Un bel sogno/VII
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VII
La sera era fresca e tranquilla. Il sole aveva già segnata la sua ritirata dietro le cime dei monti, e della sua luce splendida ed abbagliante altro non vi rimaneva che un rosso crepuscolo. Verso levante vedevasi apparire sull’orizzonte un grand’arco luminoso del disco lunare; era l’astro della notte che nella sua fase di massima pienezza succedeva quasi immediatamente al sole. — Era una di quelle sere in cui s’impegna una lotta accanita tra la luce della luna che nasce e quella del sole che muore; ma i raggi crepuscolari cedono sensibilmente il campo, la striscia di fuoco che brillava all’occaso si restringe lentamente, e poco dopo vi rimane un barlume appena di luce che spegnesi con lenta agonia lasciando la luna trionfatrice sola nel dominio della volta celeste.
Spirava una brezza fresca e soave il cui carezzevole alitare temprava alquanto l’afa soffocante di quella calda giornata.
Una ricca carrozza scoperta tirata da due bei cavalli, stava ferma davanti al palazzo Ramati, e poco dopo vi salirono sopra Laura, sua madre, Letizia ed Alfredo. — Laura e Letizia si collocarono in faccia ad Alfredo e madama Ramati. Sul balcone eravi l’avvocato che mandò loro l’ultimo saluto; indi la carrozza si allontanò velocemente.
Laura mollemente adagiata sui cuscini col capo abbandonato all’indietro, stava immersa in profonda meditazione — Per la velocità della corsa l’aria fendeva più rapida il di lei viso scomponendole leggermente i biondi capelli di cui alcuni fiocchi svolazzavano all’indietro come se volessero fuggire. I suoi sguardi erravano sulle case fiancheggianti la via, e parevale che gli oggetti circostanti fuggissero rapidamente il suo mesto saluto.
Nel dare l’addio estremo ai luoghi ove erano state concepite tante dolci speranze, ella provava una dolorosa emozione; quelle mura, quelle case, quei giardini; tutto insomma aveva un’espressione di dolcezza affascinante che le commoveva l’animo.
»Sospira, sospira povera fanciulla a sì straziante addio; ogni passo di quei focosi cavalli, ogni tratto percorso dalla carrozza, porta via a brani il caro edifizio delle tue illusioni, ed accrescendone il loro incanto, rende più grave il dolore della separazione — Le speranze del tuo casto amore erano sublimi, ignara dei disinganni accarezzasti confuse lusinghe; la realtà scosse il tuo trasporto, ti svegliò dal tuo dolce sopore, ed un destino amaro ti porta lunge dal teatro delle tue dolcezze — Le lagrime che ti brillano sugli occhi sono le prime che trovano eco nel tuo cuore; la tua mestizia tragge fonte per la prima volta dal più profondo dell’anima tua!
»Piangi pure! o fanciulla, piangi con lagrime amare nel dare l’addio a questa città che racchiude nel suo seno colui che solo fra gli uomini potrebbe fare la tua felicità; colui che la tua dipartita renderà altrettanto sventurato quanto fu felice nello scoprire il secreto del tuo cuore.
»Piangi e spera! Le lagrime dell’oggi vengono cancellate da quelle del domani: Ecco la vita!
La carrozza si fermò dinnanzi alla stazione, tutti discesero; Letizia tentava invano di distrarre la povera Laura il di cui abbattimento era portato all’estremo. L’amabile giovinetta aveva pianto, e teneva gli occhi ancor pieni di lagrime rivolti verso la città.
Ermanno non era ancor giunto, ed ella n’era inquieta; non già che dubitasse di lui, il cuore le diceva che a qualunque costo ei non avrebbe mancato; ma temeva che un qualche incidente gli facesse ostacolo — Ella voleva vederlo ancor una volta per rivelargli collo sguardo tutte le pene che soffriva il di lei cuore — E quella lettera? in essa la meschina fondava tutte le sue speranze per qualche conforto, allorchè fosse giunta a casa.
— Partenza per Milano, gridò una voce roca.
Ed egli non veniva ancora; invano Laura spingeva lo sguardo ove più glie lo permetteva la scarsa luce della luna — Ad un tratto il di lei occhio scintillò di gioia, ed il cuore le balzò vivamente in seno — Era desso!
Diffatti Ermanno apparve poco lungi. Era tempo!
Laura senza punto curarsi degli altri, e spinta da un moto involontario, gli si fece incontro stendendogli la mano.
Una lettera passò da una mano all’altra in un baleno, e mentre Ermanno volgevasi a salutare Madama Ramati, Laura la nascose lestamente in seno.
— Per Milano si parte, ripetè la stentorea voce del guardia sala.
— Buon viaggio, tanti saluti allo zio.
— Mille grazie!
— A rivederci signor Ermanno, disse madama Ramati, venga presto a trovarci a Milano; l’aspettiamo.
— Non mancherà occasione.
— Addio Laura!
— Addio Letizia, e le giovinette si baciarono.
— Addio signor Ermanno sclamò Laura afferrandogli la mano... si ricordi di noi... e delle sue promesse... Non potè proseguire; le lagrime le troncarono la parola sulle labbra — Fuggì soffocando i singhiozzi, e mandandogli un’ultimo sguardo addolorato.
Non eravi tempo da perdere; madre e figlia presero posto nel vagone. — Laura si lasciò cadere oppressa in un’angolo accanto allo sportello, e subito dopo il convoglio si mise in via.
Ermanno era a poco per piangere; Alfredo voleva ad ogni costo che salisse in vettura, ma egli si rifiutò; strinse la mano a Letizia, la quale era pure alquanto commossa, indi s’incamminò lentamente verso la sua dimora.
Il dolore di una separazione così amara è troppo grande, troppo immenso perchè la parola possa rivelarlo. — È questa una di quelle sofferenze che non trovano espressione in tutte le umane favelle. Per comprendere quale fosse il dolore di Ermanno, è necessario porsi una mano sul cuore, interrogarlo in tutte le sue rimembranze, richiamarlo a tutte le emozioni del passato, farne rivivere i palpiti; e se il cuore risponde a questa pressione con un sospiro, allora soltanto si potrà comprendere quanto male arrechi una sì triste separazione!
Non parliamo no a quelle anime volgari che sorrideranno cinicamente al racconto di questi dolori. Si sa, essi non saprebbero compiangere l’infelice Ermanno — Ridano pure costoro, che poco importa; il disdegno per i dolori degli altri è per essi la più gran felicità che possono godere in terra — Ridano pure giacchè non sanno piangere; il riso è la più sublime delle loro sensazioni.
Le ironie di costoro stanno al basso come le loro intelligenze.
Ermanno giunse a casa mesto e silenzioso; si abbandonò sulla poltrona e stette immerso ne’ suoi pensieri senza neanche volger parola a sua madre — Egli soffriva come se gli venisse lacerata qualche parte del cuore. Il suo sguardo vagava sugli oggetti circostanti, ma il suo pensiero volava dietro alla graziosa giovinetta.
Per quella sera non volle uscire malgrado che il tempo invitasse al passeggio; sua madre poverina lo pressava con incessanti domande a cui egli rispondeva appena, e la buona donna infine credendo miglior partito lasciarlo solo a meditare, si ritirò nell’altra camera.
Allorchè Ermanno fu solo, si mise in moto per la stanza, e passando dappresso al caminetto si fermò a guardare alcuni fiori che languivano in un bicchier di acqua — Erano appassiti! Egli sospirò e volse altrove gli sguardi.
Aperse il pianoforte colla massima noncuranza, ne sfiorò i tasti stando in piedi, quindi lo rinchiuse sorridendo amaramente — Anche la musica aveva perdute le sue attrattive — Trascinò la poltrona sul balcone, vi si adagiò sopra e se ne stette per lungo tempo immobile vagando collo sguardo fra le stelle del cielo. —
La natura era bella illuminata dal patetico raggio lunare; ma egli chiuse gli occhi per richiamarsi alla mente la figura di Laura. — Certo l’immagine di lei sì ardentemente evocata rispose al suo desiderio, perchè egli aveva sulle labbra un mesto sorriso — Suonò la mezzanotte, ed ei conservava ancora la stessa attitudine. Quella specie di letargo durò molto....
Una rondinella accovacciata sui ferri del vicino balcone intuonò sommessamente il suo cicalío....
Ermanno apri gli occhi, guardò il cielo e vide che la luna già tendeva al tramonto, mentre ad oriente appariva una luce biancastra.
Era l’alba.