Una famiglia di topi/Capitolo decimo

Capitolo decimo

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Capitolo nono

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CAPITOLO DECIMO



n casa Sernici era tornata la ricchezza di prima. Il conte, che aveva fatto coraggiosamente tanti sacrifizi, pur di pagare fino all’ultimo soldo i creditori e conservare intatto il suo nome onorato, aveva finalmente veduto la propria onestà ricompensata dal buon successo di certe sue grandi intraprese commerciali.

La scuderia, rifornita di cavalli e di carrozze, s’animava di nitriti allegri; in cucina, un cuoco francese e i guatteri pigliavano e davano ordini; nell’appartamento de’ signori, [p. 188 modifica]i tappezzieri mettevano tutto a nuovo, drappeggiando alle finestre e alle porte le belle tende listate d’oro e tessute in Turchia, adattando su le pareti alti specchi di Venezia, vasi chinesi dal pancione celeste tutto draghi e cicogne, armi damascate, gingilli d’ogni sorta, preziosi e di buon gusto.

La contessa vigilava in persona il lavoro di ciascuno, e dava comandi e consigli con buona grazia a dipendenti e inferiori. Appunto per codesta sua buona grazia, che non sempre le signore posseggono, ella era adorata e servita più volentieri da tutti.

Il conte, quando aveva un momento di tempo, correva a casa a godersi il gradito spettacolo della gioia tornata nella sua buona famiglia, e cercava la moglie per domandarle, sorridendo, s’ella fosse contenta.

— Ringrazio Dio perchè tu hai meno pensieri tristi, e a’ nostri figliuoli si prepara un miglior avvenire rispondeva la dolce [p. 189 modifica]signora. — Ma quanto a me, lo sai, sono stata contenta nella buona come nella cattiva for tuna. A me basta l’amor tuo e dei ragazzi, e questo non mi è mai mancato, davvero!

— Nè ti mancherà mai, mia cara! — le assicurava il marito, tutto commosso dalla bontà di quel cuore, dove non poteva entrar ombra d’egoismo.

Dopo avere stretta la mano alla sua fida compagna, il conte andava a trovare i figliuoli.

Rita e Nello, che crescevano sempre più diligenti e più bravi, studiavano con maggior zelo dacchè la rinnovata prosperità allietava i loro genitori. Ormai la Rita cominciava a sonar così bene il piano, che il maestro di musica le portava de’ pezzi difficili e di molto effetto; e Nello, assai avanti nelle lezioni di disegno, adoperava di già gli sfumini per certe teste copiate dal gesso.

Nè pure i topi eran dimenticati dal [p. 190 modifica]padrone di casa, sebbene il banchiere avesse i minuti contati.

Quelle bestioline, che lo divertivan tutte, avendo ciascuna di loro qualche pregio suo proprio, egli le amava anche perchè da due anni che facevano parte della famiglia, avevano partecipato con lui e con i suoi alle vicende della casa.

— Bravo il mio Grosso, che non si stanca di vivere fra i libri! — diceva egli accarezzando Dodò, rannicchiato tra volumi e scartafacci. I libri, che sono i migliori amici degli uomini, sono i migliori amici anche dei topi, non è vero, Dodò? ―

Il sorcio letterato fiutava la mano che gli lisciava il dorso; e sentito ch’era quella del suo signore, vi strofinava il musino freddo in segno di saluto.

Moschino, alla voce del conte, accorreva, secondo il suo solito, arrampicandosi su su, per esser preso su la spalla a baciare e [p. 191 modifica]pigliar baci. Ragù e la Caciotta facevan capolino dalla loro antica paniera, dove dormivano di preferenza, e s’allungavano sbadigliando a bocca spalancata, tutti contenti, poveri vecchi, se il padrone passava accosto anche a loro. Quanto a Bellino, non si moveva; di modo che la contessa ripeteva a’ suoi ragazzi, i quali ridevano come matti, che quello lì aveva l’intelligenza d’un topo impagliato.

Chi si faceva proprio carino era Mimmì, sempre più tenero con la Lilia; della quale tutti in casa eran contenti, perch’ella si portava da personcina ammodo, e non era più scappata come faceva prima.

Osservando le buone abitudini e la compita educazione degli altri topi, Mimmì, a poco a poco, aveva acquistato egli pure i loro modi garbati.

Un giorno, soltanto, ne fece una assai curiosa, che ricordò ai signori Sernici la sua origine plebea. [p. 192 modifica]

La Letizia, nel chiuder l’uscio della dispensa, non s’era avvista d’aver serrato là dentro il sorcio bigio, entrato dietro a lei per rivedere il posto dove un tempo s’abboccava di nascosto con la sua bianca Lilia. Questo accadeva verso l’ora di colazione; e da quell’ora fino al momento del pranzo, Mimmì, che sentiva freddo, perchè s’era di gennaio, e ormai avea preso gusto a star su’ tappeti e su le pelli, pensò bene di mettersi a rodere una forma di gorgonzola, ch’è un cacio de’ più morbidi, e lì, in quell’incavo, rincantucciarsi.

Non appena, però, udì metter la chiave nella serratura, uscì fuori; e rasentando il muro, scivolò lesto lesto, e tornò in mezzo agli altri.

― Dove t’eri messo, Mimmetto? ― saltò su a domandargli la Rita, che si chinò a prenderlo in mano. Ma subito che se lo avvicinò alle labbra per dargli un bacio, lo scostò da sè con un’esclamazione di disgusto. [p. 193 modifica]

— Puah! Puzzi che appesti, Mimmì! — diss’ella, nauseata dall’odore del formaggio.

La contessa, vedendo il sorcio col pelo insudiciato di giallastro e di verdognolo, capì di che si trattava: Mimmì ne aveva fatta una delle sue. Si mise a ridere, e cogliendo anche quell’occasione per ammaestrare i suoi figlioletti, disse con bontà:

— Vedete, eh, quanto ci vuole per arrivare a perdere affatto i vizi contratti nei primi anni della vita? — poi soggiunse: Adesso si lavi almeno a tre saponate, questo sudicione di Mimmì! —

Mimmì, benchè mettesse le unghie fuori e mandasse de’ piccoli gridi in segno di protesta, dovette sopportar, suo malgrado, le tre insaponature; dopo, lo risciacquarono nell’acqua limpida e profumata con qualche goccia d’essenza di violette; e finalmente, ben rasciugato e tutto incipriato, potè tornare in famiglia. [p. 194 modifica]

— Non far mai più di queste goffaggini, sai! gli disse affettuosamente Ragù perchè io conosco la nostra signora: nulla le dispiace quanto la mancanza di pulizia. Se Nello, ch’è suo figlio, si sporca le dita d’inchiostro, la contessa non gli dà il bacio della buona notte, e lo benedice di lontano, senza nè meno guardarlo.

— Oh, no, no! Non lo faccio più, lo giuro! — rispose Mimmi, estremamente mortificato.

E mantenne il giuramento, perchè quella fu l’ultima azione da topo maleducato ch’egli commettesse.

Quando il bell’appartamento dei Sernici fu tutto in ordine, il conte manifestò alla sua signora l’intenzione di preparare un grandioso ricevimento, per festeggiare, quanto meglio era possibile, il ritorno della loro fortuna.

— Inviteremo chi vorrai, quando e come vorrai — gli dichiarò, col suo solito garbo [p. 195 modifica]gentile, la contessa; ― ma prima di far ricreazioni per i grandi, ti chiedo il favore di lasciarmi combinare una serata allegra per i piccoli. ―

Rita e Nello, a queste parole, guardarono la mamma e il babbo; poi si guardarono tra loro, e divennero di brace in viso, tanto fu vivo e inaspettato il piacere che provarono.

Il banchiere approvò subito, felice di contentar la sua cara famiglia; e chiese:

― Che genere di divertimento sceglieremo? ―

La contessa si fece un po’ pregare: voleva tener segreta l’idea che le frullava per il capo; voleva che il mistero, ond’ella la circondava, eccitasse maggiormente la curiosità de’ ragazzi. Ma supplicata di svelare quali fossero i suoi progetti, alla fine si spiegò:

― Daremo un ballo di bambini, un ballo in costume, la sera di Natale. ―

I fanciulli gettarono insieme un grido di [p. 196 modifica]gioia; e cominciarono a saltellare intorno alla madre, tirandole le mani, e baciandola dalla gran contentezza.

— Buoni! zitti! fermi! — ordinava la contessa, anch’ella ridendo. — Se non ismettete il chiasso, vi metto in gastigo, e non si parla più di balli!

— No, mammina, per carità, te ne preghiamo! esclamarono i ragazzi, chetàti come per incanto da quella minaccia terribile. E soggiungevano in tòno sommesso: — Vedi, mammina, che siamo buoni.... buoni.... buoni! Raccontaci dunque tutto, mamma bella! —

La madre li baciò tutt’e due fra’ ricci della fronte; poi prese a dire:

— Si farà una festa molto graziosa, ma non affollata. Inviteremo una ventina di bimbi allegri e bene educati, e le loro mamme li accompagneranno qui, vestiti nelle fogge più varie.... [p. 197 modifica] ― O me, mammina, come mi vestirai? ― chiese la Rita curiosa.

― O me, o me? ― ripeteva Nello, più invogliato della sorella di veder súbito, almeno con l’immaginazione, il suo costume.

La contessa rimase qualche istante sopra pensiero, cercando in cuor suo quel che meglio convenisse al tipo de’ suoi figliuoli.

― Dunque, mammina, dunque?... — ripresero insieme i ragazzi, che non istavan più alle mosse.

― Ecco qua: fece la loro mamma tu, Rita, sarai una signora giapponese; e tu, Nello, un cavalleggero di Piemonte Reale del secolo passato. ―

Tutti e due batterono le mani, felici; ma volevano maggiori spiegazioni e molti parti colari ancora, non avendo nè l’uno nè l’altra un’idea esatta de’ due travestimenti a’ quali la contessa avea data la preferenza.

― Vedrete i vestiti quando ve li misurerete [p. 198 modifica]— si contentò lei di rispondere; e i ragazzi, discreti e ubbidienti com’erano, capirono di non dovere insistere oltre; sicchè continuaron tra loro, dopo le lezioni, a far sogni, commenti e progetti per la sera del ballo.

La mattina dipoi, la contessa uscì in carrozza, accompagnata dalla Letizia, a far le compre necessarie; e quando le ebbe fatte, chiamò una brava sarta a lavorare in casa sotto la propria sorveglianza; e, con l’aiuto anche della svelta cameriera, i costumi furono presto al punto da poter esser provati.

La stoffa della veste della Rita era di raso d’un celeste pallido, su cui spiccavano de’ draghi a bocca ed ali aperte, de’ fiori di crisantemo e delle farfalle ricamate in seta a colori e in oro. Le maniche, larghe e sciolte, cadevan giù fino a mezzo il corpo; una cintura altissima di molle seta scarlatta stringeva la vita, annodandosi dietro in un fiocco enorme. [p. 199 modifica]

— Perchè, nel Giappone, si portano i vestiti così sciolti? — chiese la Rita a sua madre.

― Perchè le donne di là giù, che mangiano, bevono il thè, ricamano, scrivono, e dipingono in ginocchio, han più bisogno di noi d’aver libere e pieghevoli le membra. —

A’ piedi, un paio di zoccoletti di legno piccoli piccoli, a punta quadra, e in testa quattro spilloni di filigrana d’argento, che rialzavano i capelli in un groppo, completavano quel costume.

La Rita si guardava ogni momento la coda della veste, stretta come quella d’una lucertolina, e sorrideva di compiacenza.

— Sto bene, così? Sono bellina? — domandò la Rita. Ma lo domandò una volta sola; perchè la contessa le rivolse uno sguardo così pieno di rimproveri, che la fanciulla arrossì fino alla radice de’ capelli.

— Una bambina sta sempre bene e appare [p. 200 modifica]graziosa quando non sa che cosa sia la vanità — rispose la madre.

In somma, il costume della Rita era riuscito veramente bene. Si sarebbe detto che la fanciulla fosse una figurina giapponese, uscita, vivente e sorridente, al colpo di bacchetta d’una fata, da un ventaglio di carta di riso con le stecche di lacca intarsiate. [p. 201 modifica]

Nello, egli pure, era molto soddisfatto della sua divisa all’antica. Stava bene in quell’abito di panno turchino con le rivolte rosse e i galloni d’argento, in que’ pantaloni a coscia di pelle bianca serrati negli stivali neri ad alto gambale. Ciò che lo divertì più di tutto, fu la parrucca bianca con la coda stretta da un fiocco, e su la parrucca il cappello a tre punte, che gli dava un’aria birichina ed elegante, da chiamare i baci.

In tanto la contessa aveva fatti preparare, senza saputa de’ figliuoli, dei piccoli biglietti d’invito su cartoncino roseo a caratteri d’oro, con a capo un curioso disegno a colori. Il disegno rappresentava un topino nero in atto di porger la mano a una topina bianca, la quale portava fra le orecchie un ramoscello di fior d’arancio, e sul biglietto si leggeva:


«Margherita e Lionello dei conti Sernici hanno l’onore d’invitare la Signoria Vostra [p. 202 modifica]Illustrissima al matrimonio della loro Lilia col signor Mimmì Rosicalegno. Si ballerà.

»NB — Gl’invitati saranno tutti in costume.»

Questi bigliettini furono spediti a dodici o quindici famiglie d’amici, e diretti ai bambini, che alla lor volta si misero in allegria, quando seppero della festa che gli aspettava. [p. 203 modifica]

Quasi tutti, o poco o molto, conoscevano i topini di casa Sernici; e il nome della Lilia, la sorcetta tutta bianca, non era nuovo per nessuno di loro.

Ma chi può figurarsi quanto fantasticassero ne’ giorni che precedettero la riunione famosa?

— O che sarà questo matrimonio? — badavano a domandare a’ loro genitori e parenti, rapiti all’idea d’assistere a una festa così completa di bimbi e di bestioline.

I genitori e i parenti non sapevan che rispondere; ma, certo, se la contessa Sernici aveva preso a far qualcosa, doveva riuscir bene; perchè v’eran poche signore piene di cuore e d’intelligenza come lei.

Finalmente si arrivò alla felice serata del Natale. I saloni de’ Sernici eran tutti splendidamente illuminati; gruppi di piante fiorite li decoravano profumandoli. Soltanto l’ultima sala, quella attigua allo studio della contessa, [p. 204 modifica]rimaneva ermeticamente chiusa; e per quanto Rita e Nello avessero fatto, non aveano potuto penetrarvi.

Tra le nove e le nove e mezzo quasi tutti gl’invitati si trovarono riuniti. Erano piccole marchese di Pompadour, coi capelli incipriati, graziose nelle vesti cilestrine e color di rosa; Turchi barbuti da’ pantaloni larghi, dal turbante bianco, con in bocca una pipa più lunga di loro; contadine della Brettagna con le berrette puntute e alate, il fazzoletto di pizzo incrociato sul seno e la crocetta d’oro appesa al collo per un vellutino; c’era un soldato romano del tempo degl’imperatori; un Greco con la gonna a pieghe e la cintura carica d’armi di cartapesta; un trovatore del Medio Evo col liuto a tracolla; una zingara col vestito rosso e una miriade di medagline su la fronte e sul petto; poi pescatori e canottieri con le reti e co’ remi. Vittorio Dalpiano era un bel mago, con un abito sciolto di stoffa nera, [p. 205 modifica]bizzarramente disegnata di mezze lune d’argento, di soli d’oro e di segni cabalistici. In testa portava una specie di mitria a cono di tela dorata, e gli avevano appiccicata al mento una barba bianca che gli scendeva lunga sul petto. Al vederlo, i suoi compagni ridevano a più non posso, tanto era buffo.

Quando i bambini ci furon tutti, un’orchestra nascosta dietro una spalliera di camelie cominciò a sonare della musica a ballo.

Oh, che allegri valzer! Che armoniose mazurke! E sopra tutto, che quadriglie imbrogliate! Quante risate e quanto buon umore in quella società di creaturine felici!

Il bello fu quando Vittorio e parecchi altri bambini andarono a domandare ai padroncini di casa quando si celebrava l’annunziato matrimonio della Lilia con Mimmi Rosicalegno.

Rita e Nello ridevano. O che significava [p. 206 modifica]quella domanda? Che ne sapevano loro del matrimonio?

— Ma sì, ma sì che si sposano, e voi altri ci fate la burletta! — disse una bambina in costume da ciociara.

I piccoli Sernici protestarono che quella era la prima volta che ne sentivano parlare.

Allora parecchi di que’ fanciulli tirarono fuori il biglietto d’invito e lo mostrarono alla Rita e a Nello.

— Guardate! Guardate! — dicevano in coro.

La Rita e Nello capirono. Era un’improvvisata della loro cara mamma per rendere ancor più gioconda quella serata.... E corsero dalla contessa, buttandosele al collo.

― La Lilia è sposa, eh? La Lilia è sposa!

― Sì, e la piccola festa è completa! Vedrete se vi ho saputi contentare quanti siete, bimbi adorati e buoni topini. ―

Dopo queste parole, la signora fece un [p. 207 modifica]cenno a un servo, e la porta dell’ultima sala, la sala del mistero, spalancò i suoi battenti.

Tutti si precipitarono là dentro.

C’era una grande tavola in forma di ferro di cavallo, imbandita riccamente di servizi di porcellana fiorata e di argento, con una fila di piccoli vasi pieni di rose fresche, inframmezzati a’ candelabri accesi, che splendevano come gruppi di stelle.

Nel vano del ferro di cavallo sorgeva una tavola rotonda anch’essa, ben apparecchiata, ma con piatti minuscoli, da bambole, e delle coppe basse di cristallo rabescato d’oro.

Là su la tovaglia stavano Ragù e la Caciotta, invecchiati ma allegri; Dodò, contento dell’opera sua; Moschino, più spiritello che mai; Bellino che girava gli occhietti meravigliati da torno, intendendo o poco o nulla, e finalmente la Lilia, con al collo un nastrino di raso bianco dov’era attaccato un mazzolino di fior d’arancio artificiale, e Mimmì [p. 208 modifica]adornato d’un nastrino scarlatto, in segno di gioia.

Tutti i bambini s’affollarono intorno alla tavola dei topi, gridando: ― Viva gli sposi! ― un grido che mise una paura birbona in corpo a Bellino.

Chi carezzava la Lilia; chi ammirava la grossezza di Dodò, chi il musino furbacchiolo di Moschino. Anche Mimmì, che nel suo genere era un bel topo, fu giudicato assai grazioso con quella collana rossa, che spiccava sul suo pelo nero. E nè pure alla Caciotta, a Ragù e a Bellino mancarono gli elogi e i baci.

Vittorio pensava alla sua povera Ninì. Oh, se ci fosse stata anche lei a quella bella festa!

Poco dopo cominciò la cena.

Prima degli altri furon serviti i sorcetti. Non ci mancava altro, che gli sposi non avessero avuta la precedenza! Nelle piccole coppe fu loro versato del vino di Marsala; su’ [p. 209 modifica]vassoi, adattati a loro per la grandezza, ebbero pesce in salsa maionese, petto di pollo arrosto, torli d’uova sode, grumoli di lattuga, formaggio fresco, crema co’ savoiardi e noci.

Per un rinfresco di nozze topesche non c’era male, mi pare!

A’ bambini, poi, fu offerta una cena da far invidia ai grandi quando si trovano alla tavola del Re. Il giorno che la contessa l’aveva ordinata, era stata un’ora d’orologio in colloquio col cuoco, scervellandosi a trovar tutto quello che ci può esser di più squisito e in pari tempo di più sano per lo stomaco delicato e per l’ingenua ghiottoneria dei ragazzi.

Bisognava però convenire che la cena non sarebbe potuta esser migliore. I bimbi mangiarono a quattro ganasce, bevvero, risero, cicalarono.

Che dirò della famiglia dei topi?

Moschino e Bellino, quello per avidità, [p. 210 modifica]questo per ignoranza, s’eran già buttati su le noci. Ma Dodò li ammonì, nella loro lingua, che le noci si mangiano all’ultimo. E tutti l’ubbidirono, e si portarono da gente educata. Mimmì, lui, faceva quel che vedeva fare a Dodò, tanto per non isbagliare; e guardava teneramente la sua sposa, tutta bianca, davvero, come un giglio.

― Come ti voglio bene, cara Lilia! — le ripeteva piano.

― Oh, anch’io a te! ― gli rispondeva la sposa ― ma voglio anche tanto bene al nostro buon Dodò, che ti ha così ben consigliato. Vedi come siamo felici per opera sua!

― Sicuro, sicuro.... — sentenziava la vecchia Caciotta; chi dà un buon consiglio fa il più grande dei regali! ―

C’era nella sala un gran rumore di forchette e di coltelli, di bicchieri cozzanti fra i brindisi, di risa, di piccoli gridi.

Ma in tanto gli occhi di que’ bimbi [p. 211 modifica]correvano spesso a un alto paravento, che mascherava tutt’un angolo della sala. O che cosa ci poteva esser là dietro? Rita e Nello si stringevano nelle spalle; nè anche questo sapevano. Doveva essere un’altra sorpresa gentile e gradita.

Così fu. Quando il banchetto infantile ebbe termine, il paravento venne tolto; e apparve agli occhi incantati dei fanciulli un magnifico albero di Natale che portava, tra le sue fronde, una miriade di candeline verdi, azzurre, rosse, gialle, lilla, tra un intricamento di fili d’oro, d’argento e di rame, che ne rendeva più vivo lo splendore. E tra i lumi e i fili metallici pendevano (frutta e fioritura meravigliose!) un subisso di regali: premi d’una lotteria in cui vincevan tutti, perchè ciascun regalo recava il numero d’una piccola cartella, toccata in sorte a uno de’ fanciulli.

Oltre a ciò, le bimbe ebbero tutte indistintamente un braccialetto d’argento, e i bimbi [p. 212 modifica]un medaglioncino da orologio con la leggenda: — Sii buono con gli umili — una leggenda che rivelava l’affetto e la pietà di casa Sernici per tutti i bisognosi; e anche per le povere bestie.