Trattato dei governi/Libro sesto/IX
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(Politica) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
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Restaci a dire al presente di quello stato che è reputato republica, e della tirannide. I quali stati abbiamo noi ordinati così, sebbene questo innanzi non era messo nè per trapassato governo, nè gli altri poco fa racconti per ottimati, perchè invero tutti questi hanno errato dall’ottimo stato. E però io gli racconto dopo i buoni e dico tali essere errori, e trapassamenti de’ primi buoni, siccome io ho detto innanzi. E nell’ultimo ho io fatto menzione della tirannide con gran ragione, per essere tale modo di governo meno di tutti gli altri republica; e per avere io proposto di dare la dottrina della republica. Onde si può vedere la cagione, perch’io l’ho così ordinata, e al presente tratterò io di lei, perchè la forza d’essa fia più manifesta dopo la determinazione delle cose appartenenti allo stato popolare, ed a quel dei pochi, essendo invero la republica un misto d’amendue questi stati. Hanno costumato gli altri di chiamare republica quegli stati, che inchinano al popolo, e ottimati quegli che inchinano più alla potenza dei pochi potenti, per conseguitare l’erudizione, e la nobiltà maggiormente alli ricchi. Ancora perchè e’ pare che li ricchi abbino di quelle cose, per il conquisto delle quali fa l’ingiuria chi la commette; onde è, che tali cittadini sono chiamati e buoni, e onesti, e nobili.
Essendo vero adunche, che lo stato ottimate voglia distribuire gli onori ai cittadini buoni per via della eccellenza della virtù; e da molti essendo affermato, che gli stati de’ pochi potenti sono composti più di cittadini buoni e onesti, che li popolari: ed essendo impossibile cosa, che una città, che abbia dello ottimate governo, non sia ripiena di buone leggi, e che e’ ne sia ripiena chi ha governo cattivo; e medesimamente essendo impossibile, che la città, che non ha buone leggi, abbia stato da ottimati; nè le buone leggi essendo ancora dove elle sono bene poste, ma non già ubbidite; e però è da stimarsi una sorte di buona constituzione di leggi essere quella, che fa, che e’ s’ubbidisca alle leggi poste, e l’altra essere dove le leggi, che s’usano in quegli stati, veramente sieno buone; conciossiachè e’ si possa ancora ubbidire alle leggi, che sono buone, e che sono mal poste. Ma che le leggi sieno poste bene interviene in due modi, cioè o essendo le leggi buone quanto patisce quel suggetto, o essendo buone assolutamente.
E lo stato degli ottimati pare che sia propiamente dove gli onori sono distribuiti alla virtù, conciossiachè il termine di tale stato sia la virtù, e dello stato dei pochi potenti sia la ricchezza, e del popolare sia la libertà. E quanto al valere negli stati quello, che pare alli più, ciò si verifica e nello stato dei pochi potenti, e nello ottimate, e nel popolo; perchè in tutti gli stati quello v’è valido, che pare alli più di quegli, che in detto stato partecipano. Nella più parte adunche delle città il modo dello stato, che ell’usano, si chiama republica; imperocchè la mistione del governo fa conjettura solamente de’ ricchi, e dei poveri, e della ricchezza, e della libertà. E quasi appresso alli più li cittadini ricchi tengono il luogo dei buoni, e delli onesti.
Ma essendo tre cose, che litigano della parità dello stato, la libertà cioè, la ricchezza e la virtù (perchè la quarta cosa, che si chiama nobiltà, conseguita a queste due; conciossiachè nobiltà non è altro che ricchezza, o virtù negli antichi); è però manifesto, che la mistione di queste due cose, dei poveri, dico, e dei ricchi, fa la mistione della republica. E la mistione delle tre fa lo stato degli ottimati; quello, dico, che dopo il primo, e vero stato ottimate le conseguita.
Che e’ sia adunche altre sorti di stati fuori della monarchia, e dello stato dei pochi potenti, e del popolare s’è detto. E quali e’ sieno, e in che e’ sieno differenti l’uno dall’altro gli stati ottimati; e che le republiche che hanno dello ottimate, e che tali stati non sieno molto lontani l’un dall’altro, è manifestissimo.