Trattato de' governi/Libro quarto/X

Libro quarto
Capitolo X:
Antichità degli ordini d'Italia

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Aristotele - Trattato de' governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro quarto
Capitolo X:
Antichità degli ordini d'Italia
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[p. 164 modifica]Ma e’ non par già, che questo, ch’io dico, sia stato conosciuto ai tempi d’oggi, o poco innanzi da chi ha fatto considerazione [p. 165 modifica]degli stati; cioè che ei si debba dividere la città secondo le sorti degli uomini, facendo che chi ha l’arme sia diverso da chi lavora la terra. Chè in Egitto ancora oggi s’osserva nel modo detto, e in Candia avendo in Egitto ordinato così, come si dice, Sesostri, e in Candia Minos.

Pare ancora, che antico fusse l’ordine del ritrovarsi a mangiare insieme, perchè gli ordini di Candia ordinativi sotto l’imperio di Minos, parte d’essi molto prima furono in Italia; perchè ei si ritrova dagli periti di quei luoghi, che vi abitarono anticamente, che un Italo, così detto per nome, fu re degli Enotrî: dal quale mutatosi il nome, quei popoli in cambio di Enotrî essersi dappoi chiamati Italiani. E quel lito della Europa essersi chiamato Italia, tutta quella parte dico, che è dentro allo stretto di Sicilia, e al seno detto Lametico. Che tali luoghi sono lontani l’un dall’altro per spazio d’un mezzo giorno.

Dicono adunche, che questo Italo raccozzati quei popoli d’Enotria insieme, che tenendo vita pastorale, erano vagabondi, gli fece lavorare la terra; e oltre a molte altre leggi lor date, che egli ordinò loro primieramente quella del ritrovarsi insieme a mangiare. Onde ancora oggi certi discesi da lui ritenerla in quei paesi, e alcune altre sue leggi. Dell’Italia quella parte, che è volta al mare Tirreno abitarono gli Opici, i quali e innanzi, e ora sono chiamati Ausonî. E Conî furono detti quegli, che abitarono dalla banda di Puglia, che è volta al mare Jonio, luogo detto le Sirte. E li Conî erono discesi dagli Enotrî. L’ordine pertanto di ritrovarsi insieme a mangiare venne di qui primieramente, e la divisione del numero cittadinesco venne d’Egitto che Sesostri invero fu molto innanzi ai tempi di Minos. Debbesi credere adunche la più parte degli altri ordini essere stati trovati in gran tempo, anzi in infinito; perchè egli è verisimile, che [p. 166 modifica]gli abbia insegnato parte delle cose da usarsi la necessità, e parte di quelle, che fanno per ornamento, e pel ben essere è ragionevole che abbino preso dopo queste augumento. Onde il medesimo si debbe stimare, che sia intervenuto intorno agli stati.

E che tali ordini sieno antichi, ne fanno indizio gli uomini egiziaci, i quali pare che sieno antichissimi, e hanno contuttociò avuto leggi e ordini civili. E però parte di tali debbono essere usati a sufficienza, e parte che sono stati lasciati indietro è da ingegnarsi di ritrovargli.

Che il paese adunche debba essere di chi ha in mano l’arme, e di chi è cittadino, è stato detto innanzi, e ancora s’e detta la cagione, perchè li contadini debbino essere diversi dai cittadini, e quanto grande debba essere la provincia e di che natura. Ma ora vo’ io dire delle divisioni d’essa; e che, e quali debbino essere li cittadini; perchè noi non teniamo per bene, che le possessioni sieno comuni, siccome certi hanno detto: ma bene vogliamo, che elle diventin comuni mediante l’uso amicabile, e che nessuno cittadino per tale verso manchi del vitto. Quanto all’ordine del ritrovarsi insieme a mangiare pare a ogni uomo, che ei debba essere nelle bene ordinate republiche. E la cagione, perchè e’ paia ancora a noi, dirò io più di sotto. Ma e’ si debbe fare, che tutti li cittadini ne partecipino; e ciò non può essere, se li poveri hanno a trarre delle facultà propie quello, che è lor comandato, che ei portino; e oltra questo se egli hanno a somministrare alla propria famiglia.

Più oltre le spese, che si fanno per il culto divino, debbono essere fatte per tutta la città comunemente. E però è di necessità di dividere tutta la provincia in due parti, e una parte assegnarne al publico, e l’altro al privato. E di nuovo ridividere ciascuna di queste in due, e una parte della comune assegnarne [p. 167 modifica]al culto divino; e l’altra alle spese del ritrovarsi a mangiare insieme. E della privata una parte assegnarne alle propie necessità, e l’altra ai bisogni degli altri cittadini, acciocchè divisa ciascuna di queste in due sorti, ogn’uomo possa partecipare dell’uno e dell’altro luogo.

E in tale modo si verrà ad avere il pari e il giusto; e starassi più d’accordo con li vicini. Che quando la cosa sta altrimenti, questi non tengono conto della inimicizia dei vicini: e quegli ne tengon più conto, che non si conviene. Onde appresso di certi è legge, che chi si trova vicino ai confini, non possa essere chiamato a consiglio sopra la guerra, che s’abbia a fare con loro; come se per la propietà loro e’ non potessino consigliar bene. Debbesi pertanto dividere la provincia nel modo detto per le contate cagioni.

E li contadini, se io avessi a chiedere a lingua, vorrei che fussino servi, nè fussin tutti d’una medesima nazione, nè di troppo animo, perchè essendo così fatti, e’ verrebbeno ad essere utili agli esercizî; e non sarebbono sospetti di potere innovare cosa alcuna. Nel secondo luogo vorrei; che tali fussin barbari, e di natura simile a’ detti, e di questi nei propî campi vorrei, che tali fussin servi di chi ha le possessioni propie; e nei comuni fussin servi del comune. Ma in che modo si debba usare li servi, e per che cagione e’ sia me’ fatto proporre la libertà per premio a tutti li servi, dirò iopiù disotto.