Un antro vitturino
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832
UN ANTRO VITTURINO
M’aricconta mi’ padre che l’Ingresi
C’ar zu’ tempo a li stati papalini
Ce vienivano a ffà li milordini,1
Spenneveno da prencipi Bborghesi.2
Ma bbisogna che mmó cquelli paesi
Abbino dato fonno a li cuadrini,
Perchè mmó sse la passeno a llustrini,3
E bbiastìmeno4 poi d’avélli spesi.
Io m’aricordo sempre, m’aricordo,
D’uno che mme maggnò la bbonamano,5
E ppiù strillavo ppiù fasceva er zordo.
Io je disse però dda bbon romano:
“Accidentacci in faccia ar zor Milordo
Ch’è sbarcato a la chiavica de Fiano.„6
Roma, 14 dicembre 1832
Note
- ↑ Dalla parola mylord è derivato in Roma il vocabolo di milordo o milordino, in significazione di “uomo azzimato.„
- ↑ Per dinotare ricchezze e splendidezza, il volgo introduce sempre il paragone della famiglia principesca dei Borghese.
- ↑ Mezzi paoli d’argento.
- ↑ Bestemmiano.
- ↑ Soprappiù del prezzo di nolo, che i vetturini non mancano mai di pretendere, né mai di riputar sufficiente.
- ↑ Cloaca che sembra un portone, patente nel bel cuore del Corso romano, intorno al palazzo degli Ottoboni Duchi di Fiano, prossima però adesso a scomparire, mercé la nuova livellazione già incominciata di quella via.