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il consiglio
L’Alba nel ciel mattutino stampava le dita di rose,
quando raccolte le genti, tra tutti partii questi detti:
“Noi non sappiamo per dove è la sera, per dove l’aurora,
nè da che parte quel sole ch’è luce ai mortali, va sotto,
nè da che parte vien sopra. O compagni, prendiamo consiglio,
se ci sarà più che fare. Per me, che ci sia, non lo penso:
chè già salita una scabra vedetta, ch’è un’isola vidi,
questa che intorno tutt’è coronata dal mare infinito.
Essa ha spianate le rive, e nel mezzo con questi miei occhi,
scorsi montare del fumo attraverso boscaglie e macchioni„.
Dissi, ed il cuore ai compagni sembrò stritolarsi, pensando
ciò che che il Lestrigone Antìfate aveva lor fatto, pensando
al mangiatore crudele degli uomini, forte Ciclòpe.
Misero striduli pianti, versarono lagrime molte,
sì; ma da pianti e lamenti non opera alcuna veniva.
Io numerava i compagni, forniti di belle gambiere,
tutti, in due schiere, ed un capo a ciascuna fornii, di mia scelta:
io fui dell’una, dell’altra fu Eurìloco simile a un dio.
Subito in una barbuta di bronzo agitammo le sorti:
fuori la sorte sbalzò d’Eurìloco d’anima grande.
E s’avviò: lo seguivano venti, più due, de’ compagni
nostri piangendo, ed in pianto lasciarono noi dietro loro.