Tre libri dell'educatione christiana dei figliuoli/Libro II/Capitolo 118

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Della loquacità, et del parlare considerato. Cap. CXVIII.

Una principal radice, si come à me pare, di molti peccati che si comettono con la lingua, è la loquacità, vitio famigliare delle donnicciuole, fra le quali allevandosi il fanciullo ordinariamente, è da avvertire che nel petto tenero non si spargano semi di questo difetto, onde poi divenga, cresciuto ch’egli sarà, un cianciatore che inconsideratamente parli, et sparli, perche come il savio dice, Nel molto parlare non vi è mancanza di peccato. Et perche cosi in questa come in tutte le altre cose pertinenti à i costumi, è vero quel detto famoso, A teneris assuescere multum est, ciò vuol dire, che molto importa lo assuefarsi in qualche cosa dagli anni teneri, per tanto habbiasi consideratione alla natura della nutrice, et la savia madre aiuti, come altrove si è detto, la diligenza paterna, et massime intorno alle figliuole, ricordandosi, che nelle donne è grande ornamento la modestia, et la taciturnità, onde san Paolo scriveva à Timoteo dicendo, La donna impari in silentio con ogni sommissione. Et in un’altro luogo della istessa Epistola si duole, che le vedove giovani vanno girando otiosamente per le case altrui, et non solo otiose, ma verbose, come egli dice, et ciarliere, et curiose, parlando di quello che non bisogna, et nella historia evangelica poche volte si legge che la Beatissima Vergine parlasse, et sempre brevemente se non lodando et magnificando Iddio, et il suo parlare, era per opre di carità, et necessarie, ma ben di lei è scritto, che con il silentio conservava, et conferiva nel cuor suo le cose udite. Adunque avvezzi il nostro padre il figliuolo alla modestia, et à parlar sobriamente massime alla presenza de i suoi maggiori, percioche all’età fanciullesca et giovanile, la quale come inesperta, la necessità d’imparare da gli huomini più attempati, si conviene più l’ascoltar che il ragionare; et del Salvator nostro si legge nell’Evangelio, che stando nel mezzo de’ Dottori, di età di dodici anni gli ascoltava, et interrogava. Si legge anchora del beato santo Thomasso d’Aquino nobilmente nato, et santamente educato, ch’era cosi taciturno, che i scolari suoi compagni, lo chiamavano bove muto, ma il valente maestro conoscendo che quella non era stupidità, ma attentione et modestia, soleva dire, questo bove muto darà un giorno grandissimi mugiti, di che non s’ingannò punto. Ma generalmente parlando, et per il più, giova l’andar ritenuto nel parlare, et secondo una antica sentenza più spesso nuoce haver parlato, che haver taciuto; et dicea un’huomo savio che la natura istessa ci havea insegnati ad esser più pronti ad udire, che à parlare, havendo fatto due orecchie, et una lingua sola; et un’altro dicea, che non senza [p. 105v modifica]misterio la natura beata havea fatto due ripari, che sono le labra, et i denti, acciò la lingua lubrica non prorompesse precipitosamente à parlare. Et nelle divine lettere san Iacomo ci esorta à parlar pesatamente, dicendo; Sia ogni huomo veloce all’udire, et tardo al parlare, et tardo all’ira. Et con ragione congiunse l’Apostolo la tardità dell’ira con la tardità del parlare; sì perche dalle molte parole si accende spesso l’ira, sì perche allhora più si parla inconsideratamente quando altrui è adirato.