Storia di Reggio di Calabria (Spanò Bolani)/Annotazioni/Libro settimo

Annotazioni - Libro settimo

../Libro sesto ../Libro ottavo IncludiIntestazione 13 settembre 2024 75% Da definire

Annotazioni - Libro sesto Annotazioni - Libro ottavo
[p. 129 modifica]

LIBRO SETTIMO


CAPO PRIMO. §. II. Confraternita di San Domenico. — Questa Confraternita fu fondata nel 1661 da quattordici nobili: Domenico Del Giudice; Domenico Spanò di Raffaele; Francesco Musitano di Antonino; Gaetano Sarlo di Marcantonio; Agostino Plutino; Diego Genoese di Domenico; Antonino Sacco di Fabrizio; Paolo Musitano di Francesco; Carlo Vitale di Giuseppe; Giuseppe Ferrante di Antonio; Domenico Capua di Girolamo; Saverio Laboccetta di Paolo; Francesco Foti barone dell’Arridi; Domenico Pagano. Poi nel 1766 si aggregarono altre famiglie, e furono Filocamo, Sirti, Mendozza, Parisio, Manti, altro ramo di Ferrante (Paolo) altro ramo di Genoese (Antonio Maria), Griso, Suppa, Bosurgi, Daynotto, Logoteta, Melissari, altro ramo di Spanò, altro ramo di Laboccetta. Il Suppa assicura che prima de’ Regolamenti del 1764 approvati dal Re, bastavano cento anni di nobiltà sindacaria perchè una famiglia potesse essere ammessa a tal Confraternita. Ma i Regolamenti del 1764 richiedono per l’ammissione di nuove famiglie, che dovesse provarsi una nobiltà antica e generosa; che quelle passate a Malta non avessero bisogno di altra prova; che le famiglie forestiere dovessero essere di città regia; e che l’aggregazione dovesse sempre farsi dalla comunanza de’ fratelli a maggiorità di voti.

In questo luogo è degna di ricordanza la convenzione sinallagmatica che al 25 ottobre del 1749, (cioè dopo le strepitose vicende del sindacato come raccontiamo nell’ottavo libro) fu fatta da’ fratelli delle due nobili Confraternite di S. Domenico, e dell’Annunziata o degli Ottimati con uno scopo lodevolissimo ed assai filantropico. Tale convenzione fu poi depositata al cav. Felice Laboccetta presso il notajo Antonino Marra di Sambatello, e si compone di 22 articoli, de’ quali mi piace accennare i più notevoli, affinchè gli odierni fratelli dell’una e dell’altra veggano se fosse convenevol cosa rimettere in pieno vigore una convenzione che servirebbe ad avvicinare e quasi fondere le due Confraternite, e riuscirebbe ad entrambe onorevole.

Art. 1.° Che ognuno de’ contraenti dovesse pagare annui ducati quattro in tre rate.

2.° Che questo denaro sia depositato in una cassa con sette chiavi di differente serratura da tenersi da un primo Deputato, e da altri sei Deputati di differenti famiglie. [p. 130 modifica]

3.° Che tali Deputati dovessero rinnovarsi ogni anno per ordine di alfabeto, secondo le iniziali de’ cognomi.

4.° Che con tal denaro si difendessero le liti che contro il ceto de’ Nobili si movessero da qualunque persona; la qual difesa resterà a carico dei detti Deputati.

5.° Che in ogni decennio dovranno i Deputati dare ducati venti per ognuno a due zitelle nubili delle più povere del ceto l’una de’ maestri, l’altra de’ rustici; e la povertà di costoro dovrà constare coll’ attestato giurato del proprio Parroco; e se saranno molte, allora saranno tratte a sorte, una da’ maestri, l’altra da’ rustici...

8.° Che la prima raccolta del danaro sino alla somma di ducati 500 (dopo finite le liti contro il ceto) resti per fondo di cassa a far fronte alle spese e bisogni straordinarii.

10.° Che dopo tal somma che resterà intatta, tutto quell’altro danaro che si anderà raccogliendo sia destinato a compera di beni stabili nel territorio di Reggio, a comune benefizio.

12.° Che quando le rendite annuali dell’opera presente ad una conveniente annua somma arriveranno, si dovesse dal primo Deputato e suoi colleghi Deputati somministrare un competente soccorso a’ giovani discendenti da noi sottoscritti, pel caso che detti giovani pigliassero l’abito di Cavalieri della Religione Gerosolimitana, o di qualunque altra, o si volessero impiegare da uffiziali di onore nelle Reali truppe; come pure a quei giovani, i quali anderanno a studiare in Napoli, o in altre parti d’Italia; ed anche a que’ giovani, i quali si metteranno in prelatura.

17.° Chi di noi, o de’ nostri discendenti pagherà in una sola volta ducati cento, non sarà più tenuto in futurum di pagare gli annui ducati quattro.

Primo Deputato del primo anno fu il cav. Felice Laboccetta, il quale era stato il principal promotore di questa nobilissima determinazione. Ma poi per le vicende de’ tempi tutto venne meno, la convenzione rimase senza effetto, e totalmente dimenticata.

Statua dell’Angelo. — La vera causa, per cui questa statua marmorea fu eretta sulla piazza del Carmine nel 1636, è tuttavia dubbiosa ed oscura. Il Canonico Calarco crede che vi fu alzata in quel luogo per cancellare la trista ricordanza che vi rimaneva della esecuzione capitale sofferta dagli uccisori del cav. Monsolino su quella piazza della Chiesa dei Padri Carmelitani, per ordine del consigliere Ferrante Barbuto, il quale a dispetto della scomunica dell’Arcivescovo li avesse fatti trarre a viva forza da quella Chiesa, ove avevano cercato asilo. Ed a disperdere quella memoria di dissidii cittadini, abbiano pensato i sindaci Giacomo Laboccetta, Francesco Spanò, ed Angelo Schimizzi di ergere quella statua all’Angelo Tutelare della città.

Altre tradizioni verbali, tramandateci da’ nostri avi, ci affermano, che quel monumento (tuttavia esistente sulla Piazza oggi de’ Forni) sia allusivo ad uno stupro commesso sacrilegamente sulla porta di essa Chiesa dal nobile Ascanio Barone; il quale per questo orribile misfatto sia stato condannato a perder la testa su quella stessa piazza, che restò macchiata di tale infamia. Quindi a cancellar la memoria del fatto dicesi che la città abbia pensato di alzar la statua dell’Angelo nell’anno 1636. Io lascio per [p. 131 modifica]suadenti più dall’opinione del Calarco, che da queste tradizioni non aventi alcun appoggio di testimonianza scritta ed autentica.

Scuola d’Artiglieria. — Di questa scuola era Maestro nel 1670 Antonino Giglio. Reggio allora era Piazza di frontiera.

Vincenzo Gotti. — Della dimora di questo Pittore in Reggio parlano l’Orlandi ed il Lanzi.


§. III. Cappelle della Cattedrale. — Nel 1595 nella nostra Cattedrale esistevano le seguenti cappelle.

1. S. Antonio di Padova; della famiglia Bosurgi.

2. SS. Crispino e Crispiniano; de’ Calzolai.

3. S. Stefano Protomartire; della famiglia Logoteta.

4. S. Maria dell’Idria.

5. Della Resurrezione; della famiglia Suppa.

6. S. Giovanni Evangelista; della famiglia Spanò.

7. S. Caterina Vergine; della famiglia Filocamo.

8. S. Nicola; della famiglia Ginneri.

9. S. Antonino; della famiglia Barletta.

10. S. Maria del Bosco; della famiglia Stragoscerio.

11. S. Maria del Popolo; eretta dal Cantore Antonio Teganio; nella quale poi si fecero sempre le cerimonie della presa di possesso de’ Sindaci e del Governatore della città, e dopo la morte del Teganio restò cappella della città.

12. S. Maria del Capitolo; della famiglia Diano.

13. S. Maria della Grazia; della famiglia Monsolino.

§. V. Il Dottor Marcello Laboccetta procuratore ed agente de la nobilissima et fidelissima città di Rheggio di Calabria ultra Provintia del Regno di Napoli, supplicando a nome d’essa espone a V. M. come in tutto il suo territorio non vi è altro exercitio se non della massarìa della seta, il quale dura solamente tre mesi in tutto l’anno, et in esso s’impiegano tutti cittadini et poveri; passato poi detto tempo la maggior parte d’essi non hanno come potersi sustentare la vita. Però si supplica la M. V. tanto per provedere alle necessità de’ predetti dandoci occasione di travagliare, come havendo anco risguardo che in essa si fa detto arbitrio di seta, che li conceda de potere tenere alcuni telara per tesserci drappi, che oltre saria con avanzo delle entrate della Regia Dohana, il lavoro et colore riusciria perfettissimo per l’abondanza et comodità dell’acqua, et risulteria in evidente subsidio di suoi poveri vassalli, et tutto reputerà a gratia ut Deus etc. — «Nos praefatae civitatis (parole di Filippo III in un Diploma dato da Napoli a 29 febbrajo 1612) Regii commodis et utilitatibus consulere ac favere volentes, prout id ejus singularis in nos fides et praeclara merita a nobis postulant, visa prius consultatone per Regiam nostram Cameram Summariae, etc... praefatis Universitati et hominibus dictae civitatis nostrae Regii licentiam, potestatem, et facultatem, ac liberam et absolutam authoritatem, nostra mera et libera voluntate durante, damus, concedimus et impartimur construendi, tenendi et exercendi textrinas seu telares pro telis sericis et aliis texendis et favendis, ita ut praedicta Universitas et homines, dicta nostra mera et libera voluntate durante, dictas textrinas seu telares sericas in eadem civitate introducere et tenere, ac exerceri facere [p. 132 modifica]possint et libere valeant. Volamus tamen et expresse jubemus, ut pro talis sericis et aliis ut supra texendis in dicta civitate Rhegii solvantar omnia jura et dirictus prout et quemadmodum solvuntur in aliis locis et partibus dicti Regni absque exemptione seu immunitate juxta formam dictae consul* tationis Regiae nostrae Camerae praedictae, etc.».


CAPO SESTO. §. I. Queste calamità vennero descritte in ottava rima da Mariano Spanò; e questo suo opuscolo fu stampato in Messina nel 1693, e vien lodato assai dal Padre Enrico Nava nella sua opera manoscritta La Vera Consolatrice degli Afflitti. Per quante ricerche abbia io fatte in Reggio ed in Messina, non mi è riuscito di poterne trovare alcuno esemplare.

Su questo stesso argomento del tremuoto del 1693 il Padre Lodovico da Oppido scrisse un’Elegia latina riferita in parte dal Padre Enrico Nava.


§. V. Per legato di Alessandro Sforza Piacentino suole il Capitolo di S. Pietro in Roma coronare ogni anno una delle Sacre Imagini di Maria Vergine, le più insigni per miracoli. Nel 1719 trovandosi in Roma Antonio Spizzicagigli Decano della nostra Cattedrale, ottenne che fosse imbussolato anche il nome della nostra Madonna della Consolazione; la quale sortì il premio. E quel Capitolo fatte lavorare due corone di oro, una per la Madre Santissima, e l’altra per il suo Divino Figliuolo, del valore di ottanta scudi (oltre la manifattura), ne commise al Decano medesimo la coronazione. Il quale ritornando in Reggio la eseguì a’ 15 settembre del 1722.

S. Lucio, Patrono di Reggio. — Nel novembre del 1680 era stata mandata in Reggio la sacra reliquia di S. Lucio dal Padre Giuseppe Foti, Gesuita di Reggio residente in Roma, al Padre Antonio Battaglia, Rettore del Collegio reggino de’ Gesuiti, perchè fosse ivi conservata. Il Foti l’aveva avuta da Mons. Ambrogio Landuccio, Vescovo Porfiriense, ossia di Caifa, il quale l’aveva estratta dal Cimitero alla Strada del Cocomero. Fu mandata in Reggio in un elegante reliquiario di legno dorato, e portata privatamente nella Cattedrale, fu da questa dopo alcuni giorni trasferita processionalmente al Collegio. I Sindaci nostri nel 1714 chiesero alla Sacra Congregazione de’ Riti che S. Lucio fosse dichiarato Patrono di Reggio. Solo però nel 1721 venne il decreto di essa Congregazione, giusta la dimanda de’ Sindaci. Il Martirio di S. Lucio vien riferito e descritto dal Baronio all’anno di Gesù Cristo 279.