Trattatelli estetici/Parte seconda/XII. I ritratti

Parte seconda - XII. I ritratti.

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XII.

I RITRATTI.

In quanto si fa e si dice dagli uomini di un tempo e di una nazione ci hanno sempre, più o meno notabili, indizii proprii a quel dato tempo e a quella data nazione. Potrei pormi all’esame di oggetti molto minuti per trarne particolari argomenti a provare questa generale proposizione, ma mi contenterò dei ritratti, che quantunque non possano occupare il primato nel novero de’ monumenti rappresentanti la rivoluzione delle cose, non tengono nemmeno l’infimo grado. I ritratti adunque possono suggerirci [p. 83 modifica]anch’essi materia a riflessioni sopra l’indole di un tempo e di una nazione in generale, nonchè di un dato tempo o di una data nazione in particolare.

Io non parlerò degli antichi nei quali le opinioni prevalenti e le abitudini della vita erano tanto diverse dalle nostre; dirò in generale che gli antichi, a quanto almeno se ne sappia, usavano piuttosto farsi ritrarre uel marmo che sulla tela. È già noto che il gusto dell’antichità pendeva alla scultura anzichè all’arte del pennello. Ora non sono da cercare le ragioni di siffatta tendenza, ragioni indagate ed esposte con molto acume ed erudizione da critici di molta fama.

Venendo a’ moderni, e per moderni intendiamo tutte le generazioni succedute al disfacimento del romano impero, troviamo in essi un notabile riscontro coll’antichità nel volere associata la propria effigie alla rappresentazione di grandi, e molte volte augusti fatti. Non è da maravigliare di tale corrispondenza, quando si consideri derivar essa dall’ambizione, malattia universale, e, pur troppo! cronica nel genere umano. Ma non è di questa specie di ritratti su cui voglia arrestarsi precipuamente il nostro discorso.

Intendiamo parlare di quelle note che fanno diverso tal secolo da tal altro, e tale da tal altro individuo. Forse che nella più parte de’ ritratti non ci trovate argomento a qualche sorte di giudizio, intorno all’indole morale della persona [p. 84 modifica]rappresentata? Non vi dice qualche cosa quel libro sopra il quale il personaggio a cui si fa il ritratto vuol tenere il dito? Quella cetra che gli sta da lato? Quell’oriuolo appeso alla parete a cui leva gli occhi? E trattandosi di donne, un mazzo di fiori, una figurina d’amore, uno schall con avveduta negligenza gettato sopra un tavolino, o lasciato cadere dal braccio? Tutti sanno di Alessandro Tassoni che volle esser dipinto cou un fico in mano, e col distico sottovia il quadro, che rendeva ragione di quella sua fantasia.

Molti sono per verità i quali non vogliono nessuna leggenda sotto il loro ritratto, e nè manco soffrono di portare indosso indizio alcuno troppo particolare. Fra questi non vi sarebbero alcuni di quelli che non vogliono nulla di quanto v’è di buono e di bello a questo mondo? Parlate loro d’onori? Sono nebbia che si dilegua tra le braccia di chi vuole afferrarla. Ricchezze? Sono fonte di dolore, e da condannare a continuo travaglio così chi le agogna come chi le possiede. Potere sui loro fratelli? Sciagurati fra tutti i figli di Adamo quelli che abbisognano di così fatte consolazioni! E tuttavia, tentate uno di cotestoro colla lusinga di una carica che li faccia avanzare d’un palmo sopra la moltitudine; metteranno in faccenda le gambe perchè altri non sia primo ad avanzarli in quell’arringo. È egli il bagliore di poche monete, che si lascia vedere? Non hanno più occhi per altro splendore, [p. 85 modifica]fosse raggio di sole. Hanno cui comandare? Domandate a que’ miseri che sono loro soggetti se sappia di sale il pane di chi obbedisce, o se il calcagno di chi sta sopra prema forte sui dipendenti.

Ma fin qui s’è parlato d’individui: veniamo a discorrere delle generalità. Girate l’occhio per le gallerie. Eccovi i secoli della rustica semplicità; poi quelli del sospetto armato; poi quelli della incipriata galanteria. Pellicce e cappelli con ali diffuse; poi cotte di maglia e bracciali d’acciaio; parrucche quindi e vestimenti trinati. Così delle dame come dei cavalieri. A principio buone massaie, e con certa aria di soggezione contenta; da lato a que’ signorotti dalla ciera sbirresca, fisonomie impaurite e da spiriti dominati dalla necessità de’ chiavistelli; per ultimo, acconciature di capo piramidali, nastri e merletti in buon dato, e collane che spesso concorrono a cagionare caduta di un regno.

E il nostro tempo? Pensate, lettori cari, se sia da prendersela con quanti vivono, e si studiano mandare ai posteri la propria immagine! Tuttavia non sono da ommettere alcune osservazioni molto generali, e per conseguenza da poter esser esposte senza pericolo di far offesa a chicchessia. Voi vedete primieramente la più parte de’ nostri ritratti nuotare in un certo aere, che non ben sapete se sia nuvole o altra cosa. Vorrebbe dir forse che i nostri cervelli divagano anch’essi, qual più qual meno, nell’ipotetico [p. 86 modifica]e nell’immaginario? O che l’influenza del vapore, che tutto agita e spigne, siasi diffusa anche per questa dominazione de’ ritratti? Non abbiamo più, veramente, da qualche anno quel vestire scollacciato, e quelle stralunate fisonomie alla Iacopo Ortis: possiamo dire per questo che ei sia vera calma in quegli aspetti di persone che se ne stanno sedute, con le braccia conserte al seno! Oh la fastidiosa ipocondria che le invade! Che desiderano? Che aspettano essi? Li diresti uomini stanchi prima di aver nulla fatto. Fu osservato da un acuto scrittore che l’uomo il più operoso de’ nostri tempi, per una singolare contraddizione di attitudine, teneva le braccia avvicendate, come sogliono gli oziosi: ma sarebbe da domandare a quell’acuto scrittore: che razza di operare fu quello? Non viene egli a memoria, sempre che si leggano le strepitose avventure dell’uomo stranamente operoso, il Monarca assiro delle scritture, che crebbe subitamente come il cedro del Libano, e a un girar di occhio era nulla della sterminata sua altezza? Cercate adesso la traccia di tante rote da guerra, e l’orma di tanti uomini condotti al macello! E però gl’ipocondriaci del nostro tempo se ne stanno sulla seggiola nicchiando, finchè abbiano messo in luce con lungo spasimo dell’intelletto la novelletta, il proverbio, la rivista teatrale. Si addormentarono al suono di una musica militare, e sognano Termopili e Maratona. [p. 87 modifica]

E le signore? Hanno il paggio moro tra’ piedi, e il cacciatore alle reni quando vanno in carrozza.

Leggono le gazzette, e susurrano un poco d’inglese, perchè il francese è cosa omai troppo vecchia. A farsi ritrarre domandano che il pennello sia russo per lo meno; perchè noi, poveri scolari di Tiziano, appena sappiamo colorire appostoli e dogi. Vi può essere miglior partito per una giovanetta del farsi ritrarre a cavallo? Cosi fu fatto. Questo è ben altro dal progresso che si predica nei giornali! Questo è aver preso il galoppo.