[p. 38 modifica]
il lamento della vedova
“Ettore, oh misera me! con un solo destino nascemmo
noi tutti e due: nella casa di Priamo, in Ilio tu; io
nacqui là in Tebe alle falde del Placo tutt’alberi, in casa
d’Eetïone che su mi tirò da piccina piccina,
misero, misera: oh! mai non avesse egli avuto figliuoli!
Ora sotterra alla casa tu dell’Invisibile vai,
ecco, ed in una crudel passïone qui dietro ti lasci
vedova me, nella casa, ed un bimbo che ancora non parla,
quello che insieme facemmo, tu (miseri!) ed io, nè sarai,
Ettore, a lui tu di pro’, che moristi; e nemmeno a te esso.
S’egli scampare potrà dalla guerra che lagrime costa,
sempre per lui ci sarà d’or innanzi fatica e dolore.
Gli altri nel campo di lui smoveranno i confini di pietra.
Prendegli il dì d’orfanezza del tutto gli amici, al fanciullo:
sempre tien bassa la testa, di lagrime ha molli le gote.
E, nel bisogno, va su dai compagni del padre, il fanciullo;
l’uno egli tira pel manto, ad un altro la tunica prende:
quelli commossi a pietà, quaicheduno gli accosta la coppa
giusto un pochino, e gli bagna le labbra, il palato non bagna.
Altri che ha padre e che ha madre lo sperpera via dal convito,
e con le mani lo picchia e con male parole l’oltraggia:
“Esci, costì! non insieme con noi v’è tuo padre a cenare!„
Pieno di lagrime torna alla vedova madre il fanciullo,
Astianatte, che prima di sulle ginocchia di babbo
solo midolla mangiava ed il morbido grasso d’agnelli.
Poi se prendevagli sonno e cessava di giocherellare,
in buon letto faceva la nanna, nel collo alla balia,
in una morbida cuna, col cuore beato di chicchi.
Or molti guai soffrirà, che ha perduto il diletto suo padre,
Astianatte, ch’è il nome che ancora gli danno i Troiani,