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«Alle tre, non reggendo più a quell’immobilità angosciosa, uscii, traversai la galleria senza nemmanco pensare che mi si potrebbe riconoscere, andai in duomo, m’inginocchiai dietro il coro, ed in quella penombra solenne, piansi amaramente.

«Per la prima volta pensai a lungo senza raccapriccio alla morte. Quel primo novissimo di cui non è dato dubitare, mi pareva in quel momento la cosa più desiderabile che rimanesse per me in questo mondo. La mia agitazione era così grande, che nulla dovea sedurmi più di quella tranquillità assoluta e secura. Pensavo che i morti dovevano gustare una pace deliziosa adagiati nelle loro casse, dove non vi sono fidanzati da ingannare, nè amanti da attendere, nè alberghi per ospitare un errore. [p. 133 modifica]

«Avrei voluto partir subito; correre a Torino. Ma avevo scritto che giungerei sabato colla contralto. Che cosa penserebbero il babbo e Gualfardo a vedermi arrivare il giovedì, e sola? Eppure, in tanta noia ed in tanto cruccio, non andavo a cercar consiglio dalla contralto. L’idea di vederla trattar leggermente quell’agonia della mia coscienza mi faceva male. Comprendevo omai tutta la gravità del mio passo, e qualunque fosse il giudizio indulgente di lei, sentivo che non potrebbe modificare il mio. Nell’uscire scontrai un prete nella navata; e desiderai d’esser quel prete. Poi vidi un vecchio cieco che vendeva amuleti e coroncine; e desiderai d’esser quel cieco. E pensavo. Ecco due uomini che non hanno amori, e non sentono rimorsi, e sono felici. In quello stato d’animo non credevo ad altre passioni nè ad altri errori, nè ad altre miserie.

«Nel traversare la Piazza del Duomo per tornare a casa mi trovai in faccia a Giorgio.

«Se fossi stata più devota l’avrei creduta una grazia concessa dal cielo alla mia preghiera. Egli non riderebbe de’ miei rimorsi, de’ miei dolori. Era un’anima nobile, un amico.

«Gli strinsi la mano con effusione, e come cosa convenuta, egli venne con me; era contento di rivedermi, ed io ero felice d’averlo trovato. Gli dissi tutto, tutto il peso che avevo sul cuore. Ed egli [p. 134 modifica]mi narrò come mi avesse amata. Ed io pure gli narrai come allora l’avevo compreso. E fin che rimase nel mio cuore una piega da svolgere non cessai dalle confidenze.

«Mi disse che gli facevo male a parlare del mio amore per Max. Ma io avevo bisogno di parlarne; avevo bisogno di accusarmi.

«Giorgio era uomo di spirito. Checchè avesse nel cuore, non fece la menoma scena di gelosia. Parlò di Max come ne parlava sempre, con entusiasmo, colla più calda amicizia. Dissipò tutti i miei terrori.

«— Max non amava un’altra. Non vedeva più Vittoria. E non penserebbe mai a disprezzarmi per essermi trattenuta a Milano per lui. Max non era nè severo, nè formalista; guardava ai fatti, e nessuno conosceva meglio di lui, che io era un’onesta giovane. La sua mamma era in campagna sul lago di Como; egli c’era forse andato a passare una giornata, e per questo non aveva ricevuto il mio biglietto, e non era venuto.»

«Tutto codesto mi disse colla sua bella voce un po’ commossa, ed io ne ebbi profondo conforto.

«Si trattenne a lungo. Passò tutta la sera con me. Si parlava sempre del passato. E v’erano momenti in cui la sua bella voce mesta mi commoveva. Ed allora riprendevo a parlare di Max, ed esageravo il mio amore per lui con espressioni da romanzo. Ero [p. 135 modifica]così indisposta contro di me, mi giudicavo così severamente, che quell’emozione involontaria alla voce di Giorgio mi sembrava una colpa. E sentivo orrore di me. Impaurita de’ miei sentimenti, li prendevo tutti in mala parte. Se un accattone m’avesse commossa domandandomi un soldo, mi sarei accusata d’amare quell’accattone. Se un poeta ignoto m’avesse commossa colle sue rime, o un maestro colle sue melodie, mi sarei accusata d’amare quel poeta e quel maestro.

«Però m’accusavo a torto. Ora, ripensando a tutto quel passato, se v’ha cosa in cui possa riposare la mente senza scontento di me, se v’ha memoria di cui possa gloriarmi, è quella della sera passata con Giorgio, della sua lealtà, del suo nobile contegno, della sua vera amicizia.