Tay-See/L'inseguimento
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L'INSEGUIMENTO
Nel momento che i due amanti abbandonavano il villaggio, l'uragano, già da tre giorni segnalato, cominciava brontolare.
Tutti sanno che gli uragani del Tonchino e della Cocincina si sono fatti una triste celebrità per la loro terribile violenza, celebrità, si può dire, mondiale.
Non iscoppiano che di rado, a un'intervallo di parecchi anni, quattro o cinque per lo meno e qualche volta anche dopo nove, ma quando scoppiano, case, villaggi interi, campi coltivati e foreste, tutto viene abbattuto dalle loro possenti ali, e bastano le dieci o dodici ore che durano, una metà infuriando dal nord al sud e l'altra metà dal sud al nord, per cambiare letteralmente la faccia alla terra da essi percossa.
La notte era diventata d'un subito oscurissima, tanto da non vedere a dieci passi lontano e l'aria erasi fatta pesante, soffocante.
Dalle nere nubi accavallate e turbinanti nella profondità del cielo, cominciarono scendere impetuosissimi buffi di vento saltando ora dal nord al sud e viceversa, incontrandosi con tremendi urli, e sperdendosi per le foreste gementi, a curvarne furiosamente le più alte cime degli alberi, a torcere e svellere le gigantesche foglie dei banani e degli arecche che venivano portate via a gran altezza, a smuovere i grandi calambuc e i torreggianti tek, e a rimescolar e atterrare le grandi piantagioni di bambù.
Dopo quei soffi improvvisi, che si avrebbero detti prove dei venti per agguerrirsi e prepararsi a una terribile pugna, succedeva un istante di calma, una calma opprimente, simile all'agonia della natura morente, indi tornavano gli urli a farsi udire nell'aria, e d'un tratto tutte le foreste si agitavano con lugubri gemiti, durante i quali urlavano le fiere spaventate nella jungla, e fuggivano ratti come frecce i cervi e i rinoceronti.
Il cavallo, a tutti quei fragori che raddoppiavano man mano d'intensità, tendeva e rizzava gli orecchi, sbuffava, s'impennava e mandava nitriti soffocati precipitando la corsa, quasi volesse gareggiare col vento e giungere a un ricovero, prima che la tempesta scoppiasse in tutta la sua terribile maestà.
Josè non lo frenava, e lo lasciava attraversare le gementi e oscurissime foreste, abbandonandosi alla sua sagacia, per non inciampar nelle fosse del sentiero, ed evitar i tronchi d'albero.
Ritto fieramente in sella, coll'occhio acceso, il volto al vento, lo spagnolo aspirava avidamente la soffocante aria, satura di elettricità, tutto fuoco, tutto febbre, stringendo teneramente al petto la bella Tay-See che piegavasi a poco a poco fra le sue braccia, come fiore che appassisce, come fiore dal cui gambo reciso sfugge la vita.
— Tay-See! Tay-See! — esclamò egli appassionatamente sollevando fino alle sue ardenti labbra la gelida e nivea fronte della giovanetta. — Guardami in volto, Rosa del Dong-Giang!
La giovanetta riaprì gli occhi socchiusi e sorrise malinconicamente, stringendo le braccia attorno al collo di lui con slancio infuocato.
— Josè, quanto ti amo, mio buon Josè!
Lo spagnolo la strinse al petto e le sue avide labbra si confusero in un ardente bacio con quelle di lei.
— Ruggi, ruggi, tempesta, che io ti vo' sfidare. Senti, mia bella Rosa del Dong-Giang, io ti porterò meco a Saigon, lontana dai tuoi, per quanto urli il vento e fischi e tuoni la folgore, fuori dalle vendette del maledetto Tay-Shung, tanto lontana che non arrivi la punta della sua catana. Sarò tuo in vita in morte, sarò tuo schiavo, la tua guardia e tu sarai il mio dio. Perché tremi, mia bella Rosa del Dong-Giang? Buddha stesso colle sue folgori, e il maledetto Tay-Shung, non saprebbero arrestarmi!
— Josè, non bestemmiare — mormorò la giovanetta con voce tremante. — Potrebbe capitarci la sventura.
— La sventura non potrebbe arrivare fino a noi. Buddha e il mio Dio sarebbero ingiusti.
D'un tratto Tay-See tremò sì forte e si strinse sì vivamente al petto dell'amante, che questi la guardò spaventato allungando una mano al calcio delle pistole sospese all'arcione.
— Tay-See!... Mia bella Tay-See! — interrogò egli.
— Ah! Josè... — balbettò la giovanetta con profondo terrore.
— Che vuoi anima divina? Chi minaccia la Rosa del Dong-Giang?
— Guarda laggiù, vedo dei fuochi vagolar sotto le foreste.
Josè si volse come se avesse veduto dietro a sé la scintillante catana di Tay-Shung, e sotto gli alberi, nel più fitto della foresta e dove era maggior l'oscurità, vide vagolar e sbizzarrirsi, al di sopra di tumuli quadrangolari di terra e di piccole piramidi di pietra, una quarantina di fuochi fatui, alcuni dei quali, attratti dalla corrente d'aria smossa dal veloce corsiero, vennero a danzar fino all'orlo del bosco.
Tay-See alla vista di quei misteriosi fuochi gettò un grido d'orrore.
— Le anime dei morti vengono a maledirci. Ah! Josè, sventura, sventura!
Lo spagnolo non era superstizioso, pure sentì un freddo sudore bagnarli la fronte.
— Non sono che fuochi fatui, Rosa del Dong-Giang — diss'egli serrandosela con maggior forza al petto quasi avesse paura che gliela rapissero. — Passiamo vicini a un cimitero.
— È l'anima di mio padre, Josè. Fu tumulato in questo cimitero.
— Tay-See!... Tay-See!... — esclamò lo spagnolo tendendo il pugno chiuso verso quei fuochi che facevano capolino fra i cespugli del sentiero. — Anche l'anima di tuo padre, in questa notte, sarei capace di rincacciarla nella tomba da dov'è uscita. Se vi ha incanto, lo romperò.
La giovanetta emise un gemito al quale rispose il primo colpo di tuono che annunciava lo scatenarsi della procella.
— Non aver paura Tay-See — disse lo spagnolo rizzandosi fieramente in sella. — Io sono teco!
— Non avrò paura, Josè, al tuo fianco.
Il canto del gallo selvatico risuonò sotto le oscure vòlte della foresta.
— Tutto è contro di noi, Josè. Anche il gallo predice la sventura.
— Satana, Dio, Buddha, venite qua a strapparmela di mano la Rosa del Dong-Giang! — disse lo spagnolo gettando uno sguardo irato sulle tempestose nubi. — Io vo' sfidarvi tutti e tre!...
Un lampo rischiarò la terra fino agli estremi limiti dell'orizzonte, acciecante, abbagliante, seguito da un gran tuono che dovette essere stato udito fino a Saigon. Lo spagnolo si terse la fronte madida di sudore e spronò risolutamente il cavallo, che spaventato dall'avvicinarsi della procella si slanciò sul sentiero divorando la via.
Quel primo lampo e quel primo tuono parvero i segnali.
Cominciarono i baleni a succedersi con fantastica rapidità, illuminando la tempestosa notte di una luce tremula azzurognola, cadaverica, spandendosi sotto le vergini foreste, segnando la via al cavallo, che portava l'amorosa coppia dei fuggiaschi fra gli scatenati elementi.
Tuonava orrendamente su tutti i toni con iscoppi secchi, violenti, assordanti che facevano impennar l'ardente corsiero, o con iscoppi alti, prolungati, che correndo fra le vorticose masse vaporose, si perdevano lontani, lontani fino ai boschi dei monti a morir come in un rullo di tamburo. Poco dopo, folgori guizzanti, spaventevoli, solcavano l'aria e piombavano sui più alti e vecchi campioni delle foreste che minavano scrosciando mentre il vento, non più frenato, ruggiva con terribile fracasso dietro i fulmini transitanti, ad accrescere l'orrore di quella notte, seco travolgendo le acque che precipitavano a torrenti dal cielo.
— Josè! Josè! — esclamò la giovanetta che udiva i venti ruggire attorno a sé.
— Coraggio, mia adorata Tay-See — disse lo spagnolo sostenendola dolcemente. — L'uragano sarà terribile, ma forse sarà meglio!... Non tremare, non aver paura fanciulla diletta che io vo' sfidare la stessa ira del tuo Buddha e quella del mio Dio!...
Il cielo era in fiamme e alla notte oscura era successa una notte di fuoco fra mille fragori della tempesta, ma non si arrestò.
Il cavallo coll'occhio scintillante, le nari fumanti, li trasportava in una corsa fantastica che si avrebbe detta una corsa infernale, fendendo lo spazio pari a una freccia, dirigendosi al sud, eccitato dallo sprone che gli straziava i fianchi facendone spicciar vivo sangue e sempre più spaventato dall'imperversar del vento, della pioggia che lo sferzava, e delle folgori scroscianti.
Varcava, come avesse le ali, fossati, cespugli, tronchi d'albero, gettando nitriti soffocati, con crescente velocità, ora cacciandosi fra i boschi dove ruggiva o urlava il vento scatenato del nord che s'incontrava con quello non meno impetuoso del sud, ora tuffandosi negli stagni o nei torrenti che andavano formandosi, e ora apparendo all'aperto nelle acquitrinose pianure fra i lampi che illuminavano la faccia animata dello spagnolo o l'atterrita della bella Tay-See.
Pareva che fosse la fine del mondo.
Josè, ritto fieramente in sella, soffocato dalla rapidità spaventevole della corsa, le ginocchia strette ai fianchi dell'ardente corsiero, le braccia attorno al corpo dell'amata fanciulla, vedeva gli alberi percossi dalla folgore celeste o sradicati dagl'impetuosi soffi del vento, minare ai suoi fianchi con orribili schianti, trascinando seco veri lembi di foresta che coprivano il sentiero, e sopra i quali slanciavasi impavido.
Vedeva volteggiar fra quei baleni, ognor più vividi, le canne dei bambù e i gambi del Jua-Wiong-diéu1 strappati dalle risaie, e piovere e rimbalzar e spaccarsi le trai-chuoi,2 i thai-cam,3 le thrai-man-e-t,4 e tutte le cento altre frutta delle boscaglie. E sotto i cespugli udiva urlar le belve e nell'aria schiamazzar gli uccelli, che in balia della tempesta venivano travolti fra i potenti soffi.
— Ruggi, ruggi! — ripeteva egli spronando sempre. — Non aver paura, Tay-See, io son teco!
Era superbo, sublime, vedere quella coppia amorosa trasportata fra gli scatenati elementi sul veloce destriero, mentre tutto all'intorno minava, piegavasi, spezzavasi.
Josè, rapito, abbagliato, si sentiva sollevare e si sentiva felice, orgoglioso, fiero, come era felice e abbagliata la bella e delicata Tay-See. A ogni tuonar, a ogni scrosciar di folgore, a ogni balenar più vivido di lampo, egli curvava la testa verso la giovinetta smarrita e sorrideva di felicità e sentiva il sangue accendersi di bramosia nelle vene.
Oh! Quella era la vita! Quella era la vera felicità, sentire il vento urlar non so quali accenti agli orecchi, e divorare lo spazio colla donna amata, così, fra la tempesta.
Sentiva i capelli profumati e neri della bella Tay-See sferzargli il volto, sentiva l'ardente alito di lei bruciargli le labbra, il cuoricino di lei battere contro il suo e confonderne reciprocamente i battiti e le carni fremere e guizzare sotto le avide dita... Era tanto bella allora così, la fuga, che avrebbe voluto che fosse durata in eterno!
— Oh! Quanto ti amo, Tay-See! — esclamava egli agli orecchi dell'amata fanciulla abbandonata fra le sue braccia. — Quanto sei bella, quanto sei sublime, divina, fra quest'uragano!
E la fanciulla sorrideva malinconicamente alle appassionate parole dello spagnolo, e si attaccava più teneramente al collo di lui, fino a che le labbra s'incontrarono, e il vento portava seco un bacio...
Volarono così per un'ora l'un stretto all'altro, continuando a divorare lo spazio sotto quei torrenti di tiepida pioggia che gli inondava, quando d'improvviso, mentre attraversavano una radura cinta di foreste che si piegavano crepitando con mille urli, una spaventevole bestemmia giunse ai loro orecchi.
Tay-See guizzò fra le braccia dello spagnolo coprendosi di un mortal pallore.
Volle aggrapparsi al collo di lui ma le forze le vennero meno.
— Josè! Josè!... — esclamò con accento spaventato. — È lui!...
Lo spagnolo sentì rizzarsi i capelli sulla fronte; strinse disperatamente la fanciulla contro il petto e spronando furiosamente l'ansante corsiero, pallido e acciecato d'ira, si volse indietro.
— Tay-Shung!... — ruggì egli con indefinibile accento d'odio. — Non aver paura Tay-See. Sono qua io!...
Infatti, sotto un boschetto di banani che li riparava colle sue gigantesche foglie, illuminato dalla tinta cadaverica dei lampi, era apparsa la terribile figura di Tay-Shung circondata dai suoi cavalieri.
Una tremenda maledizione risuonò nel boschetto.
— Vola! Vola! — urlò lo spagnolo straziando i fianchi del cavallo.
Una scarica scoppiò sotto i banani.
Lo spagnolo udì le palle fischiargli d'intorno ma non si arrestò, e sollevando la povera Tay-See e serrandosela appassionatamente contro il petto, continuò la fantastica corsa gettandosi in mezzo le foreste.
— Fermati sciagurato! Fermati maledetto! — gli urlava dietro Tay-Shung che fuori di sé per la disperazione si era dato a inseguirlo con tutti i suoi guerrieri.
— Morte di Buddha... ti faccio scorticar vivo!
— Non l'avrai! — gridava Josè. — Vola! Vola!
E continuava a straziar i fianchi del nobile animale che s'impennava con balzi formidabili coprendosi il petto di spuma sanguigna.
Una terribile gara s'impegnò fra i fuggiaschi e gl'inseguitori, mentre la burrasca si scatenava con massimo furore. Lo spagnolo, colle ginocchia strette ai fianchi dello sbuffante animale, lo sguardo in fiamme, fremente d'ira e d'ansietà, stringeva la povera Tay-See, e colla faccia quasi tuffata nei lunghi e neri capelli di lei, s'involava e dietro a lui il terribile e disperato Tay-Shung, curvo sul collo del suo cavallo, che colla catana alzata, cercava guadagnar via, confondendo le sue bestemmie, le sue chiamate, le sue minacce al fragor dei tuoni e agli urli del vento.
— Tay-See! Mia amata Tay-See! — ripeteva quest'ultimo con voce straziante.
Josè, sordo a tutte quelle chiamate, fuggiva sempre, cacciandosi sotto i boschi, attraversando ruscelli, entrando nelle paludi, sempre sostenendo con ambe le braccia la povera fanciulla che non dava quasi più segno di vita. Infuriava doppiamente di mano in mano che si lasciava sempre più addietro i nemici peggio montati, e bestemmiando Dio e la fatalità, digrignava furiosamente i denti, e con maggior forza serravasi all'anelante petto il prezioso fardello.
Un freddo sudore gli scorreva per la fronte assieme alla pioggia, sinistre inquietudini lo assalivano, il cuore gli saltellava in petto, poi ondate di sangue li montavano alla testa, il delirio lo prendeva assieme a scoppi d'ira e si sentiva preso da una pazza voglia di commettere un assassinio.
La terribile voce di Tay-Shung, che si precipitava dietro le sue tracce aprendo i fianchi al cavallo, lo acciecava, lo smarriva, e dieci volte nella fantastica corsa si volse indietro, e dieci volte le rattrappite mani, abbandonando il corpo della giovinetta sulla sella, si allungarono verso l'archibugio sospeso all'arcione, deciso a sbarrare il passo all'inseguitore.
A poco a poco però le urla di coloro che lo inseguivano si fecero più fioche, cessò il galoppar dei cavalli, e infine si spensero del tutto, soffocate dalla possente voce della tempesta, ma non per questo arrestossi. Continuò la rapida fuga varcando i mille ostacoli del terreno, gettandosi nei cento affluenti che si scaricavano nel Dong-Giang benché fossero enormemente ingrossati dalle piogge, attraversando le acquitrinose riong trop, che il fiume forma sulle sue rive, slanciandosi fra le piantagioni di luo-khong-dièu5 devastate dalla burrasca, sostenendo a furia di strappate e di sproni il cavallo che si sentiva agli estremi.
Dove corresse, egli l'ignorava, né si curava di saperlo, poco importando che si avvicinasse alla frontiera che sapeva deserta d'accampamenti francesi o che si internasse nel paese.
Tutte le sue facoltà erano concentrate nei fuggire, nel cercar di mettere maggior distanza possibile fra sé e gli inseguitori, nel far perdere le sue tracce in modo che non potessero inseguirlo e rapirgli la bella Tay-See. Vedeva dello spazio dinanzi e vi si lanciava ciecamente.
Galoppò in tal guisa diverso tempo andando rapido come il vento, sempre sostenendo la giovanetta che pareva moribonda, struggendosi di dolore e di spavento fino a che il cavallo, spossato dalla lunga corsa, arrestossi bruscamente chinando la testa. Egli dilaniò furiosamente i fianchi del povero animale, che fatti cinquanta passi, finì col rotolare in mezzo alle macchie del bosco gettando un rauco nitrito.
Ebbe appena il tempo di liberarsi dalle staffe, ma l'urto li fe' perdere l'equilibrio e seguì l'animale nella caduta seco trascinando Tay-See, che battendo il capo fra i rami rinvenne.
— Tay-See! Tay-See! — gridò egli con un singulto coprendo di baci il pallido volto della ragazza. — Oh mia Tay-See! Non voglio che tu muoia!
— Josè!... — mormorò la giovanetta con un filo di voce passando le braccia attorno al collo di lui e sorridendo melanconicamente. — Dove sono io? Che succede?... Perché questo cavallo morto... Josè!... Josè!... Ho paura!...
Lo spagnolo la stringeva delirante al petto piangendo.
— Oh! Non aver paura, mia buona Tay-See! — esclamò egli. — Non aver paura, sono qua io, il tuo Josè, il tuo amato bianco. Oh! Non ti strapperà no, per mille fulmini! No, non ti strapperà dalle mie braccia, il maledetto Tay-Shung!
La giovanetta piegò il volto sulla spalla di lui.
— Vieni, Tay-See! — disse d'un tratto lo spagnolo sollevandola fra le braccia. — Io sono forte, io ti porterò, marceremo alla frontiera, là troverò i miei camerati, là vi ha la salvezza. Tay-Shung c'insegue, bisogna che non ci trovi, bisogna fuggire, bisogna che ti salvi a ogni costo. Perduta te, sono perduto pur io.
Vieni mia adorata Tay-See, vieni mia Rosa del Dong-Giang, che io ti difenderò, che io ti porterò, dovessi passare sopra il corpo del maledetto da Dio e di tutti i suoi guerrieri!...
— Sì, mio buon Josè — rispose la giovanetta. — Verrò dove tu vorrai, ti seguirò là a Saigon, là, dove esiste la libertà di amare anche un bianco. Oh! Se tu sapessi, mio valoroso compagno, quanto t'ama la Rosa del Dong-Giang e quanto odia il terribile Tay-Shung!... Mi rammento di quel dì che mi strappò dalle tue città per sacrificarmi a Bien-hoa... non parliamo, non parliamone più mai di lui... infine egli fu mio, ed egli mi amava!...
Una lagrima sgorgò dai neri occhi della giovanetta. Lo spagnolo la succiò, la consumò in un ardente bacio, poi dominando la passione che li metteva attorno la febbre:
— Vieni Tay-See! — diss'egli.
Si gettò ad armacollo l'archibugio e le pistole cacciò nella cintola, poi sollevando la giovanetta fra le robuste braccia, si mise a correre come che non sentisse il peso del caro fardello.
Gli era parso aver udito in lontananza le disperate chiamate di Tay-Shung e il galoppar dei cavalli. Il delirio lo prese, e si mise pur egli a divorar la via, come avesse le ali ai piedi, malgrado la tempesta che continuava con crescente furia girando dal sud al nord.
Correva come un cervo inseguito dai cani, tuffandosi nei turbinosi ruscelli e negli stagni, scalando i giganteschi tronchi degli alberi atterrati, percosso dagli impetuosi soffi del vento, acciecato dai lampi, assordato dai tuoni, evitando le cadute delle piante che scrosciavano dinanzi e di dietro a lui.
Aveva la febbre nel sangue: a ogni tuono credeva sempre udire la detonazione del moschetto di Tay-Shung, a ogni scroscio la sua terribile voce che l'intimava di arrestarsi, e benché sentisse la stanchezza opprimerlo, raddoppiava di celerità. Aveva la spuma alle labbra, cacciava rauchi sospiri, traballava, cadeva, ma si risollevava e ripigliava la via sotto le foreste o fra le risaie.
Invano Tay-See lo pregava di fermarsi, lo chiamava coi più dolci nomi, li diceva che ormai Tay-Shung gli aveva smarriti; non udiva più nulla e andava solo ripetendo fra un salto e l'altro con voce rotta:
— Più avanti!... Più avanti!...
Corse così per mezz'ora, fino a che, al balenar di un lampo, scoprì un fabbricato cosparso di rottami e dalle muraglie diroccate.
Si arrestò, indeciso, ansante, sospettoso.
— Josè! — esclamò la giovanetta. — Arrestati!
— Sì, Tay-See. Vedo un dinh di Buddha — e si mise a correre verso il tempio inerpicandosi sui rottami.
Note