Trasformazioni industriali e trasformazioni linguistiche nel cinema americano del dopoguerra/Capitolo 1/Hollywood: l'industria e il mito

Capitolo 1
Linee di trasformazione nel cinema americano del dopoguerra

Hollywood: l'industria e il mito

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Agli inizi degli anni '80 assistiamo ad un notevole cambiamento nella struttura di Hollywood. Essa solo ingannevolmente può apparire quella di una volta. Sebbene portino ancora i medesimi nomi, le case di produzione e di distribuzione che negli anni '30 monopolizzavano il mercato cinematografico, oggi sono diventate parte di società multinazionali. Tramite il loro nome, ridotto ormai ad un'etichetta che nella memoria del pubblico si ricollega in qualche modo ad un passato "glorioso", le multinazionali amministrano una branca delle loro molteplici attività, quella dei mass-media e dell'"entertainment" in generale. Accanto ad esse si registra inoltre la presenza delle cosiddette "indipendenti", compagnie di produzione e di distribuzione sorte in seguito alla crisi che ha colpito le Majors dalla metà degli anni '50.

Questa situazione ci appare come il punto di arrivo di un lungo processo di trasformazione, non solo in dustriale, che ha investito il cinema americano dal dopoguerra sino ad oggi. In questo primo capitolo dunque, il nostro intento sarà quello di cercare di comprendere in che modo l'attuale industria cinematografica americana si è venuta determinando, quali influenze sociali, quali scelte economiche, quali innovazioni tecnologiche ne hanno condizionato lo sviluppo fino a giungere agli odierni modi di produzione e di lavorazione.

A proposito di questi ultimi si è parlato più volte di "nuovo cinema americano", secondo una terminologia ambigua, alla quale vengono dati contenuti diversi in base all'approccio di chi l'adotta. Noi per ora ci limitiamo ad assumerla nella sua accezione più generale, ritenendola cioè comoda per l'individuazione di un particolare momento all'interno della cinematografia U.S.A.: il "nuovo cinema americano", appunto, dove per "nuovo" intendiamo "più recente" e nient'altro. Al di qua delle interpretazioni, nulla infatti ci sembra più sicuro del fatto che l'attuale struttura hollywoodiana sia l'ultima appendice di un'illustre tradizione di fare cinema e, come tale, parli un linguaggio che rispetto al precedente non tanto è "nuovo" nel senso di "differente", quanto piuttosto è "nuovo" nel senso di "più evoluto"; e forse mai come oggi questo cinema è consapevole non solo della propria storia, ma anche delle proprie risorse, dei propri procedimenti di realizzazione, della propria evoluzione, insomma.

In questa prospettiva diventa più comprensibile anche il fatto che oggi siano i filmmaker 1 ad avere il potere ad Hollywood, laddove esso era prima monopolio di affaristi estranei alle stesse tecniche di lavorazione di un film. La portata di questo avvenimento è certo notevole considerando che "una volta perfino un John Ford o un Howard Hawks erano legati da contratto e potevano essere assegnati a dirigere qualsiasi film su capriccio degli Studios. Ora, invece, i filmaker più spesso lavorano per organizzare i loro film dalle loro proprie idee. Gli Studios hanno il potere, ma è solo il potere di dire di no. Non possono costruire o stroncare le carriere. Né sono i creatori" 2.

Ma perché questo accadesse era prima necessario che entrasse in crisi il modo di intendere il cinema ed il conseguente sistema produttivo della cosiddetta "Old Hollywood". Essa era legata, essenzialmente, ad una concezione del cinema come mera industria del divertimento: il suo ruolo sociale si esauriva all'incirca nell'esorcizzare problemi e aspetti della realtà nazionale per riportarli sugli schermi sotto forme più o meno innocue, ma comunque ammorbidite, prive di traumi. Anche laddove si poteva sospettare la tragicità di un certo tema (e accadeva spesso data la qualità tutt'altro che scadente dei film), tuttavia essa veniva scavalcata sulla base di un ragionamento che più o meno poteva suonare così: per quale motivo parlare nei film della questione razziale, ad esempio, se l'intento è quello di incassare bene e far contenta la gente? In questo senso si può propriamente dire che la funzione di Hollywood era alla fin fine una funzione "mitica"; consisteva cioè nel procurare modelli, tanto o poco logici, ma comunque idonei al superamento di determinate contraddizioni. Però, com'è noto, i miti non possono da soli risolvere granché, in quanto si limitano esclusivamente a rimuovere le difficoltà che sollevano, anche se prima o poi devono farci i conti 3. E così questa visione di una Hollywood mitica, fabbrica di sogni, era destinata a subire una prima radicale riforma da quella serie di mutamenti sociali che seguirono alla seconda guerra mondiale. Essa cancellò quell'epoca di illusioni poco faticose e molto ingenue, per sostituirvi miti più "sofferti", anche se sempre "divertenti": l'innocenza autolesionista di Marilyn Monroe, l'energica fiducia di Gene Kelly, la gioventù bruciata di James Dean.

Si innescò in questo modo un processo che potremmo definire di "decadenza" e che si protrasse lungo gli anni '60. Questi furono nella loro essenza anni anti tutto quello in cui si faceva finta di credere prima. Così l'eroe divenne anti-eroe ed il western anti-western. Più generalmente si ebbe la tendenza ad una produzione selvaggia di generi antitetici, rivolti a settori di pubblico divergenti. Ciò era dovuto principalmente alla mancanza di idee precise tra i dirigenti, i quali, dopo aver investito capitali in super-produzioni che appena appena pareggiavano i conti, si affidavano alla tenue speranza di guadagnare con i rifacimenti e le imitazioni. Negli anni '70 s'è imposta invece una prospettiva a più lungo termine. Coll'avvento della generazione dei filmmaker si è avuta una spinta verso una riflessione intorno alla stessa macchina del cinema, quasi a voler significare che può essere più utile costruire che distruggere, capire piuttosto di consumare. O forse capire per consumare. Ma per capire appunto la dinamica con cui si è evoluta la struttura cinematografica americana fino al momento attuale, quali avvenimenti ne hanno im posto la trasformazione e quale nuovo ruolo essa svolge, occorre rifarsi a quel fondamentale momento di ricostruzione morale e sociale che fu il dopoguerra.

Note

  1. Non intendiamo qui riferirci ai filmmaker dell'underground. Se infatti il termine "filmmaker" si è affermato nell'ambito dell'avanguardia storica americana, attualmente la critica cinematografica ne ha esteso l'impiego a quegli autori emersi nel corso degli anni '70, autori il cui operato si contraddistingue per l'aver definitivamente rotto con un certo modo di intendere il cinema e quindi con quella rigida suddivisione del lavoro che ancora era legata alle forme sclerotizzate della "Old Hollywood". Torneremo comunque più ampiamente sull'argomento e sui rapporti, le affinità e le differenze tra i filmmaker dell'underground e i filmmaker della "New Hollywood" in 3.4.
  2. Michael PYE & Lynda MYLES, The Movie Brats - How the Film Generation Took Over Hollywood, London-Boston, Faber and Faber, 1979, pag. 21.
  3. Una sottile analisi di Hollywood come fornitrice di miti è svolta da Michael Wood, L'America e il cinema, Milano, Garzanti, 1979. Riportiamo qui un passo che ci sembra utile per la comprensione della valenza mitica del cinema e non solo di quello hollywoodiano: "Scrive Kafka: 'I leopardi irrompono nel tempio e bevono sino alla feccia il contenuto delle brocche sacrificali; questo si ripete più e più volte; al fine lo si può prevedere in anticipo e diventa parte della cerimonia'. E' una parabola che descrive molte situazioni, pubbliche e private, con sgradevole precisione. Per il momento, tuttavia, possiamo vederla come una descrizione del funzionamento della cultura commerciale; e in particolare del cinema. I leopardi sono le paure e le preoccupazioni che non possiamo né ammettere né ignorare, e il tempio è la favola che dovrebbe divertirci. Noi non possiamo far nulla contro l'irruzione dei leopardi, e possiamo fare ancora meno, sembra, contro l'esistenza dei leopardi nel mondo fuori del tempio. Ma finché siamo nel tempio, possiamo esorcizzarli con una interpretazione consolatoria o ri-duttiva della loro attività. Continuano a scolarsi le brocche e continuano, sicuramente, ad essere pericolosi. Ma non sono più presenze selvagge e prive di un significato; non sono più animali randagi e feroci che ossessionano i confini della nostra mente. Sono parte della cerimonia." (pag.21)