Una caccia sulle Montagne Rocciose
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UNA CACCIA SULLE MONTAGNE ROCCIOSE
Fra le grandi selve delle Montagne Rocciose, gigantesca catena che forma l'ossatura principale dell'America settentrionale, e che dalle gelide sponde dell'Oceano Artico scende fino a quelle miti del golfo del Messico, vive una specie d'orso che senza dubbio è il più grande, il più audace e il più pericoloso di tutti e anche il più dannoso, poiché i guasti che reca sono incredibili.
I naturalisti lo chiamano ursus ferox, gli americani invece grizzly bear, ossia orso grigio, perché infatti il suo pelame ha tal colore. La sua statura è gigantesca, sorpassa di molto quella più grande degli orsi neri della Russia e dei bianchi delle regioni polari; la sua forza è così prodigiosa che stritola con un sol colpo delle sue zampe l'uomo più robusto, e i suoi unghioni sono così poderosi da sventrare un bue colla massima facilità o spezzare le reni a un'alce. È d'umor nero, vive quasi sempre solo, rintanato fra le macchie e non esce che di notte per procacciarsi il cibo. Malgrado la sua mole e la sua ferocia, ha un regime frugivoro e insettivoro, come gli altri orsi. Il suo nutrimento ordinario si compone di bacche, di noci e d'insetti che va cercando nel cavo degli alberi vecchi o sotto le pietre; ma quando ha assaggiato la carne diventa carnivoro e s'attacca ai grandi mammiferi.
Allora il grizzly lascia le foreste, discende nella pianura o sugli altipiani erbosi della grande catena delle Montagne Rocciose e sbrana alci, bisonti, cavalli e buoi. Guai se sorprende qualche mandria! ne fa una vera strage, poiché non si accontenta di uccidere uno o pochi capi.
Qualche volta spinge la sua audacia fino ad avvicinarsi alle borgate per cercare i maiali, poiché, come tutti i suoi congeneri, ha una passione spiccata per quelle succolente costolette e, da ghiottone raffinato, ama divorare vivi questi disgraziati animali, punto curandosi delle loro urla disperate.
Come ben si può immaginare, gli americani, e specialmente quelli che abitano le falde delle montagne, danno attiva caccia a questo predone; e, quantunque sappiano che è uno degli animali più pericolosi e feroci ed oltre ciò dotato di un coraggio temerario, fanno di tutto per ucciderlo. È vero che di tratto in tratto qualche cacciatore partito al mattino baldo e fidente non ritorna più al proprio casolare; ma gli yankees1 non sono persone da spaventarsi per così poco.
Alcuni anni or sono uno di questi orsacci aveva piantato il suo domicilio sulle vette del Dig-horn, immensa montagna che si erge fra gli Stati del Nebraska e dell'Utah. Dapprima s'era accontentato di cibarsi di frutta e d'insetti; ma poi, reso più audace e fors'anco spinto dalla fame, poiché la neve era caduta abbondante sulla montagna, erasi mostrato in vicinanza di un gruppo di casolari, abitati da alcune famiglie di minatori. Anzi una sera aveva tentato di scalare il recinto per entrare nel porcile, ed era fuggito solamente quando i cani si erano messi ad abbaiare furiosamente. I minatori, scoperte all'indomani le tracce, decisero di sbarazzarsi di un così pericoloso vicino, che poteva una volta o l'altra sorprendere i ragazzi e divorarli.
John Randolp e Harry Makperson, l'uno vecchio cacciatore di prateria, che aveva ucciso non so quanti bisonti e orsi, e l'altro buon tiratore di fucile, un mattino lasciavano i casolari, inerpicandosi su pei fianchi scoscesi del Dig-horn.
Faceva un freddo feroce e la neve cadeva a larghe falde, coprendo i grandi pini, i cui tronchi si slanciavano in aria settanta e fino cento metri, gli aceri, i cespugli spinosi e le rocce della montagna; ma i due cacciatori, preceduti da Top, un grosso e robusto cane che aveva già altre volte affrontato coraggiosamente gli animali delle grandi praterie, salivano sempre, seguendo le tracce del grizzly, che erano rimaste profondamente impresse sul candido manto.
Verso il mezzodì giungevano all'entrata d'una fitta pineta, fra i cui tronchi vedevansi correre parecchi grossi lupi. Si rinforzarono con una buona sorsata di whisky, armarono i fucili, si assicurarono che i coltelli da caccia scorrevano nella guaina; poi si addentrarono nella foresta, camminando con precauzione, poiché l'orso grigio, se ci vede male, ha però l'udito e l'odorato molto fini e s'accorge a una grande distanza della presenza dell'uomo.
Avevano percorso circa un chilometro, girando con circospezione i cespugli e gli enormi tronchi dei pini, taluni dei quali misuravano perfino venti metri di circonferenza, quando il cane si arrestò di colpo, emettendo un sordo ringhio.
— Adagio, Harry — disse il vecchio Randolp. — O m'inganno assai, o l'orso ci è vicino.
— L'hai veduto forse? — chiese il minatore, che era diventato leggermente pallido.
— No; ma Top l'ha fiutato. Guarda dove finiscono le tracce della fiera.
— Spariscono nel mezzo di quella fitta macchia.
— L'orso adunque è là. Sta' in guardia, Harry, perché è un bestione che non ha paura dell'uomo, e che resiste talvolta anche con sette od otto palle in corpo. Rimani qui e lascia che io vada a scovarlo.
Il vecchio cacciatore si gettò a terra e strisciò lentamente verso la macchia, seguito da Top, che continuava a far udire un sordo ringhio. Harry rimase solo, col fucile sul braccio e il coltello da caccia fra i denti, nascosto dietro il tronco d'un enorme pino, pronto ad accorrere alla prima chiamata del compagno.
Benché sapesse di essere un eccellente bersagliere e quasi mai non avesse mancato al colpo, pure, nel trovarsi in quella foresta quasi isolato con un orso così vicino, si sentiva invadere a poco a poco da una certa paura che facevagli tremare le membra e battere i denti.
La pineta, dopo la scomparsa del vecchio cacciatore, era diventata silenziosa. Non si udiva altro che lo stormire delle fronde agitate dal rigido ventaccio che scendeva dalle nevose vette del Dig-horn e di tratto in tratto qualche lamentevole ululato emesso dai lupi.
D'improvviso Harry udì Top abbaiare con furore e poco dopo una specie di grugnito, ma così forte, che pareva fosse partito di dietro al tronco del pino.
Temendo che il vecchio corresse un grave pericolo, si slanciò innanzi e si trovò subito a faccia a faccia con un orso di statura gigantesca, il quale camminava sulle gambe posteriori. Faceva paura, tanto era grande, e vieppiù perché aveva il pelame tutto arruffato per la collera, e la bocca aperta, mostrando delle zanne lunghe almeno due pollici ciascuna.
In quel momento supremo il povero Harry, che per la prima volta si trovava innanzi ad un grizzly in piena foresta, perdette la testa e fu lì lì per darsela a gambe; ma non ignorando che sarebbe stato inseguito e facilmente raggiunto, puntò macchinalmente il fucile e lasciò partire i due colpi quasi contemporaneamente.
L'orso, colpito in pieno petto, emise un grugnito terribile, ma non cadde, poiché simili bestioni, come dissi, resistono a parecchie palle, e continuò la corsa, agitando furiosamente le zampe munite di potenti unghioni, di cui un sol colpo sarebbe bastato per abbattere l'incauto cacciatore.
Harry ne aveva abbastanza. Lasciò andare il fucile, che ormai gli era più d'impiccio che di utilità, mancandogli il tempo di ricaricarlo, impugnò il coltello e se la diede a gambe, cercando di cacciarsi nel fitto della vicina macchia; ma non aveva fatto dieci passi che si sentì afferrare pel di dietro e serrare con forza irresistibile fra due zampe villose.
Il grizzly con due balzi l'aveva raggiunto ed ora cercava di stritolarlo, serrandoselo contro il petto. Harry emise un urlo terribile, straziante:
— Aiuto, John!...
L'orso stringeva sempre e con tanta forza che le ossa del disgraziato cacciatore scricchiolavano. Fortunatamente Top lo inquietava mordendolo ferocemente or dinanzi e or di dietro; ma non bastava per fargli lasciare la preda.
Ancora qualche minuto e il povero minatore non sarebbe più tornato vivo al suo casolare. Ma ecco d'un tratto una voce gridare:
— Non temere, Harry! Sto per giungere!...
Era John che accorreva con tutta la celerità possibile. Malgrado la sua tarda età, balzò con una agilità meravigliosa fuori della macchia, si fece addosso al grizzly e, puntato il fucile, fece fuoco a bruciapelo.
L'orso, colpito nel cranio, aprì le zampe, lasciando cadere il cacciatore; girò due volte su se stesso, poi stramazzò pesantemente a terra, rimanendo immobile: era morto!
Quando John accorse in aiuto del compagno, questi era svenuto, tanto era stata potente la stretta dell'animale. Dovette penare assai a farlo tornare in sé e molto più a ricondurlo a casa, poiché il grizzly gli aveva spezzato tre costole!
Due mesi dopo Harry era guarito, ed ora la pelle del gigantesco plantigrado gli serve da tappeto; ma da quella volta ha rinunciato per sempre ad affrontare i pericolosi ospiti del nevoso Dig-horn.
Note
- ↑ Così si chiamano gli americani del nord.