Un equivoco
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Un equivoco.
Indiscutibile
bel ritrovato
certo il telefono
per tutti è stato;
però gli equivoci
in quantità
son del telefono
specialità.
Un bel mattino
ad un parente
doveo discorrere
per cosa urgente;
corro al telefono,
fo’ per suonare,
giro il manubrio,
torno a girare:
Drin, drin!, ma inutile,
nessun dà retta,
suono, risuono
con tutta fretta....
Alfin risponde
la signorina.
― Dorme ella dunque
— già di mattina? —
» Scusi, signore,
» aveo da fare;
» con chi, di grazia,
» vuole parlare?»
— La prego il numero
— quattro e settanta! —
» Va bene, subito,
» quattro e sessanta.»
― Ma no, che caspita,
— dorme davvero?
— ho detto il quattro
― col sette e zero! —
» Va bene, ho inteso!»
― (oh! finalmente!)
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
ed una voce
tosto si sente:
«Pronti! chi chiama?»
— Son io che parlo! —
«Chi dunque, in grazia?».
— Son io, son Carlo! —
«Carlo? benissimo,
» non è che un nome;
» faccia conoscere
» il suo cognome!»
— (Uff! che mi salta
— la mosca al naso!
— o che bel tipo!
— guarda che caso!)
— Ma dica insomma;
— chi è lei signore! —
«Dei luoghi comodi
» il direttore.»
Rimango attonito,
mi pare un sogno,
— Grazie! — gli grido,
— non ho bisogno! —
e senza indugio,
nè complimenti,
mando al telefono
mille accidenti.