Tommaso Moro (Pellico, 1883)/Atto primo

Atto primo

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Personaggi Atto secondo
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TOMMASO MORO.


ATTO PRIMO.

Reggia.


SCENA I.

ANNA.


Con un detto potrei l’irato Arrigo
Spingere alfine a estinguere costui!
Il nemico de’ miei, Tommaso Moro!
Il mio nemico! E pur.... l’immensa fama
D’uom così forte d’intelletto, e caro
Cotanto al regno, ed onorato in tutte
D’Europa le contrade, ahi m’atterrisce!
Lasciarlo vivo io non volea; non oso
Dar mossa al ferro, onde il bramava io spento.
Britanna pur io sono; e qual Britanna
Strugger tal uom m’incresce, a cui la patria
Di tanto lustro debitrice andava.
E s’io il salvassi? E s’amicarlo a mia
Causa potessi?


SCENA II.

ALFREDO e detta.


Anna.                              Alfredo, tu?
Alfredo.                                             Regina,
Uop’è che porga a mio preghiere ascolto.
Anna.Onde affannato?
Alfredo.                                   Alle mie antiche labbra
Spetta parlarti il vero. Anna Bolena,

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Te tradiscono i più, te i più adulando
Vantano inimitabile nel senno
E nella gloria, perchè in trono alzata
Accanto a sé ti volle Arrigo ottavo.
Niun più di me del tuo splendor gioía;
Niun più di me che a’ tuoi parenti amico
Sin da’ miei giovenili anni ho vissuto;
Che te tra i figli miei crescer vedea;
Che te quasi mia figlia amo, e di tanta
Grazia del re, mio sir, vo debitore
All’amor tuo. Ma libera non posso
Da gravi rischi riputarti.
Anna.                                             Come?
Alfredo.Deh! cauta sii. Provvedi ondo aborrito
Non venga il nome tuo per le soverchie
Stragi che il re commette, e che dal volgo
Apposte sono a’ tuoi consigli.
Anna.                                                  Il cielo
Sa che di stragi non son vaga.
Alfredo.                                                       E pure
Non t’adopri a scemarle.
Anna.                                             Inevitata
Di fanatici molti era la morte,
Che al romano pontefice devoti,
Al divorzio del re maledicendo
E dell’anglica chiesa alla riforma,
Volean ripor la mia rival sul trono.
Alfredo.Per sempre allontanata è Caterina;
Paventar non la dèi. Bensì paventa
Il biasmo universal: paventa il core
Mutevol del tuo sposo. Ei del versato
Sangue potrebbe inorridir: potrebbe
Teco sdegnarsi, degli eccidi causa....
Anna.Quale ardito linguaggio!
Alfredo.                                        Anna!
Anna.                                             Prosegui,
Prosegui, sì, ten prego. Il sento anch’io:
Fidi consigli occorronmi. Fra feste

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E plausi vivo, e nondimeno io spesso
Dell’abbagliante mia sorte diffido,
E felice non son.
Alfredo.                                   Farti felice
Potresti, il re volgendo a più clemenza,
Dritti acquistando in cor d’ogni Britanno
A stima e gratitudine.
Anna.                                             Ah! maggiore
Ch’ella non è, ti par la mia possanza
Sovra l’alma d’Arrigo. Oh, che non dissi
Per liberar dal rogo o dalla scure
Or questo or quel?
Alfredo.                                   Creder tel vò; ma il volgo,
Ahimè, nol crede. Ei scellerata autrice
Di tai scempi ti noma. Ei raccapriccia
Che tu salvato in questi dì non abbia
Quella vergin di Kent che tanto avea
Di santità rinomo.
Anna.                                   Elisabetta!
La furibonda Elisabetta! io volli
Per la pietà del sesso mio salvarla.
Tu non sai: l’empia mi spregiò; negommi
Il titol di regina, e orrende cose
Mi profetò. L’abbandonai.
Alfredo.                                                  La vidi,
La vidi trarre al rogo. Udii l’estreme
Parole sue. Ridirtele degg’io?
Anna.Che!
Alfredo.          Ridirtele, certo, uom non ardiva
In questa di menzogne e di lusinghe
Ridente corte. Or sappilo, o infelice,
E non prenderle a scherno.
Anna.                                             Oh ciel!
Alfredo.                                                       Motori
Noi di riforma nella chiesa, indarno
Vorremmo annoverar tra’ scellerati
Ogni nostro avversario, ogni seguace
Del roman culto. Ah no! v’ha tra coloro

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 Anime alte, piissime, dotato
Di tai doni da Dio, ch’averne è forza
Reverenza, terror. Quella fanciulla
Veramente parea da onnipossente
Impulso mossa.
Anna.                              E che dicea morendo?
Noi maledisse?
Alfredo.                               Perdonovvi, e Dio
Pregò per voi, per te.
Anna.                                             Misera!
Alfredo.                                                            E sciolse
Nobil lamento sulla patria afflitta
Da sì lunghe discordie, e invocò grazia
Sul capo tuo, sì ch’a più degno calle
In avvenir t’avvii. Quindi....
Anna.                                                  T’arresti?
Non osi proseguir?
Alfredo. Quindi proruppe:
«Ma guai d’Arrigo all’infelice amata,
Se persiste nel mal, se compier lascia
D’incolpati cattolici altro scempio!
Se immolar de’ mortali il più innocente
Lascia!»
Anna.                    Chi?
Alfredo.                               Moro. E se immolato è Moro.
Pronosticò la profetante ad Anna
Il disamor d’Arrigo stesso... e morte.
Anna.E tu potresti dubitar?...
Alfredo.                                                   Che avviso
Fosse del ciel? Tu incredula non sei:
Impallidir ti veggio.
Anna.                                              È ver: terrori
E non so qual presentimento infausto
M’affliggono talor. Forse è fiacchezza,
Ma vincerli non so. Mercè ti rendo
Di tua animosa confidenza. Io voglio,
Sì, le mie forze addoppiar voglio, Arrigo
A distor dalla ria carnificina

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Cui lo sospingon altri. Arsi di sdegno
Contro Tommaso Moro, e pur non l’odio.—
Chi c’interrompe? —


SCENA III.

Un Gentiluomo e detti.


Gentiluom.                                              Maestà, concesso
Udïenza avevate a Margherita
Figlia di Moro.
Anna.                               Dessa? qui? s’avanzi.
Vanne, Alfredo: a me inutile non fia
Del tuo zelo magnanimo l’avviso.


SCENA IV.

ANNA.


Tutti abbiam d’uopo di virtù! Pur io
Che da virtù m’allontanai cotanto,
La stimo, l’amo, la desio! — Quel fero
Profetar della vergine al solenne
Momento di sua morte mi conturba....
Stata davver fosse di Dio una voce
Per ritrarmi a virtù?...


SCENA V.

MARGHERITA e detta.


Margher.                                              Donna....1
Anna.                                                             Infelice,
Sorgi.
Margher.          L’avermi alfin benignamente
Questa udienza consentita, in core
Qualche speranza mi ripon.
Anna.                                                        Doveri
Dolorosi, e che forse immaginarsi

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Altri non sa, mi vietano alla figlia
D’un accusato così spesso ascolto
Dar quant’io bramerei.
Margher.                                             Creder non posso
Che l’imposta corona interamente
Cangiasse Anna Bolena. Io vi conobbi
Mite, soave cogli afflitti. Ah quella,
Quella voi siete ancor! sebben da cure
Di regno e da lusinghe ora agitata,
Quella voi siete ancor. Nella pupilla
Vi leggo i sensi che nudrire un tempo
Vi degnavate di bontà, d’amore
Per la figlia di Moro.
Anna.                                             Ah! Fortunato
Tempo era quello, in cui vantarti amica
Lecito m’era. Parla: in che potrei
Le tue angosce lenire?
Margher.                                             Il padre mio
Perchè da un anno fra esecrande mura
Giace prigion? Non perchè a voi dispiacque?
Indulgente, deh, siategli! A rispetto
Vi mova il suo magnanimo sincero
Sentir; non date di delitto il nome
Ad opposizïon ch’ei lealmente,
Non per odio, vi fea. S’ei nell’ardore
Del suo zel trascorreva, il suo dissenso
Manifestando al vostro imen col sire,
Pensate che ingannarsi egli potea
Per amor di giustizia e della patria,
E di voi stessa. Ah sì, di voi! Nè solo
Fu il padre mio in temer che a voi fatale
Tornasse quest’imen. Più d’un amico
Dissuäderven già tentò.— Dispetto
Deh non vi rechin mie parole: udite....
Poichè il temuto imene Iddio permise,
Or benedicalo ei! Ma benedirlo
Iddio mai non potrà, s’angiol di pace
Anna Bolena non divien; se i giusti

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Per suà cagion periscon; se mio padre,
Infra i regii ministri il più fedele,
Qual traditore oppresso vien.
Anna.                                                  M’accusa
Il volgo, il so, di queste stragi tutte
E del destino di tuo padre. Ah! credi
Ch’io non son così rea; credi ch’io bramo
E ardentemente cotai grazie imploro
Spesse volte dal re, ch’ei mi ricusa,
Sebben di me amantissimo. Intentata
Pel padre tuo non lascerò una via;
Salvarlo anelo io, sì. Ma secondati
Gl’intenti miei sieno da lui. L’altero
Spirito alquanto innanzi Arrigo ci pieghi.
Margher.Perchè l’altero spirto ei pieghi alquanto,
Deh! m’ottenete ch’io il rivegga. Indarno
Con sì orribile carcer, con sì fera
Solitudin, con barbare minacce,
Domar credete alma gagliarda e pura.
Molcer la può dolcezza; empi rigori
Altro non pòn, che più e più afforzarla.
Anna.Che? di vedere i figli suoi gli è tolto?
Margher.Sì.
Anna.           Per cenno del re? Creder nol posso.
Sarà comando di zelanti audaci;
Sarà comando di Cromwell, che troppa
Autorità s’arroga, ed odïosa
Così fa spesso del suo re la possa.—
Cromwell, sei tu? T’avanza. Odi.


SCENA VI.

CROMWELL e detta.


Cromwell.                                                            Regina.
Anna.Che sento! A Moro in carcere i suoi figli
Pur è tolto abbracciar? Questa barbarie
Il re non volle mai.
Cromwell.                                         Donna...

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Anna.                                                            All’illustre
Infelice conduci or questa pia,
Nè a’ lor colloquii mai divieto v’abbia.
Cromwell.Obbedirvi non posso.
Anna.                                              Audace! e dubbio
Potresti accòr che Arrigo al voler mio
Sì tenue grazia dinegasse?
Cromwell.                                                   Il regno
Pieno è di trame, e ne’ colloquii astuti
Del prigioniero e de’ congiunti suoi
Temere è dritto perfidi concerti
Contro la nuova chiesa e contro Arrigo.
Anna.Tu il vedi, Margherita: ogni mia brama
Legge stimavi; ahi, tal non è!
Cromwell.                                                        S’inoltra
Lo stesso Arrigo.


SCENA VII.

ARRIGO e detti.


Anna.                                         Sposo.
Arrigo.                                                   E chi è costei
Che a’ piedi mi si getta?
Margher.                                                   Ah, sir!
Arrigo.                                                             Tu dessa?
Tu? Di Moro la figlia entro mia reggia?
Chi t’introdusse? in questa guisa adunque
Son rispettati i miei divieti?
Anna.                                                        Amato
Arrigo, deh, ti placa! Io....
Arrigo.                                                   Tu, regina,
Esser devi la prima, i cenni miei
Fedelmente a osservar. Tommaso Moro
Sperar grazia non dee.
Margher.                                                   Truce parola!
Disdicila, o signor.
Arrigo.                                             Di queste mura
Costei si tragga, e più non v’entri mai!

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Margher.Oh me misera!
Anna.                                    Sposo, io sono, io sono
Che parlare a lei volli. Io divisava
Per mezzo della figlia ancor di Moro
L’alma tentar; vincerla alfin.
Arrigo.                                                   Tal alma
Niuna forza più vince; io la conosco.
Troppo alla mia, troppo alla mia somiglia.
In eterno doveano esser concordi,
O irreconciliabili in eterno!
Margher.Ahi! di qui vengo strascinata! Addoppia,
Anna, gli sforzi tuoi; mitiga l’ire
Terribili del sir! rendimi il padre!


SCENA VIII.

ARRIGO, ANNA.


Arrigo.Imprudente, inegual sarai tu sempre,
0 mia diletta? Or tuoi nemici abborri,
Or per essi intercedi. A te le gravi
Cure di stato non s’aspettan.
Anna.                                                   Sempre
Mi s’aspettan del mio sposo le cure.
Arrigo.In tempi io regno di tumulti e sangue;
In tempi in cui richiesto è dallo scettro
Formidabil vigor.
Anna.                                    Vigor che tutti
D’Europa i regi e i popoli stupia
Mostrasti, allor che anatemi affrontavi
E tradimenti e guerre, e me a regina
Di cesarei natali anteponevi.
Di tuo spirto il vigor not’è abbastanza:
Or tu palesa, ch’ogni dì adoprarlo
Per terror delle turbe non t’è d’uopo.
Rimanga a tua diletta Anna la gloria
D’ottener qualche volta a’ rei clemenza.
Io fui da’ miei nemici empia chiamata,
Perchè m’amasti ed io t’amai. Smentita

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Deh sia l’accusa. Il mondo sappia ch’io
Covar non so durevol ira; ch’io
Nei primi impeti miei se talor chiesto
Ho da te sangue, pochi istanti appresso
Raccapricciai di mia ferocia; e pianto
Versai sugli infelici offensor miei,
E salvarli agognai.


SCENA IX.

CROMWELL e detti.


Arrigo.                                        Cromwell, che rechi? .
Cromwell.Una sentenza.
Anna. Ohimè! Di chi? di Moro?
Cromwell.No, giudicato ancor non è.
Arrigo.2                                                  Dannato
È l’amico di Moro alla mannaja.
Anna.Chi?
Arrigo.          L’arrogante vescovo, che noi
Dagli altari imprecava.
Anna.                                              Ingiurie atroci
Dimenticar leve non m’è. Ten chiesi
Con lagrime vendetta; or che vendetta
Vicina sta, m’inorridisce, e chieggo,
Chieggo che a sua vecchiezza, al sacro manto
Che sì lungh’anni gli omeri gli cinse,
All’avermi fanciulla un dì portata
Fra sue braccia tu miri, e gli perdoni.
Arrigo.E non pensi che il vescovo implacato
Era di Moro l’anima? l’impulso
A biasmar le mie leggi? a rimanersi
Nel culto ch’io riprovo?
Anna.                                              Ahi la sentenza,
Te ne scongiuro, non soscriver. M’odi.
Neri presagi mi funestan; mai
Così atterrito il cor non ebbi. Un fine
Abbiano tanti eccidi. Al regno tuo

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Vuoi tu fermezza dar? Moro costringi
A benedirti ancor; traggilo a forza
Fra i difensori tuoi; digli che grazia
Al suo amico tu fai dannato a morte,
Purch’ei gl’imposti giuri omai ti presti.
Arrigo.Inutil prova! E pur....
Anna.                                        Sol questa volta,
Deh! segui il mio consiglio. Oh, se sapessi
Come l’universale abborrimento
M’avvelena ogni gioja! E quando mesta
Anna tu vedi e il suo dolor ti crucia,
Sappi, o sir, che invincibile una forza
V’è nell’anima sua che la tormenta,
Dicendole: «Infelice! odiata sei,
Odiata sei da’ popoli!» — Oh quant’io
Nel concetto di tutti ambirei fama
Di pacificatrice e di sincera
De’ buoni amica! Da te stassi, Arrigo,
Che questa nobil fama Anna gioisca.
Il vuoi tu, signor mio? Sì; l’occhio tuo
Di tenerezza brilla; a me trionfo
Quegli sguardi promettono.
Cromwell.                                                   Signore....
Arrigo.Sentenza oggi di morte io non soscrivo.
La prova ch’Anna mi propon s’adempia.
Vanne, o Cromwello, a Moro. A lui palesa
Che pel vescovo reo pregar clemenza
La regina degnò. Digli che pronto
Sono a sottrar dalla mannaja il capo
Di quel fellon, solo ad un patto.
Cromwell.                                                   Quale?
Arrigo.Che Moro giuri alla riforma ossequio,
E il mio divorzio e le mie nozze approvi.
Anna.Oh me felice! Amata io son da Arrigo.3
Cromwell.Insensata! Che fia di lei, di noi,
Se un mortal qual è Moro in grazia torna?4

Note

  1. S’inginocchia.
  2. Dopo letta la sentenza.
  3. Parte col re.
  4. Parte.