Trattato dei governi/Libro quarto/VIII
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(Politica) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
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Ma perchè così come nelle cose, che sono per natura composte, non tutte quivi si debbono chiamare parti del composto quelle, senza le quali ella non può mantenersi, parimente della città non si debbon dir parti sue tutte quelle, senza le quali ella non può fare, nè il medesimo si debbe stimare di nessuna altra compagnia, della quale ne risulti una cosa generica; perchè ei debbe essere una certa cosa comune, e la medesima quella, di che tutti li cittadini abbino a partecipare, o ugualmente, o disugualmente, che ella sia partecipata da loro. E sia questa tale cosa come dire cibo, o possessione di terreno, o altra cosa simile.
Quando adunche di due cose una opera per conseguire un fine, e non l’altra, allora e’ non è cosa comune infra loro, ma all’una è il fare, e all’altra è il ricevere: io dico, come sta ogni instrumento, e ogni opefice con l’opera. Perchè niente ha insieme comune la casa col muratore, anzi l’arte muratoria è ordinata per fine della casa; e così della possessione ha bisogno la città; e non è perciò la possessione parte alcuna di lei. E parte di possessione sono molte cose, che hanno l’anima. E la città non è altro che una certa comunione infra i simili per cagione di vita ottima il più che si può.
Ma perchè la felicità è l’ottimo, e essa non è altro, che una operazione di virtù, e uno usa d’essa perfetto, e perchè egli accade qui che certi di lei partecipino assai, e certi ne partecipino poco, o non punto; però è manifesto, che da questa cagione nasce, che gli stati sono differenti, e di varie sorti. Imperocchè ciascuno diversamente, e per mezzi diversi tirando dietro a un fine fa che le vite, e li governi sono differenziati. Ma considerisi quante sono le cose senza le quai non può fare la città; perchè egli è di necessità, ch’elle sieno in quelle parti della città, che io dico, che sono parti sue necessariamente. Piglisi pertanto il numero delle azioni, dal quale sarà manifestato, quello che io vo’ dire.
Ha bisogno primieramente la città del cibo, e dipoi delle arti; conciossiachè la vita abbia di molti instrumenti bisogno. Nel terzo bisogno son l’arme. Che egli è forza che li cittadini stieno armati, e per cagione di fare ubbidire i disubbidienti al governo, e per difendersi dai nimici di fuori, che gli assaltassino. Falle ancora mestieri di danari per servirsene ai bisogni di casa ed a quei della guerra. La quinta, e principale necessità le è il culto della religione, chiamato il sacerdozio. La sesta in ordine, e più d’ogni altra necessaria, è il giudizio, che si fa infra l’uno e l’altro delle cose utili e giuste.
E questi tanti esercizî, e azioni son quelle di che ogni città ha bisogno per via di dire; essendo ella un numero non di qualsivoglia uomini: ma di quei che sien bastanti a farla vivere, come io ho detto disopra. E in caso che qui manchi alcuna di queste cose, è impossibile, parlando assolutamente, che nella civile compagnia sia la sufficienza. Debbesi adunche constituire la città in modo, che ella possa fare tali esercizî; io dico che ei vi debba essere la parte de’ contadini acciocchè ella abbia da potersi nutrire, e quella delli artefici, e quella delli armati, e quella dei ricchi, e quella dei sacerdoti, e quella dei giudici delle cose necessarie e utili.