Testi inediti friulani dei secoli XIV al XIX/Avvertimento

Avvertimento

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Testi inediti friulani dei secoli XIV al XIX I. Secolo XIV
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TESTI INEDITI FRIULANI

DEI

SECOLI XIV AL XIX,

RACCOLTI E ANNOTATI

DA

VINCENZO JOPPI.


Avvertimento.


I più antichi documenti manoscritti di quella lingua friulana, che vive parlata in tante varietà fra Trieste e la Livenza, sono i pochi Saggi che ancora ci rimangono del secolo decimoquarto; ed è, in generale, perduta nel Friuli quasi ogni memoria scritta di tempi anteriori. Le infelici condizioni di questa contrada, travagliata da continue guerre, frequenti carestie e pestilenze, erano d’ostacolo a ogni coltura letteraria; e quanto ci resta pur di scritti italiani del Friuli di quel secolo, è di gran lunga inferiore alla messe che è dato vantare a più altre provincie dell'Italia.

I Saggi del secolo XIV, come pur quelli del XV, furon raccolti dai Libri delle spese ed entrate de’ Comuni, delle Chiese, Fraglie e Famiglie, che talfiata si tenevano nella lingua parlata, da chi ignorava il latino e l'italiano. Due brevi composizioni poetiche, d’argomento amoroso, sono i soli frutti letterarj che ci fu dato ritrovare di quell'età. É probabile, che i fatali avvenimenti, onde era impedito lo sviluppo intellettuale del Friuli, contribuissero a disperdere quanto la Musa popolare pure andava dettando.

Il secolo XVI segna un vero risveglio nella nostra regione, specialmente in ordine agli studj classici; e le nostre biblioteche son piene di opere latine di quel tempo, stampate e manoscritte, cosi in verso come in prosa. Solo dopo la metà di quel secolo, cominciarono i Friulani a maneggiar bene la lingua italiana, prendendo a modello quanto di più elegante e corretto la stampa offriva alla portata di tutti. I viaggi resi più agevoli, e il moltiplicarsi delle scuole, contribuirono potentemente alla diffusione di quella coltura, alla quale il Friuli si era andato preparando dopo il 1420, che è l'anno della sua annessione alla Repubblica di Venezia. Per quest’annessione, la [p. 186 modifica]provincia nostra avea trovato pace e prosperità, ben largo compenso alla perdita della sua autonomia, poichè, durante il fiacco governo de’ Patriarchi di Aquileja, desolata da perpetue lotte intestine, ess’era sempre rimasta molto addietro nelle lettere, nelle scienze e nelle arti.

Nel Cinquecento, illustrato fra noi dagli Amaltei, dal Luisini e dal Valvasone, coltissimi scrittori di prose e rime italiane, troviamo eziandio i primi prodotti letterarj in lingua friulana, dettati da uomini di qualche ingegno, quali il Morlupino, il Sini, il Biancone ed altri. Non sono che pochi frammenti, la maggior parte poetici, ma tutti preziosi per la storia della lingua. Il Liruti, lo storico della letteratura friulana, che ricorda così gran numero di scritture patrie, sdegnò di registrare le vernacole, quasi vergognandosi dell’abito incolto del parlare nativo. Erano i tempi della più assoluta ammirazione per le lingue classiche, e possiamo facilmente scusarlo di questa noncuranza.

La vena dello scriver friulano scorre più abondante nel secolo XVII. Alla copia s’unisce lo spirito, che però spesso degenera in scurrilità; e la lingua si fa più ripulita, più elegante e più dolce, ma però meno caratteristica ed originale che non nei tempi anteriori. La fantasia è fresca, lo stile facile ed il gusto più corretto che non nelle ampollose poesie italiane de’ contemporanei.

Anche qui la messe più ricca è di versi; l’amore è il tema favorito; ma un amore ben più sensuale che non platonico. Le burle facete, le avventure oscene, le satire, s’alternano colle poesie sacre o di occasione; e, pur troppo, ben rare volte la Musa vernacola s’innalza a celebrare nobili gesta o la dolce tranquillità della vita dei campi.

I migliori poeti friulani del Seicento sono Eusebio Stella di Spilimbergo e il conte Ermes di Colloredo, questi vantato sopra gli altri, anche perchè la stampa ne divulgò le briose composizioni per ogni parte della provincia. Appartengono ancora a questo secolo le Rime di Paolo Fistulario e de’ suoi allegri compagni, oltre quelle di molt’altri anonimi, che se non brillano sempre per la novità de’ concetti, ci debbono pure esser cari perchè hanno mantenuto ben vivo il culto operoso della patria favella.

Nel secolo XVIII decadiamo. Abondano le Poesie Morali ma se il buon costume ci ha guadagnato, la lingua ha perduto all’incontro molta parte della sua freschezza, e spesso diresti che si scriva traducendo dall’italiano, così nel verso come nella prosa. Si distinguono tuttavolta: Gabriele Paciani di Cividale e il Busizio di Gorizia, au[p. 187 modifica]tore del travestimento furlano dell'Eneide; e anche son notevoli alcune Canzoni villereccie.

Recheremo pochi Saggi di questo periodo di decadenza, e baderemo a sceglier bene. Era poi serbato a Pietro Zorutti, nostro contemporaneo, di dare al verso friulano una venustà e uno splendore, che non s'eran mai prima raggiunti, e che difficilmente potranno più essere uguagliati.

Nei Testi, che qui sono offerti, è sempre conservata l'ortografia originale, salvo quel che s’aggiunge nell’interpunzione e negli accenti. S’è pur data o tentata la spiegazione di alcune voci non più in uso e non registrate nel Vocabolario Friulano dell’ab. J. Pirona (Venezia, 1871). E i Testi sono inediti, pochissimi eccettuati, che però furon corretti sugli originali.

Udine, novembre 1876.