Trattato dei governi/Libro terzo/IX
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(Politica) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
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Ma s’e’ fusse uno, che tanto avanzasse gli altri per virtù, o fussino così fatti più d’uno, ma non tanti di numero, che potessino riempiere la città, di tale maniera dico, che la virtù di tutto il popolo, e la possanza non fusse paragonabile con quella di questi, se e’ fussino più questi sì virtuosi; e se e’ fusse uno solo, che ella non si potesse pareggiare a quella di costui; dico in tale caso tali non potersi chiamare parte della città, perchè e’ si farebbe loro ingiuria da chi si stimasse degno degli onori, che essi meritano; essendo a loro tanto inferiori di virtù e di potenza civile. Che egli è ragionevole, che un tale uomo infra gli altri sia in guisa di Dio.
Onde si vede, che le leggi debbono essere poste infra li pari e di potenza e di sangue, ma infra questi sopraddetti non si può dare leggi. E la ragione è, che essi sono legge; e darebbe bene da ridere chi si sforzasse di darle a simili. Che e’ si potrebbe forse dire in tal caso quello, che dice Antistene de’ lioni, quando le lepri, chiamato il consiglio, ferono pratica, e stimarono essere ragionevole, che tutti avessino l’uno quanto l’altro. E per questa ragione i governi popolari hanno ordinato lo ostracismo, perchè essi pare che voglino la parità in tutte lo cose; onde egli hanno trovato il modo di mandare in esilio, e d’allontanare dalla città per certi spazî di tempo determinato tutti quei, che per via di ricchezza o per numero d’amici, o d’altra potenza civile avanzino gli altri.
Favoleggiasi ancora per questa cagione medesima, che gli Argonauti lasciassino Ercole, perchè ei non voleva, insieme con esso loro guidare la nave chiamata Argo per nome; parendogli avanzare d’assai gli altri compagni. Laonde non si debbe stimare, che con ragione abbino biasimato quei, che riprendono assolutamente la tirannide e il consiglio di Periandro dato a Trasibulo. Perchè e’ si dice, che Periandro non rispose cosa alcuna a uno imbasciadore mandatogli a domandare consiglio, ma che ei mandò bene a terra con una bacchetta tutte le spighe, che erano supereminenti, e ridussele tutte al pari: onde senza che l’imbasciadore intendesse la cagione del fatto per la risposta datane a Trasibulo, avere lui conosciuto, che e’ bisognava tor via tutti quei cittadini, che erano troppo grandi.
Che un tale precetto invero non pure è buono ai tiranni, e non pure d’esso si servono li tiranni, ma parimente serve agli stati dei pochi potenti ed ai popolari. Imperocchè l’ostracismo contiene in sè la medesima virtù in certo modo, vietando ai cittadini la troppa grandezza col fargli ribelli. Questo medesimo è osservato nelle città e nelle province da chi le vuol tenere sotto per forza; siccome fanno gli Ateniesi de’ Samî, degli Sciotti e dei Lesbî; perchè tosto che e’ se ne furono insignoriti, e’ gli ridussono contra li patti in bassa condizione. E il re dei Persi fece il medesimo a’ Medi, e alli babilonici popoli; ed agli altri, che avevono in quelle provincie grandezza per avervi qualche volta signoreggiato, molte volte riducendoli al basso.
E questo è precetto generale in tutti gli altri stati, io dico ne’ buoni ancora; perchè li cattivi fan questo riguardando al comodo proprio; che e’ si può usare simile termine in quegli, che hanno per fine il bene publico. Questo, che io dico, ci si manifesta medesimamente per via dell’altre scienze ed arti; perchè il dipintore non patirebbe mai nello animale, che ei dipinge, uno piè, che trapassasse la misura conveniente, ancora che e’ fusse più degli altri eccellente di bellezza. Nè il medesimo farebbe il fabbricatore della nave della poppa, o d’altra particella d’essa. Nè il maestro del coro lascerebbe ire insieme con gli altri uno, che più forte, o più soavemente degli altri cantasse.
Onde niente vieta perciò, che li monarchi in tale ordine non possino con le republiche convenire; in caso che ciò sia fatto da loro per conservazione del proprio imperio, che sia utile alla città. E però si conchiude, che questo ordine dello ostracismo ha in sè un certo che di giustizia civile, in caso che le grandezze sieno troppe manifeste nei cittadini. E sarebbe certo meglio fatto, che da principio il legislatore avesse provisto nell’assettamento degli stati talmente, che e’ non avessino bisogno di simile correggimento; la quale cosa non è stata provista nella città. Il che nasce, perchè ei non hanno avuto risguardo all’utile di quel proprio stato, e però hanno usato gli ostracismi tumultuariamente. Negli stati adunche cattivi, che tale ordine a quei particolari stati sia utile, e che e’ vi sia giusto, è cosa manifestatissima; ed è chiaro ancora forse, che e’ non v’è giusto veramente.
Ma negli stati buoni è ben dubbio, s’egli è giusto, perchè in loro non vi si fa l’eccellenza per cagione d’altra sorta di beni, com’è di gagliardia, d’assai ricchezze, e assai amicizie, anzi se e’ vi se ne fa, ella vi si fa mediante le virtù. Che adunche si debbe fare in tale caso? Diremo noi, che un tale uomo di tanta eccellenza si debba cacciare, e mandare in esilio? o diremo, che tale si debba tenere suggetto? Che ciò sarebbe un quasi che affermare per ragionevole, che a Giove comandar si dovesse, e che con lui si dovessino dividere i magistrati. Restaci adunche a dire quello, che la natura pare, che abbia ordinato; cioè che ad un simile uomo tutti gli altri cittadini debbino volentieri ubbidire, di maniera che tali sieno fatti re perpetui nelle città.