Trattato dell'imbrigliare, atteggiare e ferrare cavalli/Trattato 2/Capitolo 10
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Trattato 2 - Capitolo 9 | Trattato 2 - Capitolo 11 | ► |
Della carriera co'l cavaliere à cavallo in dissegno, & un discorso de certi maneggi con essa, con alcuni pareri etiamdio necessari. Cap. X.
VOlendosi far correr il cavallo prima d’ogn’altra cosa dee il cavaliero passeggiarlo peìl corso, & gionto che sia in capo d’esso voltar quello co’l proprio modo, che se haverà tenuto nel passeggio, ò sia stato di passo, overo di trotto, fermandolo poi con la testa diritta, & con la vita pe’l lungo del detto corso. Può ancho fare avanti, che gionga in capo del corso (però lì vicino) una rimessa con meza volta à man destra, tenendo il modo, & tempo usato nella volta di contratempo, overo in misura di mezo tempo, ò di tutto tempo; nondimeno io laudo più li primi due tempi in simil luogo. Et fatto, che s’habbia la rimessa si tenga pe’l diritto, & stato, che sia egli alquanto fermo ivi, lo levi subito con tutta la vita alla carriera veloce, battendolo tutto ad un tempo co speroni, & con la bacchetta (se s’haverà) nella spala sinistra; potendosi ancho in quel punto usare la voce terribile in alcuni, le quali cose il cavaliere faccia con temperamento. Et si avertisca non batterlo molto perche correrebbe peggio, & oltre, che s’affiaccarebbe il cavallo, saria etiandio brutto vedere il cavaliere dimenarsi con la vita assai, & saria ancho di poca laude usar il cavallo ad essere necessariamente assai battuto; & quando si sarà presso’l fine del corso s’incominciarà à ritenere pe’l diritto, facend’ogn’opera, perche vada con l’anche à terra & tenga la testa al segno, & che mastighi la briglia, & si mostri inquieto, con tenere hor l’uno, hor l’altro braccio levato. Et se al cavaliere nel ritenerlo nel fine della carriera paresse farli fare alcuni salti à balzi, lo può fare, come piu avanti nel capitolo di detta misura sarà da me descritto. Ma si avertisca inanti che si voglia faccia il salto che prima bisogna tenerlo à poco, à poco soavemente, accio che nel fine non fusse egli in fuga, perche non potrebbe ben saltare; ma poi quando si vuol che salti alentargli la briglia. Et volendo il cavaliere tenere altro modo può fare nel fine della carriera con quella misura, che’l vorrà due, o quattro rimesse; perche bisogna siano pari di numero; retenendolo poi fatte, che saranno pe’l diritto, con possate volendo. Et si dee avertir bene di non li far fare mai cosa che le sue forze non possano tolerare, acciò non restasse egli nel fine stanco, & lasso; perche cosi facendo, non solo si mostrarebbe il cavaliere di poco giuditio, ma ancho daria occasione di far tenere il cavallo, & se stesso in poco valore & stima. Et perche ho detto, che lo strepito della voce, e buono aiuto, & ancho il fischio della bacchetta con alcune bacchettate, però per farmi hora più chiaramente intendere; acciò che alle volte non si pigliasse una cosa per un’altra ridico, che ciò laudo per cavalli giovani maneggiandoli: ma per gl’ammaestramenti, il più delle volte, lo biasmo; & massimamente quando al cavaliere bisogna servirsene per forza dove intervengono armi, ò siano elle per spasso, ò per altro; perche per alcun modo non voglio, che al cavallo sia nuovo non esser gastigato, & aiutato con li predetti aiuti, & specialmente quello della voce. Nelli maneggi poi che si può usar la bacchetta dico, che si proceda di modo che si giovi à quello, in saper batterlo con essa, la quale secondo il tempo s’ha di adoperare, facendo il tutto aggraciatamente, & con bel modo; acciò che il cavaliere con essa non faccia brutto vedere, come hoggidì è fatto da molti. Ma perche non si maravigli alcuno, che io dica spiacermi usar questi aiuti in cavalli ammaestrati, con tutto, ch’essi siano buoni adoperati però al suo tempo, dirò in ciò l’intentione mia; la quale è, che fra l’altre parti non buone, è male udire un cavaliere gridar à cavallo, & brutto vedere è poi anchora dimenarsi assai con le membra, & con la vita; perche solo si ha egli à movere un pocchetto con quella à certo tempo per aiutarlo, accioche da lui sia fatto il voler suo, mostrando ancho con ciò à risguardanti di non essere statua anzi haver garbo, & maniera di star à cavallo. Causa anco ciò spiacermi perche il grido che fa il cavaliere, & il fischio della bacchetta sono simili à quelli, che sogliono usare i cocchieri nel guidar cocchi, ò carrette, perche essi ciò sogliono fare, & con la voce, & con la bacchetta in mano, overo con la sferza; alle qual cose quando’l cavallo vi fusse avezzo saria tanto peggio; perche accadendo il cavaliere non volesse, ò non potesse usarle, impedito egli da qual si voglia cagione non le sentendo il cavallo, sarebbe non troppo ubidiente. Però non bisogna, che paia strano al cavallo non essere aiutato con quelle, & parimente ancho al cavaliere di non havere essa bacchetta in mano. Et questo dico, perche sono alcuni tanto avezzi con quella, che alle volte non l’havendo impensatamente dimenano, non tanto la mano, ma etiamdio il braccio, si come l’havessero; & più anchora, che non farebbero se quella tenessero; à tal, che par proprio habbiano quello scavezzo. Della quale bacchetta se alcuna volta paresse bene al cavaliere servirsi per più vaghezza lo faccia; ma con tal maniera, & destrezza, che satisfaccia non solamente all’animo, & appetito suo, ma a quel de gl’altri. Et se vorrà ancho con essa gratare il collo alli cavalli, massime alli giovani, lo può fare; quando però essi danno occasione, che li sia usato lusinghe, & carezze; & se non basta con la bacchetta si faccia con la mano, & vooce ancho, usandoli all’hora più, che si puote altri simili vezzi, acciò cresca ad essi ogni dì l’animo di far bene. Et perche io non vorrei, che alcuni si dessero ad intendere che io non sapessi ben l’effetto, che fa l’aiuto della voce, per aborrirla come faccio, nel cavallo ammaestrato; per ciò egli m’è parso scriverlo, si per questo, come ancho per causa di quelli, che no’l sanno; acciò che cresca lor l’animo volontier servirsene, ma in cavalli non anchora ben disciplinati. Della qual voce dico, che nel cavallo opera questo, che non solo di essa n’ha gran tema, ma ancho gli accresce l’animo ingagliardendolo anchora, mutandosi però il tono di essa. Peroche avviene a loro come à soldati, i quali quantunque siano stanchi & lassi, sentendo il suono delle trombe, & tamburi allegro, & gagliardo, crescono d’animo, & par che raddoppino le forze. Il che, secondo il mio giuditio, procede da quella contentezza, che l’animo riceve dell’armonia de gli strumenti, la quale opra, che gli spiriti s’ingagliardiscono facendo rivivare tutte le membra. Come medesimamente per ogn’altro strumento, che viene allegramente sonato si veggono, non solo gli spiriti nostri, per melanconici, che noi siamo, prendere allegrezza, ma l’istesse membra anchora ingagliardirsi. Et poi pe’l contrario si come gli predetti strumenti non allegramente sonati inducono melanconia, & languidezza ne gl’huomini cosi accade, che la voce del cavaliero opera nel cavallo, che non tanto quello non ardisse esser rincrescevol, ne vano,
ma sta in cervello, si pacifica, s’allegra, gode, & cresce, d’animo, & mostra
ancho all’hora maggior forza: ne per altro mezo, & aiuto, ciò si
può fare. Ma io con tutto questo non laudo la voce per cavalli
ammaestrati, per le cause dette di sopra, salvo, che a-
stretto da una necessità: come sarebbe in un caval-
lo alquanto tedioso per levarli co’l grido il
maligno animo, c’havesse. Il modo
poi, che si dee tenere, & il tem-
po in mandarla fuori
non dirò, per esse-
re cosa mol-
to di-
volgata, & sapputa, &
pienamente
scritta.
Disegno del sudetto maneggio.