Tragedia non finita/Atto primo/Scena terza

Atto primo - Scena terza

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SCENA TERZA

STRANIERO, CORO, GALEALTO
CONSIGLIERO


Stranier. L’errar lontan dalla sua patria, e ’l gire

Peregrinando per le terre esterne,
Mille disagi seco, e mille rischi
Suole ognora apportar; ma pur cotanto
È ’l piacer di veder cose novelle,
Paesi, abiti, usanze, e genti strane;
E così nelle menti de’ mortali
Il desiderio di sapere è innato,
Che nel peregrinar non si pareggia
Col diletto l’affanno. Altri ozioso
Sieda pur nelle sue paterne case:
Del letto marital covi le piume,
E nel sen della moglie i molli sonni
Dorma sicuro; or sotto l’ombra al suono
D’un mormorante rivo, or dove tempri
Il rigor d’Aquilon tepida stanza;
Ch’io però gli ozj suoi nulla gl’invidio.
Me di seguire il mio Signor aggrada,
O de’ monti canuti il ghiaccio calchi,
O le paludi pur, ch’indura il verno.
Ed or, quanto m’è caro, e quanto dolce
L’esser seco venuto all’alta pompa,
Che s’apparecchia per le regie nozze
In quest’alma cittade! Egli mi manda
Suo precursor al Principe Norvegio,
Perch’io gli dia del suo arrivar avviso.
Ma voglio a quel guerrier, che colà veggio,
Chieder, dove del Re sia la magione.
Amici, a me, che qui straniero or giungo,
Chi fia di voi, che l’alta Reggia insegni?
Coro Vedi là quel di marmo, e d’or superbo
Edificio sublime? ivi è la stanza
Del Signor nostro: ed egli stesso è quello,
Ch’or vedi in atto tacito, e pensoso
Starsi con quel canuto, e saggio vecchio.
Stranier. O magnanimo Re della Norvegia,
Il buon Torindo, Regnator de’ Goti,

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T’invia salute, e questa carta insieme.

Galeal. La lettra è di credenza: Amico, esponi
La tua ambasciata.
Stranier.  Il mio Signor Torindo
Alle tue nozze viene: e ormai non solo
Dentro a’ confini del tuo regno è giunto;
Ma sì vicino l’hai, che pria ch’il Sole,
Ch’ora è nell’Orto, a Mezzogiorno arrivi,
Dentro al cerchio sarà di queste mura.
Ed ha voluto ch’io messaggio innanzi
Venga a dartene avviso, ed a pregarti
Che tu ’l voglia raccor senza solenne
Pubblica pompa, e senza quei comuni
Segni d’onor, che son tra Regi usati;
Perocch’al vostro amor foran soverchi
Tutti del core i testimonj esterni.
Ei teco usar non altramente intende
Di quel che già solea, quando in più verde
Età ne gisti per lo mondo erranti.
Galeal. Frettolosa venuta! oh come lieto
Del mio novello amico odo novella!
Sarà dunque ei qui tosto? Oimè! sospiro,
Perchè il piacer immenso, onde capace
Non è il mio cor, convien ch’in parte esali.
Coro La soverchia allegrezza, e ’l duol soverchio,
Venti contrarj alla vita serena,
Soffian dall’alma egualmente i sospiri,
E molti sono ancor nel core i fonti,
Onde il pianto deriva, il duol, la gioja,
La pietade, e lo sdegno; onde da questi
Esterni segni interiore affetto
Mal s’argomenta: ed or nel mìo Signore
L’infinito diletto affetto adopra,
Qual suole in altri adoperar la doglia.
Stranier. Signor, se con sì tenero, ed ardente
Affetto ami il mio Re, giurar ti posso
Ch’ei nell’amar ti corrisponde appieno.
Qual è di lui più fervido, ed acceso,
O qual più fido amico?
Galeal.  Oimè, che sento!
Come son dolci al cor le tue parole!
Stranier. Egli delle tue nuzze è lieto in modo,
Ch’ogni tua contentezza, in lui trasfusa

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Sembra: se ode lodar la bella sposa,

Ne gode sì, come se sua foss’ella,
Come s’a lui quella beltà dovesse
Recar gioja, e diletto, e spesso chiede....
Galealto Di lei chiede, e di me: nulla di nuovo
Narrar mi puoi, ch’il mio pensier previsto
Non l’abbia: e te, che del cammin sei lasso,
Non vo’ che stanchi il ragionar più lungo.
Or per risposta sol questo ti basti,
Ch’il Re Torindo qui così raccolto
Sarà, com’egli vuol; ch’è qui Signore.
Or va, prendi riposo: e tu ’l conduci
All’ospitali stanze; e sia tua cura
Ch’abbia quegli agi, e quegli onor riceva,
Che merta il suo valore, e che richiede
La dignità di lui, ch’a noi lo manda.