Trattato dei governi/Libro secondo/X

Libro secondo - Capitolo X: Della republica ateniese

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Aristotele - Trattato dei governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro secondo - Capitolo X: Della republica ateniese
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Infra quegli, che hanno trattato della republica, alcuni n’è, che mai non si sono travagliati punto di civili azioni, ma sempre sono stati in vita privata da tai ministerî, da’ quali se cosa alcuna è stata detta degna di memoria, ho io raccontatone la più parte. D’altri legislatori s’ha ricordo, de’ quali parte hanno dato le leggi alle proprie città, e parte a quelle d’altrui, e sono stati ancor essi nelle amministrazioni publiche. E di questi parte n’è, che hanno fabbricato le leggi solamente, e parte ancora, che hanno dato il modo del resto del governo: siccome fu Licurgo, e Solone; i quali alle città loro dettero e le leggi, e vi constituirono il modo della republica.

E di quella di Sparta s’è detto innanzi. E quanto a Solone, molti sono, che l’hanno tenuto per ottimo legislatore, per aver egli tolto via d’Atene una potenza di pochi molto incomportabile: e fatto cessar nel popolo la servitù, avendovi indotto il modo popolare di vivere, che l’era antico, e mescolato ottimamente quel reggimento; perchè e’ vi fece il governo de’ pochi mediante il consiglio dello Ariopago, e l’ottimate mediante li magistrati, che vi si eleggevono, e il popolare mediante li giudicî. E di queste tre cose, le due prime, che v’erano innanzi, non pare, che ei le togliesse via; il consiglio, cioè, dello Ariopago, e l’elezion de’ magistrati. Ma par bene, che e’ costituisse il popolo signore; facendovi quei giudicî, i quali erano composti d’ogni sorte uomo.

E per questo effetto non manca chi lo riprenda, con dire, che e’ rovinò l’uno dei due modi; avendo constituito padroni d’ogni cosa quei giudizî: i quali si traevano a sorte di tutto il popolo. Imperocchè dappoi che tale ordine prese forza in quella città, li cittadini, cercando di gratificarsi il popolo non altrimenti che si cerca di gratificarsi il tiranno, ferono, che quella republica diventò uno stato popolarissimo: perchè Efialte e Pericle proibirono poi, che e’ si ragunasse il senato dello Ariopago. E Pericle aggiunse ancora i salarî a quei giudizî. E per tal verso ciascheduno di quei capi popolari andò quello stato augumentando in popolar governo interamente. Ma a questo effetto non giudico io, che intervenisse già per volontà di Solone; ma per il caso.

Imperocchè essendo stato cagione il popolo nella guerra contra li Medi di quella vittoria navale, e’ venne a presumere più di sè stesso; e prese per capi cittadini maligni contro l’opinione di quei, che v’erano più saggi. Perchè in vero Solone non dette al popolo altra autorità fuor di quella, che è necessario, che li sia data, con farlo arbitro, cioè, di crear li magistrati, e di corregger le cose mal fatte. Imperocchè dove e’ non sia padrone ancora di tai cose, e’ verrà ad essere inimico di quel governo. E volse, che li magistrati tutti fussin composti di cittadini ricchi, e di buone qualità, con far la distinzione di chi vi ricogliesse cinquecento misure; e avessivi tante stajora di terreno: e di quei del terzo fine così chiamato da loro l’ordine de’ cavalieri: e del quarto membro, che v’era d’artefici vili, a quali non era lecito di partecipar nel governo.

Furono ancora legislatori questi: Saleuco ai Locrensi; a quei, dico, che son volti a Zefiro, e Caronda di Catania alla sua città, e alle altre città Calcidiche, che sono intorno all’Italia e alla Sicilia. È ben qui chi tenta mostrare, che Onamacrito fosse quasi il primo uomo eccellente nel dar le leggi; e che e’ si fusse esercitato in Candia, ancora che e’ fusse da Locri, e che egli andasse veggendo il mondo per via d’arte magica. Di cui dicono essere stato compagno Talete, e di Talcte essere stato discepolo Licurgo, e Seleuco: e di Seleuco essere stato Caronda. Ma tai cose son dette senza avvertimento dei tempi.

Filolao da Corinto fu ancora egli legislatore di Teebani, e fu per stirpe della famiglia de’ Bacchiadi. Ma essendo divenuto amante di Diocleo, di quello dico, che vinse ne’ giuochi olimpici, poi che Diocleo abbandonò la patria per il dispiacere, che egli ebbe dello innamoramento inverso di sua madre Alcinoe, se ne ritornò a Tebe: e quivi amendue finirono la vita. E ancora vi si veggono le loro sepolture, che ben si guardano l’una l’altra; ma l’una v’è che guarda verso Corinto, e l’altra no.

E qui si favoleggia, che da loro fosse lasciato per iscritto, cioè, che quella di Diocleo stesse volta in modo, ch’ella non potesse esser veduta da Corinto, per l’odio ch’e’ portava a quello affetto, e che quella di Filolao stesse all’incontro: in modo ch’ella potesse essere veduta dalla patria. Abitarono adunche costoro in Tebe per la cagione detta, dove Filolao dette leggi sopra molte altre cose, e sopra la creazione dei figliuoli: le quai leggi sono chiamate da loro leggi procreatrici. E questo è proprio nelle sue leggi l’aver fatto cioè, che ’l numero delle eredità si mantenesse.

E in quelle di Caronda non è niente di proprio, infuor che le pene dei testimonî falsi; perchè e’ fu il primo a far sopra ciò considerazione, e nella cultura delle sue leggi, è e per diligenza, e per istilo più elegante ancora dei legislatori moderni. Di Filolao è proprio trovato il far le facoltà disuguali. E di Platone è proprio il far comuni le donne, e li figliuoli, e la roba; e che le donne si ritrovino insieme a mangiare. Oltra di questo è sua propria la legge dell’ebbrietà; cioè che li sobrî debbino essere padroni del convivio, e quella degli eserciti militari. Onde e’ vuole, che gli uomini diventino atti a servirsi dell’una e dell’altra mano; come se e’ non fusse bene, che una ne fusse utile, e l’altra no.

Sonci ancora le leggi di Dracone, le quali pose egli alla republica, che era in essere. E proprio nelle sue leggi non è cosa alcuna altra, che vaglia, infuori che la asprezza, che vi si scorge mediante la grandezza delle pene, che vi sono constituite. Fu ancora Pittaco fabbricator di leggi, ma non di stato. E propria sua legge fu, che gli ebbri, quando e’ battessin uno, fussin castigati di pena più ’l doppio di quella, che si dà alli sobrî. Nè avvenga che e’ sono più quegli, che errano, quando e’ son ebbri, di quegli, che errano, quando e’ sono sobrî, per questo non andò ei considerando, cioè, che agli ebbri più perdonar si dovesse: anzi risguardò alla utilità. Fu ancora Androdamo da Reggio legislatore ai Calcidensi, che sono in Tracia, sopra le morti, e sopra le eredità; di cui non si può però dire, che cosa alcuna sua propria vi si ritrovi.

E dei modi di governo, e di quei dico, che sono i più famosi, e di quei che sono stati dati in iscritto, siesene considerato abbastanza nel modo detto disopra.


FINE DEL LIBRO SECONDO.