Trattato dei governi/Libro secondo/IX

Libro secondo - Capitolo IX: Della republica di Cartagine

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Aristotele - Trattato dei governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro secondo - Capitolo IX: Della republica di Cartagine
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Li Cartaginesi ancora mostran d’avere buon modo di reggimento; ed infra i loro ordini n’hanno alcuni superflui in comparazione di quegli dell’altre città: e certi n’hanno molto simili a quei di Sparta. Che queste tre republiche in vero hanno gran similitudine infra di loro, e molte differenze dall’altre; la Candiotta, dico, la Spartana, e la terza, che è questa dei Cartaginesi, dove molti ordini son ben certamente disposti. E segno d’una bene ordinata republica è, ch’ella abbia il popolo, che stia fermo negli ordini di quel governo; e che non vi faccia tumulto, che sia per via di dir nulla: e che non vi crei un tiranno.

Conviene questa con la republica di Sparta negli ordini del ritrovarsi insieme a mangiare le compagnie dei cittadini; il che è simile alle Fidizie di Sparta: ed ha simile il magistrato dei cento quattro uomini al magistrato degli Efori: eccetto che qui non è peggior l’ordine. Perchè in Sparta vi si eleggono d’ogni sorte uomo, e qui vi si eleggono a uso di stato ottimate. I re di poi di Cartagine, e il senato dei vecchi è corrispondente alli re di Sparta, ed al loro senato: ed è miglior qui l’ordine, cioè che i re non siano eletti per successione di sangue, nè qualsivoglia: ma evvi eletto a tal grado, se niente v’è che sia più eccellente, che non è o il parentado, o l’età. Perchè li re essendo preposti a faccende importantissime, quando e’ sono da niente, e’ nuocono assai: e hanno nociuto alla città di Sparta.

La più parte delle cose, che meritan riprensione per il trapassar le intenzioni del dator di legge, quasi sono le medesime in ciascuna di queste tre republiche conte. E per dire degli ordini, che hanno intenzione o al governo ottimate, o al governo di republica, parte d’essi ci è che più inchinano al popolo: e parte, che più inchinano allo stato stretto. Imperocchè del ridurre certe provvisioni nel popolo, e certe no, che li re insieme con li vecchi ne siano signori, in caso che e’ ne sien d’accordo; e non essendo che il popolo sia padrone d’amendue le parti, e la concessione fatta al popolo non pur d’udir le cose, che costoro proponessero, ma che e’ sia padrone del confermarle, e che chi vuole, abbia autorità di contraddirle (la qual cosa non è lecita nelle altre republiche) ha del popolare.

Dall’altra banda, che li magistrati dei cinque, che sono padroni di cose di grandissima importanza, sien creati da loro stessi, e di più che tali creino il magistrato dei cento, che è il magistrato supremo e oltra di questo ch’e’ durino nel magistrato più tempo degli altri, conciossiachè ei mantenghin l’autorità; e disegnati che e’ sono nel magistrato; e poi che e’ l’hanno finito; tal ordine, dico, ha dello stato dei pochi potenti. E ha dell’ottimate, che e’ non v’abbia salario, e che e’ non vi sian tratti a sorte è altra simil usanza: e che le liti sien giudicate da tutti i magistrati, e non da certi sì, e da certi no, siccome s’usa in Sparta.

Trapassa ben il governo cartaginese dallo ottimate in potenza di pochi per via d’una certa intelligenza, che v’è approvata dai più; dove è reputato per bene l’eleggere i magistrati non solamente con il rispetto della virtù, ma ancora con il rispetto della ricchezza, essendo, come a lor pare, impossibile, che un povero ne’ magistrati si porti bene, e stia quieto. Ora adunche se l’eleggere i magistrati con il rispetto avuto alla ricchezza è intenzion di stato di pochi, e se l’eleggergli con il rispetto avuto alla virtù è intenzion di stato ottimate, un simile ordine verrà a fare una terza specie di governo, secondo il quale par che la republica cartaginese sia stata indiritta, perchè essi vi eleggono i magistrati avendo l’occhio a queste due cose: e massimamente li magistrati grandi: come sono li re, e li capitani degli eserciti.

Ma un simil trapassamento, che si fa qui dal governo ottimate, è da stimarsi, che proceda da errore del dator di legge: imperocchè dal principio della costituzion d’uno stato è da aver l’occhio, che egli stia in modo, che li cittadini di buona qualità vi possin vivere oziosamente, senza avere ad operar cosa alcuna di sconvenevole al grado loro nè in magistrato, nè in privata fortuna. E se per fare, che li cittadini vi stien quieti, s’ha ad aver rispetto alla roba, egli è ordine pessimo, che li magistrati supremi (come è, verbigrazia, il regno, e la commesseria negli eserciti) s’abbino a comperare con danari. Che in vero questa legge fa più onorata la ricchezza, che la virtù; e fa la città tutta avara.

Imperocchè quello, che è avuto in pregio da’ cittadini principali, conseguita di necessità, ch’e’ sia tenuto in pregio dal resto dei cittadini. E dove la virtù non è stimata sopra d’ogni altra cosa, quivi non è possibile, che sia republica ottimate da vero; anzi è ragionevole che li comperanti li magistrati s’avvezzino a stimar il guadagno; dappoi che con lo spendere si conseguiscon li magistrati. Perchè egli è disconvenevole a credersi, che un cittadino povero, ma che sia buono, voglia attendere a guadagnar nei magistrati; e che un che sia più cattivo, non voglia attendersi, avendo speso il suo in conseguirgli. Onde si debbe metter ne’ magistrati quei che posson amministrargli ottimamente. Meglio avrebbe certo fatto il legislatore ad aver negletto, che negli uomini da bene dovesse esser ricchezza; e aver tenuto cura, che li cittadini di magistrato stessin quieti. Pare ancora, che sia cattivo ordine, che un medesimo abbia più d’un magistrato; la qual cosa è approvata in Cartagine: conciossiachè l’esperienza ci mostri, che uno ufficio è bene amministrato da uno, che non badi ad altro. Debbe ancora un legislatore considerar qualmente tai cose si possin fare, e non comandare a un medesimo, che suoni il flauto, e che eserciti l’arte del cuojajo. Laonde dove la città non è piccola, è più civile ordine far che li magistrati si distribuischino in più. E ha tale ordine più del popolare, perchè egli è più comune, siccome io ho detto; e perchè ciascuna cosa in tal modo è amministrata meglio e con maggior prestezza. E questo si prova esser vero negli esercizî della guerra, e del mare, perchè in amendue li detti passa, per via di dire, in ciascheduno scambievolmente, ora il comandare, e or l’ubbidire.

Ma, avendo infatto l’ordine cartaginese dello stato de’ pochi, egli sfugge comodamente di non esser tale con arricchire continuamente una parte dei cittadini popolari mandandogli fuori per le terre, e con questo rimedio vi medica il male, e mantienvi quella republica. E un tale successo vien dalla fortuna. Ma e’ si debbe far quieti li cittadini per via del legislatore, perchè se a quella republica venisse qualche infortunio, e che il popolo si ribellasse dai grandi, quivi non è medicina alcuna da quietarlo, che sia ordinata per legge.

E della republica spartana, e candiotta, e cartaginese, le quali meritamente sono approvate, stanno gli ordini come s’è detto.