Trattato dei governi/Libro quarto/VII

Libro quarto - Capitolo VII: Come debbino essere fatti li cittadini

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Aristotele - Trattato dei governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro quarto - Capitolo VII: Come debbino essere fatti li cittadini
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E di che natura debbino essere li cittadini dirò io al presente. La qual cosa si potrebbe imaginare come avesse ad essere chiunche risguardasse alle republiche che infra i Greci hanno nome, e per tutta la terra similmente andasse considerando da che sorti di genti ella è abitata. Imperocchè le genti, che abitano nei luoghi freddi, e nella Europa, sono animose, e mancano d’arte, e di discorso; onde tali si mantengono più in libertà, ma vivono senza ordini, e non possono acquistare troppo imperio. Ma quelle, che abitano l’Asia, sono di più intelletto, e hanno l’animo atto alle arti; ma sono di poco cuore, onde tali sopportano agevolmente di stare sottoposte. Ma la gente Greca è mezza infra questi luoghi, e così viene a partecipare dell’una cosa, e dell’altra; perchè ell’abbonda di cuore, e d’intelletto. Onde ella si mantiene libera, e riceve buoni ordini di governo, ed è potente ad acquistare imperio, in caso ch’ella venisse sotto un solo governo.

Queste medesime differenze hanno i popoli di Grecia l’un con l’altro, perchè certi n’è di una sola qualità, e certi sono bene composti ad avere l’una e l’altra. È manifesto adunche, che chi ha a ricevere buoni ordini dal legislatore, debbe essere di natura animosa, e atto a usare le parti intellettive; perchè quelle cose che affermano alcuni dover essere nei difensori, cioè che e’ debbino essere amici dei cogniti e inimici degli incogniti. L’animosità è quella cosa, che genera l’amore, e ella è quella parte dello animo, mediante la quale noi amiamo.

Siemi di ciò segno, che noi ci adiriamo con gli amici, e con li cogniti più che con gli incogniti, quando e’ ci pare essere da loro negletti. E però Archiloco convenientemente accusando gli amici, disputa con tal parte dell’animo suo, dicendo

Non t’han gli amici, ohimè, trafitto, e punto?

E il comandare agli altri, e l’esser libero non procede da altra potenza, che da questa; perchè l’animo ha il generoso, e l’invincibile. Ma e’ non sta già bene a dire, che e’ si debba essere strano con chi tu non conosci: anzi non si debbe essere fatto talmente inverso di nessuno. Nè li magnanimi sono di natura strana, eccetto che contra chi gli offende. E ciò interviene loro più con gli amici, e famigliari, che con gli altri; siccome io ho detto innanzi, in caso, dico, che e’ si stimino di essere stati ingiuriati.

E ciò avviene ragionevolmente, imperocchè da chi e’ dovevono riportare benefizio, e’ veggono, oltre al danno loro fatto, che e’ sono di tale benefizio privati. Onde è in proverbio, le inimicizie sono infra i frategli; e quegli, che troppo s’amano, li medesimi troppo si odiano. In quanto adunche a quei, che debbono essere cittadini, quanti e’ debbino essere per numero, e di che qualità, ancora quanto debba essere grande la provincia e di che natura, siesene quasi determinato abbastanza: che e’ non si debbe ricercare la medesima diligenza per via di ragioni, ancora nelle cose, che appariscono per via del senso.