Trattato dei governi/Libro secondo/I

Libro secondo - Capitolo I: Dell'ottima republica di Socrate

../ ../II IncludiIntestazione 17 settembre 2008 75% filosofia

Aristotele - Trattato dei governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro secondo - Capitolo I: Dell'ottima republica di Socrate
Libro secondo Libro secondo - II


Avendo proposto di far considerazione della civil compagnia, la quale è ottima infra tutte le altre a chi è lecito di vivere il più che si può nel modo, che ei desidera, però è bene considerare gli altri governi usati nelle città, che hanno nome di ben governarsi, o se di altri modi s’ha notizia per via dei scritti dei savî, che apparischino ben ordinati, acciocchè il buono, e l’utile, che è in essi non ci sia nascosto. E se poi noi vorremo ricercare qualche altra cosa più in là, non ci sia imputato a sofisteria; anzi stimisi, che noi abbiam preso a dimostrare questa dottrina per i difetti, che ci sien paruti trovarsi negli altri modi dei governi che sono in uso.

E facciamo il principio di ragionarne, onde è per natura il principio di tal considerazione. Che egli è, dico, necessario, o che tutti i cittadini partecipino di tutte le cose, o di nessuna; o di certe sì, e di certe no. E che e’ non partecipino di nessuna è impossibil cosa, imperocchè il governo è una certa compagnia; ed il luogo innanzi tratto è partecipe a tutti, essendo egli una parità d’una sola città: ed i cittadini essendo d’una sola città partecipi. Ma è egli meglio, che una città, che abbia ad esser bene abitata faccia partecipi i suoi cittadini di quante più cose si può? Ovvero è e’ meglio, che ella di certe gli faccia partecipi, e di certe no? Perchè e’ si può far partecipi i suoi cittadini nei figliuoli, nelle mogli, e nei beni; siccome fa la republica di Platone: dove Socrate afferma tutte le predette cose dover essere comuni. Questo capo adunque è e’ meglio, che stia siccome oggi si usa? ovvero come è scritto in quella legge?

Ha certo tale posizione di far le mogli comuni molte altre difficoltà. Ma la cagione ancora, onde Socrate afferma esser bene di por questa legge, non pare che si cavi dalle sue ragioni. Oltra di questo è egli impossibile siccome io ho detto ora, che ella serva a quel fine, il quale, dice egli, dover essere nella republica. Nè ancora v’è determinato in che modo si possa tal cosa costituire: io dico il fare, che la città tutta diventi una sola cosa, come cosa ottima infra tutte le altre. Che questa invero è la supposizion di Socrate.

Ma egli è chiaro, che, procedendosi per tal verso di far la città una il più che si può, ella non sarà più città; essendo la città un numero di cittadini per natura insieme accozzati. Onde se ella diventerà una il più che si può, ella fia piuttosto una casa in cambio di una città, ed un sol uomo in cambio d’una casa; perchè più una si dice essere la casa, che non si dice la città: e più uno si dice essere un sol uomo che non è la casa. E però non si deve ciò fare, quando ben conseguir si potesse; perchè talmente si verrebbe la città a distruggere. La quale non pure viene ad esser composta di più uomini, ma di più uomini differenti di specie; conciossiachè la città non sia composta di uomini simili: che a dire il vero la città, e la lega sono differenti. Perchè nella lega giova la quantità, ancorchè ella sia di una medesima specie, essendo ella instituita per fin di soccorso; perchè in tal modo ella viene a tirar più: come che maggior moltitudine tiri maggior peso.

E con questa ragione medesima è differente la città dalla provincia; io dico, quando gli uomini non abitano separatamente pei borghi, ma quando egli abitano disperse come i popoli d’Arcadia. Ma le cose, che compongono il tutto, debbono essere differenti di specie; onde il ricompenso fatto ugualmente conserva la città, siccome io ho detto innanzi nell’Etica; perchè tal ricompenso debbe esser fatto di necessità infra gli uomini liberi, e uguali. Oltre di questo e’ non si può fare, che tutti comandino ad un tempo medesimo: ma bisogna, che e’ comandino anno per anno, o per qualche tempo: o in qualche modo determinato. E con tale ordine osservato avviene, che tutti comandino; come se, verbigrazia, fosse in costume che i cojaî, ed i fabbri scambiassino il loro esercizio: e non sempre fossero cojaî, nè fabbri i medesimi.

Ma perchè egli è meglio, che e’ non si scambino, però ancora nella civil compagnia sarebbe bene, che i medesimi sempre comandassino se e’ fosse possibile. Ma dove e’ non è possibile questo per l’ugualità naturale, che è in loro, egli è ancor giusto, che ciascun partecipi del comandare, o bene o male che il comandar sia: e che essi vadino tutti scambiandosi ugualmente con cedersi l’imperio l’un l’altro, come quegli che da principio sien simili. Perchè nel comandare e nello star sottoposti scambievolmente e’ diventano come dissimili. E questo medesimo avviene in quei, che sono principi, e in magistrato; cioè, che altri a questi, ed altri a quegli ufficî vi sono proposti.

Fassi adunque manifesto per le cose dette, che la città non è atta ad esser una nel modo, che costoro affermano; e che tal ordine che è stato escogitato per cosa ottima, non è il bene della città; anzi è la sua distruzione: ma il bene di ciascuna cosa è quello, che essa cosa conserva.

Provasi questo medesimo per un’altra via, cioè, che l’unire assai la città non è il meglio; conciossiachè la casa sia più sufficiente d’un sol uomo; e che la città sia più sufficiente della casa: e che allora si dica una essere città, quando e’ v’è dentro il numero sufficiente dei cittadini. Ora se il più sufficiente è più desiderabile, ne conseguita che il meno uno di quello che è più uno, sia migliore.