Trattato dei governi/Libro quinto/VI

Libro quinto - Capitolo VI: Qualmente li giovanetti debbino imparare la musica

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Aristotele - Trattato dei governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro quinto - Capitolo VI: Qualmente li giovanetti debbino imparare la musica
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Ma se li giovanetti debbono imparare essi a cantare, e a toccare con mano gli istrumenti, o no (siccome io ho dubitato innanzi) è ora da vedere. Ed è chiaro, che questo importa assai al fargli di questa, o di quella qualità, cioè se uno comunica in essi esercizî, imperocchè egli è cosa impossibile o almeno difficile, che chi non comunica e non tratta uno esercizio, ne possa dare buon giudizio. E ancora è forza, che i fanciugli abbino da baloccarsi in qualche cosa, e debbesi stimare per buono lo instrumento d’Archita, che si dà loro in mano, acciocchè, trastullandosi con esso, e’ non rompino niente di casa: perchè il giovanetto non può stare fermo. È pertanto questo spasso conveniente ai fanciugli, e la disciplina dello instrumento sopraddetto è buona a quei, che sono maggioretti.

Ed è chiaro pei detti nostri che l’erudizione nella musica debba essere di sorte che essi la esperimentino in fatto. Ma e’ non è già difficile a determinarsi quanto se ne convenga di tale esperimento, o non convenga a simile età. E puossi rispondere a chi afferma tale esercizio essere da gente bassa, primieramente che tale cosa esercitare si debbe per saper giudicarne, però dovere i giovanetti trattarla; e fatti poi uomini, non già trattarla, ma potere giudicarne bene e rallegrarsi di lei convenientemente mediante quella disciplina, che essi ne impararono in gioventù.

E quanto al biasimo, nel quale alcuni affermano incorrersi (come se la musica facesse gli uomini vili) non è difficil cosa a rispondergli, avuta considerazione infino a quanto debbono trattare questa arte quei che ci sono instrutti per fine di virtù civile; e medesimamente avuto rispetto di che suoni musicali, o di che sorte numeri egli abbino a partecipare, e ancora con quali instrumenti egli abbino a fare questa disciplina. Perchè egli è verisimile, che in tale cosa sia molta differenza. Anzi qui sta il punto della risposta, perchè niente vieta, che certi modi di musica non possino far quello che è detto.

È chiaro adunche che e’ si debba imparare questa arte con tale rispetto, che ella non abbia ad impedire l’azioni che seguitano poi, nè abbino a fare la persona vile, nè disutile alle azioni militari e civili: e quanto all’uso d’essa ho io detto innanzi, come e’ debba essere, e quanto all’erudizione come ella debbe farsi lo dico al presente, che ella, dico, ci può intervenire, se nello imparare musica l’uomo non si andrà affaticando in quelle cose che sono difficili; nè nelle maravigliose, e eccellenti di tale arte, che oggi sono uscite fuori negli spettacoli, e dell’essere state messe negli spettacoli, e in gara, sono di poi venute in disciplina. Anzi simili cose imparare si debbono infino a tantoche l’uomo si possa dilettare della buona musica, e dei buoni numeri; e non solamente del comune piacere, che di lei hanno ancora certi altri bruti animali, e assai numero di gente servile e fanciullesca.

E per li miei detti è ancora manifesto quali instrumenti si debba usare, imperocchè nè li flauti si debbon torre per farvi dentro disciplina, nè altro instrumento artificioso come è la citara, o se altro n’è simile. Ma tutti quegli che possono far virtuosi gli uditori d’essi, o nella erudizione musicale, o in altra. Oltra di questo il flauto non ha il morale, ma piuttosto l’incitativo a ira, onde e’ si debbe usarlo in quei tempi, ne’ quali la considerazione di tal suono richiede piuttosto purificazione, che disciplina. Anzi vo’ io aggiugnere questo, che tale suono del flauto fa il contrario, che non è il partorire erudizione, perchè egli impedisce l’uso della ragione; perciò gli antichi convenientemente vietarono l’uso di lui alli giovani e alli uomini liberi, sebbene imprima ei l’avevono usato.

E questo nacque, perchè essendo eglino divenuti più oziosi mediante le ricchezze, e più animosi alle virtù, e innanzi, e dopo la vittoria contro li Medî ricevuta, avendo conceputo di sè maggiore cose, cominciarono però, dico, a trattare ogni sorte di musica senza fare di nessuna giudizio, ma solamente con ricercare il piacere da tutte; per questa, dico, cagione introdussero eglino la musica de’ flauti. Di che n’è esempio, che in Sparta un certo capo del coro egli stesso messe in atto tale musica; onde poi in Atene l’uso d’essi vi venne in consuetudine, che quasi la maggior parte degli uomini liberi gli volsono usare. Questo ci si manifesta per la tavola, che pose Trasippo, quando ei fu capo del coro per la tribù Effrantide.

Ma tal musica fu dappoi riprovata dalla stessa esperienza quando e’ seppono me’ giudicare quelle cose, che tendono alla virtù; e quelle che non vi tendono. Questo medesimo che io ho detto dei flauti, avviene nella più parte degli antichi instrumenti; come sono le lire, e gli instrumenti di sette corde che generano a chi gli usa piacere: così gli instrumenti di tre corde, e le sambuche, e tutti quegli che dell’arte manuale hanno bisogno ad essere sonati.

Quanto ai flauti bene stette quello, che di loro fu dagli antichi favoleggiato: cioè che Pallade, d’essi inventrice, gli gettò via. Nè forse è male dire ch’ella il facesse per la bruttezza, che nel sonargli e’ fanno a altrui in bocca; che per tal conto la Dea gli avesse avuti in dispetto. Con tutto ciò egli è molto più verisimile a credersi, che una tal cosa seguisse, perchè la disciplina di tali instrumenti non giova nulla alla mente, ed a Pallade s’attribuisce la scienza, e l’arte.

Ma togliendo noi via l’erudizione artificiosa degli instrumenti musicali, e di tali esercizî, e artificiosa musica ponendo esser quella, che serve agli spettacoli, conciossiachè chi l’adopera in essi, non vi sforzi dentro per fine alcun virtuoso, ma per dare piacere a chi ode, e che questo piacere ancora vilmente vi si faccia, però affermiamo noi tali esercizî non essere da uomini liberi, ma da servili e da artefici. E la ragione è che ’l segno non ci è buono, dove egli hanno indiritta la mira perchè gli spettatori, essendo uomini vili, sogliono volere varietà di musiche, e però gli artefici musicali, che intorno a loro s’affaticano, fanno loro stessi, e le loro persone simili mediante li moti.