Tristezza e speranza

Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1843 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu sonetti Tristezza e speranza Intestazione 23 luglio 2020 25% Da definire

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Questo testo fa parte della raccolta II. Dai 'Canti lirici'
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I

TRISTEZZA E SPERANZA

Tristis est anima mea usque ad mortem.

     Coi giacenti sulla porpora,
cogli arrisi dalla sorte
non comunica il mio spirito;
triste egli è sino alla morte!
5Io non cerco un facil vanto:
cerco i pochi che in amor
benedicano al mio canto,
sentan meco il mio dolor.


     Cerco i pochi! Innumerabile
10è lo stuol dei travagliosi;
scarso è quel che nella provida
sua mestizia si riposi.
La sventura non è bella,
glorioso il duol non è,
15se la mente si ribella
alla man che ce lo die’.

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     Debil creta, e perché susciti
un lamento contro Dio,
se anzi tempo il dí novissimo
20ti sorgiunge dell’addio?...
Cielo e terra in suo linguaggio
non ti grida e notte e dí:
— Cingi i sandali al viaggio,
la tua casa non è qui? —


     25Tu fra sterpi hai visto un gracile
fiorellin di primavera:
lo prometti a la tua vergine,
e tel toglie la bufera.
Tra le care e note piante
30cantar senti un usignuol,
e dal piombo fulminante
è ferito, e cade al suol!


     Come il raggio, che continuo
parte e riede al suo pianeta,
35tutto parte da un’origine,
riede tutto ad una meta.
Sogna e passa chi l’ebrezza
ha sul volto del piacer;
chi negli occhi ha la tristezza,
40va solingo e trova il ver.


     Soffri e spera! Se i tuoi gemiti
con la speme avrai contati,
per un altro in altra patria
ti verran rimeritati.
45Sono povere e fugaci
le mercedi di quaggiú...
Prega e soffri, attendi e taci:
pensa il cielo alla virtú.

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     Pensa il cielo a quelle lagrime,
50che nei dí dell’abbandono,
non sacrileghe, dai poveri
occhi tuoi grondate sono:
e se il mondo non le vide,
ebber l’ombra per altar!
55Facilmente il mondo ride,
e conduce a disperar.


     O fanciulla, nel terribile
sovvenir degli anni casti,
pensa il cielo alle vigilie
60che nel pianto consumasti.
Passa il mondo, e a te non bada,
come un ispido villan,
che calpesta sulla strada
un bel fior cresciuto invan.


     65E voi, nati dall’obbrobrio,
le incolpabili pupille
sollevate dalla polvere:
al suo regno Iddio sortille.
Chi vi niega un breve letto
70vuole il sonno a sé rapir:
sette volte è maladetto
chi vi stringe ad arrossir!


     Ma lassú nelle sue pagine,
come raggi, ha Iddio raccolto
75il sospir de la vostr’anima,
il rossor del vostro volto;
e quel cencio, che è tesoro
d’una santa povertá,
nel gran giorno in veste d’oro
80il Signor vi muterá.

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     E voi tutti, che dai visceri
della madre al duol venite,
se nel dubbio vi tremarono
mente e cor, non vi smarrite!
85L’arduo dí dello sconforto
Dio non pesa col rigor:
di Getsemani nell’orto
tremò anch’egli il Salvator.


     Senza posa al vacuo giubilo
90perché corri, o cieco mondo,
e per l'uom, che non ti séguita,
hai lo scherno inverecondo?
Una prece mormorata
nel dolor non sai che val,
95né una lacrima versata
da uno spirito immortal!


     Terre e monti spezzerannosi
come un fragile arboscello,
e consunti andran gli oceani
100come l’onde d’un ruscello;
sin la luce andrá smarrita,
che per tutti Iddio creò...
Sol chi pianse avrá la vita
fuor del mondo, ov’ei sperò.


     105Io son triste, e sol comunica
il mio spirto coi dolenti;
ma si volge e riconsolasi
nella patria dei redenti,
qual chi torna e via nel piano
110riconosce il caro ostel,
o intravede di lontano
una parte del suo ciel!