, tutto ingombro di sete e di fili d’oro e d’argento, per eseguire a ricamo i più bei disegni a rabeschi, per guarnire a volte dei mobili, a volte dei vestiti o suoi o di Rita.

La contessa amava di farsi raccontar dai fanciulli le loro letture, prima di tutto per veder se avevano esattamente capito le cose [p. 7 modifica]lette e poi per giudicar sempre meglio i loro caratteri e i loro cuori dal modo in cui esprimevano l’impressione provata.

— Ho piacere — disse la signora a Nello — che tu non abbia paura dei pericoli, e anzi, desideri affrontarli per mare e per terra. Un uomo che mostra d’aver coraggio non solo si fa rispettare da tutti, ma anche prova, quasi sempre, d’aver animo buono e carattere fermo.

Il bambino gongolava dalla gioia: anche la sua cara mamma, dunque, approvava quella carriera di marinaro, che a lui sorrideva tanto. Meglio così. Oramai non rimaneva da persuadere altri che il babbo; ma il babbo, quando la mamma, ch’era tutta tenerezza e giudizio per la famiglia, mostrava di desiderare una cosa, non era solito a dirle di no. Dunque?... Dunque Nello si vedeva già con l’immaginazione di fronte al mare immenso nelle notti di burrasca, a uomini selvaggi dal [p. 8 modifica]corpo nudo e tatuato di figure mostruose e deformi.

A un tratto s’udì giù nella via un organetto intonar le prime battute d’una vecchia mazurka. Rita e Nello non si mossero: ne passan tanti di questi organetti stonati, per le vie! Ma a un tratto udiron gridare:

— Svelto, Ragù, venite a far l’esercizio militare! Da bravo; su il fucile! Qui, Caciotta, tirate su tre numeri sicuri per questo signore; svelta! Ah, oggi non ne avete voglia, eh, buona a nulla? Vieni allora tu, Pipetta; prendi il biglietto. Da brava; svelta!... Bene! —

I bambini non resistettero alla curiosità, e deposto sopra una sedia il grosso libro illustrato, corsero al balcone.

Un individuo mal vestito, con un cappellaccio di paglia a larghe tese tutt’unte, con un organetto appeso al collo per una cinghia, aveva davanti a sè una gabbia di topi indiani, quasi tutti bianchi; che dallo sportellino [p. 9 modifica]aperto uscivan sur una tavoletta, a mano a mano ch’eran chiamati per nome dal padrone, e venivano a far ciascuno un piccolo esercizio.

— Pupa, su! Su, Nerino! — seguitava a gridar l’uomo; e i poveri animalucci accorrevano, ubbidienti, a tirar fuori da una scatola un cartellino verde o color di rosa con la sorte stampata, o un terno da giocarsi al lotto. Qualcuno stava ritto su le zampe di dietro, reggendosi a una stanghetta di legno rozzamente tagliata a mo’ di fucile; qualche altro tirava su un secchietto d’acqua appeso a uno spago; e tutti, dopo aver lavorato, si fermavano, mezzo acquattati, a guardar il padrone, come se avessero chiesto scusa di non saper fare meglio il loro dovere.

— Oh, mamma! — disse Rita — ci son qui sotto dei topini.... dei topini tanto carini! Se tu ci permettessi di farli venir su, che piacere di vederli da vicino! [p. 10 modifica]

— Sì, mamma, sì mammina, sì! — pregò anche Nello con voce carezzevole.

La contessa s’affacciò al balcone in mezzo ai suoi ragazzi; guardò un istante lo spettacolo; poi rispose:

— Ebbene, dite a Letizia che scenda un istante a chiamar quell’uomo. —

I due fanciulli si precipitarono come due saette fuori del salotto, e, sempre a corsa, diedero alla cameriera l’ordine ricevuto; poi si misero, ridenti e saltellanti, nella sala d’ingresso ad aspettare l’arrivo dei topi.

La mamma li aveva raggiunti. Qualche istante dopo, guidato da Letizia, spuntò dalle scale l’individuo col cappellaccio a larghe tese, con l’organetto al collo e la gabbia dei piccoli saltimbanchi in mano.

— Entrate, entrate pure — disse la signora con accento benevolo.

Di nuovo ebbe principio la rappresentazione. Con la solita voce strascicata e nasale, [p. 11 modifica]l’individuo gridava alle bestiole attente e spaurite:

― Svelto, Ragù; venite a far l’esercizio militare! Da bravo; su il fucile! ―

Ma Ragù, un topo con la testa nera, che pareva un cappuccio di raso, stava rincantucciato in un angolo della gabbia, appuntando il musino irrequieto e gli occhietti sbigottiti verso il suo padrone.

― Svelto, Ragù, — vociò più acremente l’uomo. ― Sai cosa t’aspetta, eh, se disubbidisci! —

Così dicendo, toccò la bestiola con una bacchetta dalla punta aguzza come uno spillo.

S’udì un grido del topino, cui era stato inflitto il castigo, e l’animaluccio si rizzò su le zampine di dietro come per protestare.

― Poverino! ― esclamarono quasi in coro la contessa e i suoi bimbi; e Rita pregò:

― Non gli fate male, per carità!

― È ostinato sempre ― disse l’uomo per [p. 12 modifica]iscusarsi; oggi poi non c’è il modo di farlo lavorare.... Chi non lavora, non mangia ― soggiunse con un riso stupido e crudele, dando un’altra puntura al povero Ragù.

In quel mentre una topolina di pelame bianco, ma ingiallito dal sudicio, corse a mettersi dinanzi al maltrattato, come per difenderlo o per dividere la punizione con lui.

― A te, Caciotta! ― le comandò l’uomo prendi un foglietto con la fortuna per ciascuno di questi signori; svelta! ―

Caciotta si trascinò vicino alla scatoletta e ne trasse fuori co’ denti dei quadratini di carta che porse a uno a uno al padrone; poi corse di nuovo a impostarsi dinanzi al suo compagno.

― Si vogliono bene, eh? ― chiese Nello al girovago dall’organetto, additandogli Caciotta e il topino dal cappuccio nero.

― Son marito e moglie ― spiegò costui.

Dopo parecchi esercizi di Pipetta e d’altri [p. 13 modifica]sorci, che portavan tutti de’ nomi bizzarri e volgari, ricominciò il martirio di Ragù.

― Ah, vuoi mangiare a ufo, dunque? ― diceva l’uomo punzecchiandogli i fianchi e la pancia con la bacchetta ma te la faccio veder io, bestiaccia! ―

La contessa, i bimbi, la Letizia, erano tutti dolorosamente sorpresi da quella scena, che certo non s’aspettavano.

Nello ebbe un’ispirazione. Allungandosi in punta dei piedi per parlare all’orecchio di sua madre, la supplicò di comprare quel topolino così disgraziato.

― Mamma, ti prego! Sai come sarò buono! Sai come studierò la geografia! Via, mamma, ti prego! ―

La Rita udì; e subito anche lei cominciò a strofinarsi alla gonnella materna, a fissar i suoi dolci occhi tutti pieni di lacrime negli occhi indulgenti della contessa. E mentre il piccolo Ragù strillava di dolore, la [p. 14 modifica]signora interruppe le sevizie di quel cattivo arnese, dicendogli:

— Volete vendere quella bestiola?

— Chi, Ragù? — rispose l’uomo maravigliato della domanda.

Ma capì a volo che con un po’ d’astuzia poteva fare un buon affare.

— Vede, signora, — cominciò — queste povere bestie sono il mio pane. Oggi Ragù [p. 15 modifica]è malato, dico la verità; ma quando è sano è il più bravo di tutti. Io poi gli voglio bene; lo castigo.... si sa...; ma gli voglio bene. —

Così dicendo, allungava la mano per carezzare il topo; ma questi spiccò un salto addietro, dimostrando il più gran terrore.

— Eh, là.... là.... diceva l’uomo cercando di ammansirlo. Là.... là.... che c’è? —

Il topino pareva sempre più selvatico; intanto la femminuccia lo seguiva, ponendo il proprio corpicciuolo d’un biancastro lurido tra quella mano infida e il musetto del suo disgraziato maritino.

— Non intendo che sacrifichiate nulla — disse la contessa Sernici al brutto individuo — vi compenserò bene della piccola perdita. Del resto, vedo che questo topo nè pure vi serve; e farete presto a sostituirlo con un altro. —

L’uomo insistè:

— Creda, signora, che quando è sano, e il più bravo. — [p. 16 modifica]

I bambini, vedendo ormai le trattative avviate, non avevano nè lasciavano più pace.

― Che cosa ne volete, infine? chiedeva Nello, impazientito.

― Se vi muore ― osservò Rita ― vi pentirete di non avercelo venduto.

Quest’ultimo argomento dovette persuadere il girovago, perchè disse:

― La signora mi darà venticinque lire. Creda, glielo regalo.

― Venticinque lire un topo! ― esclamò la Letizia congiungendo le mani e pensando, certo, che in cantina ce n’erano a bizzeffe.

― Vi do quaranta lire di Ragù e della sua femmina.

― Sì, sì, mamma; Caciotta! Caciotta! ― gridarono i ragazzi saltellando dalla gran gioia. E riflettevano ad alta voce:

― Così si terranno compagnia! Così saranno felici insieme tutti e due! ―

Ma l’uomo sollevò nuove difficoltà. A [p. 17 modifica]sentir lui, non ostante che avesse tanti altri topi intelligenti e ben disposti a far i saltimbanchi, la contessa lo rovinava. Non avrebbe più saputo come fare a guadagnarsi la giornata.

Ma invaghito dallo scintillio di due marenghi d’oro, che la signora aveva tirato fuori dal portamonete, dopo qualche altra chiacchiera levò Ragù e Caciotta dalla gabbia, e li consegnò a’ suoi novi padroncini.

Chi sa di quei cuori di bimbi e di quei cuori di topi quali battevano più forte in quel momento!...

Ragù e Caciotta non pensarono certo ai loro compagni di sventura, che ripigliavano la via delle fatiche e degli strapazzi; tanto dovettero esser dolcemente stupiti di trovarsi fra le manucce morbide e gentili di Rita e di Nello.

— Mamma, vedi, vedi, come son buoni! Non mordono affatto. Oh, carini! — [p. 18 modifica]

La contessa sorrideva, tutta contenta di veder così felici i suoi figli.

— Oggi — disse loro baciandoli fra’ capelli — avete fatta un’opera di misericordia: avete consolati due afflitti, perchè davvero questi due poveri sorcetti erano i più disgraziati di quella gabbia. E concluse con la sua gran pietà di gentildonna piena di cuore: — Chi è buono con le bestie, è buono anche con gli uomini.