Storia della colonna infame/Capitolo I

Capitolo primo

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Introduzione Capitolo II
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I.



La mattina del 21 di giugno 1630, verso le quattro e mezzo, una donnicciola chiamata Caterina Rosa, trovandosi, per disgrazia, a una finestra d’un cavalcavia che allora c’era sul principio di via della Vetra de’ Cittadini, dalla parte che mette al corso di porta Ticinese (quasi dirimpetto alle colonne di san Lorenzo), vide venire un uomo con una cappa nera, e il cappello sugli occhi, e una carta in mano, sopra la quale, dice costei nella sua deposizione, metteva su le mani, che pareua che scrivesse. Le diede nell’occhio che, entrando nella strada, si fece appresso alla muraglia delle case, che è subito dopo voltato il cantone, e che a luogo a luogo tirava con le mani dietro al muro. All’hora, soggiunge, mi viene in pensiero se a caso fosse un poco uno de quelli che, a’ giorni passati, andauano ongendo le muraglie. Presa da un tal sospetto, passò in un’altra stanza, che [p. 758 modifica]guardava lungo la strada, per tener d’occhio lo sconosciuto, che s’avanzava in quella; et viddi, dice, che teneua toccato la detta muraglia con le mani.

C’era alla finestra d’una casa della strada medesima un’altra spettatrice, chiamata Ottavia Bono; la quale, non si saprebbe dire se concepisse lo stesso pazzo sospetto alla prima e da sè, o solamente quando l’altra ebbe messo il campo a rumore. Interrogata anch’essa, depone d’averlo veduto fin dal momento ch’entrò nella strada; ma non fa menzione di muri toccati nel camminare. Viddi, dice, che si fermò qui in fine della muraglia del giardino della casa delli Crivelli.... et viddi che costui haueua una carta in mano, sopra la quale misse la mano dritta, che mi pareua che volesse scriuere; et poi viddi che, leuata la mano dalla carta, la fregò sopra la muraglia del detto giardino, doue era un poco di bianco. Fu probabilmente per pulirsi le dita macchiate d’inchiostro, giacchè pare che scrivesse davvero. Infatti, nell’esame che gli fu fatto il giorno dopo, interrogato, se l’attioni che fece quella mattina, ricercorno scrittura, risponde: signor sì. E in quanto all’andar rasente al muro, se a una cosa simile ci fosse bisogno d’un perchè, era perchè pioveva, come accennò [p. 759 modifica]quella Caterina medesima, ma per cavarne una induzione di questa sorte: è ben una gran cosa: hieri, mentre costui faceua questi atti di ongere, pioueua, et bisogna mo che hauesse pigliato quel tempo piouoso, perchè più persone potessero imbrattarsi li panni nell’andar in volta, per andar al coperto.

Dopo quella fermata, costui tornò indietro, rifece la medesima strada, arrivò alla cantonata, ed era per isparire; quando, per un’altra disgrazia, fu rintoppato da uno ch’entrava nella strada, e che lo salutò. Quella Caterina, che, per tener dietro all’untore, fin che poteva, era tornata alla finestra di prima, domandò all’altro chi fosse quello che haueua salutato. L’altro, che, come depose poi, lo conosceva di vista, e non ne sapeva il nome, disse quel che sapeva, ch’era un commissario della Sanità. Et io dissi a questo tale, segue a deporre la Caterina, è che ho visto colui a fare certi atti, che non mi piaccino niente. Subito puoi si diuulgò questo negotio, cioè fu essa, almeno principalmente, che lo divolgò, et uscirno dalle porte, et si vidde imbrattate le muraglie d’un certo ontume che pare grasso et che tira al giallo; et in particolare quelli del Tradate dissero che haueuano trouato tutto imbrattato li muri dell’andito della loro porta. L’altra donna depone il medesimo. Interrogata, se sa a che effetto questo tale fregasse di quella mano sopra il muro, risponde: dopo fu trovato onte le muraglie, particolarmente nella porta del Tradate.

E, cose che in un romanzo sarebbero tacciate d’inverisimili, ma che pur troppo l’accecamento della passione basta a spiegare, non venne in mente nè all’una nè all’altra, che, descrivendo passo per passo, specialmente la prima, il giro che questo tale aveva fatto nella strada, non avevan però potuto dire che fosse entrato in quell’andito: non parve loro una gran cosa davvero, che costui, giacchè, per fare un lavoro simile, aveva voluto aspettare che fosse levato il sole, non ci andasse almeno guardingo, non desse almeno un’occhiata alle finestre; nè che tornasse tranquillamente indietro per la medesima strada, come se fosse usanza de’ malfattori di trattenersi più del bisogno nel luogo del delitto; nè che maneggiasse impunemente una materia che doveva uccider quelli che se ne imbrattassero i panni; nè troppe altre ugualmente strane inverisimiglianze. Ma il più strano e il più atroce si è che non paressero tali neppure all’interrogante, e che non ne chiedesse spiegazione nessuna. O se ne chiese, sarebbe peggio ancora il non averne fatto menzione nel processo.

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I vicini, a cui lo spavento fece scoprire chi sa quante sudicerie che avevan probabilmente davanti agli occhi, chi sa da quanto tempo, senza badarci, si misero in fretta e in furia a abbruciacchiarle con della paglia accesa. A Giangiacomo Mora, barbiere, che stava sulla cantonata, parve, come agli altri, che fossero stati unti i muri della sua casa. E non sapeva, l’infelice, qual altro pericolo gli sovrastava, e da quel commissario medesimo, ben infelice anche lui.


Il racconto delle donne fu subito arricchito di nuove circostanze; o fors’anche quello che fecero subito ai vicini non fu in tutto uguale a quello che fecero poi al capitano di giustizia. Il figlio di quel povero Mora, essendo interrogato più tardi se sa o ha inteso dire in che modo il detto commissario ongesse le dette muraglie et case, risponde: sentei che una donna di quelle che stanno sopra il portico che traversa la detta Vedra, quale non so come habbi nome, disse che detto commissario ongeva con una penna, havendo un vasetto in mano. Potrebb’esser benissimo che quella Caterina avesse parlato d’una penna da lei vista davvero in mano dello sconosciuto; e ognuno indovina troppo facilmente qual altra cosa poté esser da lei battezzata per vasetto; ché, in una mente la qual non vedeva che unzioni, una penna doveva avere una relazione più immediata e più stretta con un vasetto, che con un calamaio. [p. 761 modifica]Ma pur troppo, in quel tumulto di chiacchiere, non andò persa una circostanza vera, che l’uomo era un commissario della Sanità; e, con quest’indizio, si trovò anche subito ch’era un Guglielmo Piazza, genero della comar Paola, la quale doveva essere una levatrice molto nota in que’ contorni. La notizia si sparse via via negli altri quartieri, e ci fu anche portata da qualcheduno che s’era abbattuto a passar di lì nel momento del sottosopra. Uno di questi discorsi fu riferito al senato, che ordinò al capitano di giustizia, d’andar subito a prendere informazioni, e di procedere secondo il caso.

È stato significato al Senato che hieri mattina furno onte con ontioni mortifere le mura et porte delle case della Vedra de’ Cittadini, disse il capitano di giustizia al notaio criminale che prese con sè in quella spedizione. E con queste parole, già piene d’una deplorabile certezza, e passate senza correzione dalla bocca del popolo in quella de’ magistrati, s’apre il processo.

Al veder questa ferma persuasione, questa pazza paura d’un attentato chimerico, non si può far a meno di non rammentarsi ciò che accadde di simile in varie parti d’Europa, pochi anni sono, nel tempo del colera. Se non che, questa volta, le persone punto punto istruite, meno qualche eccezione, non parteciparono della sciagurata credenza, anzi la più parte fecero quel che potevano per combatterla; e non si sarebbe trovato nessun tribunale che stendesse la mano sopra imputati di quella sorte, quando non fosse stato per sottrarli al furore della moltitudine. È, certo, un gran miglioramento; ma se fosse anche [p. 762 modifica]più grande, se si potesse esser certi che, in un’occasion dello stesso genere, non ci sarebbe più nessuno che sognasse attentati dello stesso genere, non si dovrebbe perciò creder cessato il pericolo d’errori somiglianti nel modo, se non nell’oggetto. Pur troppo, l’uomo può ingannarsi, e ingannarsi terribilmente, con molto minore stravaganza. Quel sospetto e quella esasperazion medesima nascono ugualmente all’occasion di mali che possono esser benissimo, e sono in effetto, qualche volta, cagionati da malizia umana; e il sospetto e l’esasperazione, quando non sian frenati dalla ragione e dalla carità, hanno la trista virtù di far prender per colpevoli degli sventurati, sui più vani indizi e sulle più avventate affermazioni. Per citarne un esempio anch’esso non lontano, anteriore di poco al colera; quando gl’incendi eran divenuti così frequenti nella Normandia, cosa ci voleva perchè un uomo ne fosse subito subito creduto autore da una moltitudine? L’essere il primo che trovavan lì, o nelle vicinanze; l’essere sconosciuto, e non dar di sè un conto soddisfacente: cosa doppiamente difficile quando chi risponde è spaventato, e furiosi quelli che interrogano; l’essere indicato da una donna che poteva essere una Caterina Rosa, da un ragazzo che, preso in sospetto esso medesimo per uno strumento della malvagità altrui, e messo alle strette di dire chi l’avesse mandato a dar fuoco, diceva un nome a caso. Felici que’ giurati davanti a cui tali imputati comparvero (chè più d’una volta la moltitudine eseguì da sè la sua propria sentenza); felici que’ giurati, se entrarono nella loro sala ben persuasi che non sapevano ancor nulla, se non rimase loro nella mente alcun rimbombo di quel rumore di fuori, se pensarono, non che essi erano il paese, come si dice spesso con un traslato di quelli che fanno perder di vista il carattere proprio e essenziale della cosa, con un traslato sinistro e crudele nei casi in cui il paese si sia già formato un giudizio senza averne i mezzi; ma ch’eran uomini esclusivamente investiti della sacra, necessaria, terribile autorità di decidere se altri uomini siano colpevoli o innocenti.

La persona ch’era stata indicata al capitano di giustizia, per averne informazioni, non poteva dir altro che d’aver visto, il giorno prima, passando per via della Vetra, abbruciacchiar le muraglie, e sentito dire ch’erano state unte quella mattina da un genero della comar Paola. Il capitano di giustizia e il notaio si portarono a quella strada; e videro infatti muri affumicati, e uno, quello del barbiere Mora, imbiancato di fresco. E anche a loro fu detto da diversi che si sono [p. 763 modifica]trovati ivi, che ciò era stato fatto per averli veduti unti; come anco dal detto Signor Capitano, et da me notaro, scrive costui, si sono visti ne’ luoghi abbrugiati alcuni segni di materia ontuosa tirante al giallo, sparsavi come con le deta. Quale riconoscimento d’un corpo di delitto!

Fu esaminata una donna di quella casa de’ Tradati, la quale disse che avevan trovati i muri dell’andito imbrattati di una certa cosa gialla, et in grande quantità. Furono esaminate le due donne, delle quali abbiam riferita la deposizione; qualche altra persona, che non aggiunse nulla, per ciò che riguardava il fatto; e, tra gli altri, l’uomo che aveva salutato il commissario. Interrogato di più, se passando lui per la Vedra de’ Cittadini, vidde le muraglie imbrattate, risponde: non li feci fantasia, perchè fin’all’hora non si era detto cosa alcuna.

Era già stato dato l’ordine d’arrestare il Piazza, e ci volle poco. Lo stesso giorno 22, referisce... fante della compagnia del Baricello di Campagna al prefato Signor Capitano, il quale ancora era in carrozza, che andaua verso casa sua, sicome passando dalla casa del Signor Senatore Monti Presidente della Sanità, ha ritrouato auanti a quella porta, il suddetto Guglielmo Commissario, et hauerlo, in esecuzione dell’ordine datogli, condotto in prigione.

[p. 764 modifica]Per ispiegare come la sicurezza dello sventurato non diminuisse punto la preoccupazione de’ giudici, non basta certo l’ignoranza de’ tempi. Avevano per un indizio di reità la fuga dell’imputato; che di lì non fossero condotti a intendere che il non fuggire, e un tal non fuggire, doveva essere indizio del contrario! Ma sarebbe ridicolo il dimostrar che uomini potevano veder cose che l’uomo non può non vedere: può bensì non volerci badare.

Fu subito visitata la casa del Piazza, frugato per tutto, in omnibus arcis, capsis, scriniis, cancellis, sublectis, per veder se c’eran vasi d’unzioni, o danari, e non si trovò nulla: nihil penitus compertum fuit. Nè anche questo non gli giovò punto, come pur troppo si vede dal primo esame che gli fu fatto, il giorno medesimo, dal capitano di giustizia, con l’assistenza d’un auditore, probabilmente quello del tribunale della Sanità.

È interrogato sulla sua professione, sulle sue operazioni abituali, sul giro che fece il giorno prima, sul vestito che aveva; finalmente gli si domanda: se sa che siano stati trouati alcuni imbrattamenti nelle muraglie delle case di questa città, particolarmente in Porta Ticinese. Risponde: mi non lo so, perchè non mi fermo niente in Porta Ticinese.

[p. 765 modifica]Gli si replica che questo non è verisimile; si vuol dimostrargli che lo doveva sapere. A quattro ripetute domande, risponde quattro volte il medesimo, in altri termini. Si passa ad altro, ma non con altro fine: chè vedrem poi per qual crudele malizia s’insistesse su questa pretesa inverisimiglianza, e s’andasse a caccia di qualche altra.

Tra i fatti della giornata antecedente, de’ quali aveva parlato il Piazza, c’era d’essersi trovato coi deputati d’una parrocchia. (Eran gentiluomini eletti in ciascheduna di queste dal tribunale della Sanità, per invigilare, girando per la città, sull’esecuzion de’ suoi ordini.) Gli fu domandato chi eran quelli con cui s’era trovato; rispose: che li conosceva solamente di vista e non di nome. E anche qui gli fu detto: non è verisimile. Terribile parola: per intender l’importanza della quale, son necessarie alcune osservazioni generali, che pur troppo non potranno esser brevissime, sulla pratica di que’ tempi, ne’ giudizi criminali.