Lo sbarco

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La Sicilia! Il proclama


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Lo sbarco.


E poco appresso il Piemonte imboccava il porto, e vi si andava a posare in mezzo come in luogo suo. Bixio, nella rapina dell’animo tempestosa, lanciò il Lombardo come un cavallo sfrenato, andasse pure a investire, a spaccarsi, magari a sommergersi, tanto meglio! così, una volta sbarcati, quelli che vi stavan su avrebbero capito che non v’era più via di ritorno. E si fermò così fuori del molo destro, a poche braccia da quella riva. Era il tocco dopo mezzodì. Nessuna poesia potrà mai dire l’anima di quella gente in quell’ora.

Ecco il momento degli uomini di mare. Benedetto Castiglia, capo della marineria da guerra sicula nel 1848; capitano Andrea Rossi da Diano Marina, capitan Giuseppe Gastaldi da Porto Maurizio, Burattini, Assi, Sgarallino, Schiaffino e tutti quelli che com’essi erano marinai, scesero a raccoglier nel porto quante barche vi si trovavano. E per amore o per forza le fecero lavorare.

Bisognava far presto a levar la gente e le poche cose da guerra e le artiglierie dai due vapori, perchè in men di due ore quelle navi che si vedevano sempre più vicine potevano giungere a tiro e fare una strage. Intorno al Lombardo e al Piemonte parve un finimondo.

Intanto Türr con Missori, Pentasuglia, Argentino, Bruzzesi, Manin, Maiocchi, discesi primi, salirono alla città, su cui cominciavano a sventolare bandiere d’altre nazioni, ma le più inglesi. E dalla città alcuni cittadini calavano al porto timidamente. Dei ragazzi li precedevano a corsa; sopraggiungevano frati bianchi, che [p. 94 modifica]davano poderose strette di mano a quegli strani forestieri sbarcati in armi e tutti vestiti alla borghese, salvo pochi in qualche divisa piemontese o in camicia rossa, forse una cinquantina. E quei frati facevano delle domande strane, da curiosi ma semplici; e udendo da uno dir che era di Venezia, da un altro di Genova, di Milano, di Roma, di Bergamo, inarcavano le ciglia, maravigliati come se l’esser essi potuti giungere nella loro Sicilia da quelle città, fosse cosa quasi fuori del naturale.

In un’ora o in un’ora e mezzo al più, tutta la spedizione fu a terra. Qualcuno si ricordò che quel giorno era venerdì, malaugurio; qualcun altro disse che era pur venerdì il giorno in cui Colombo partì da Palos, e che andassero al vento le superstizioni....! Ma a un tratto tuonò una prima cannonata. Le navi borboniche giungevano a tiro. Erano tre: due a vapore più vicine, la terza a vela tirata a rimorchio da una di esse e lasciata poi indietro per far più alla lesta. Ma anche quella si avvicinava. E avrebbe potuto tirar qualche poco prima, ma avevano indugiato alquanto i lor fuochi, perchè i due legni inglesi Argus e Intrepid ancorati nel porto avevano pregato a segnali di bandiere di non tirare, finchè i loro ufficiali da terra non fossero tornati a bordo. Difatti dei marinai in calzoni bianchi uscivano allora da Marsala e scendevano frettolosi al mare. E allora quelle navi cominciarono a sfogarsi contro gli sbarcati, le due a vapore con tiri quasi in cadenza, quella a vela addirittura a fiancate.

Però i loro proiettili o davano in acqua, sguisciando poi a rotolar sulla riva già mezzi morti, o non oltrepassavano guari la linea del molo. Cadde qualche granata in mezzo alle compagnie già ordinate, ma queste pronte, si [p. 95 modifica]gettarono a terra e lasciarono scoppiare: una di quelle colpì e sfasciò mezzo un casotto da doganieri del molo; un’altra fece tremare la settima Compagnia, passandole parallela alla fronte, così che due braccia più a sinistra la mieteva tutta. «Alte le teste!» gridò Cairoli; e la Compagnia stette salda.

Alfine fu dato il comando di salire alla città. Manin e Maiocchi regolavano la corsa a gruppi. Un po’ curvi, un po’ carponi, un po’ ritti, regolandosi alle vampate dei cannoni nemici, correvano quei gruppi su per il pendìo verso la porta della città e vi entravano. Cara Marsala! E di qua e di là si spandevano per le vie traverse, perchè in faccia a quella maestra era andata a porsi una delle fregate, e tentava, coi suoi tiri, d’infilare la porta. Poca gente per quelle vie; degli usci si chiudevano; dalle soglie d’altri usci e dalle finestre donne e uomini guardavano paurosi; e ve n’erano che applaudivano, i più parevano gente trasognata.

Garibaldi, sbarcato degli ultimi, saliva anch’egli ma lento alla città, portando la sciabola sulla spalla come un contadino la zappa. E ogni poco si volgeva a guardar il porto. Gusmaroli e altri pochi che lo seguivano, avrebbero voluto portarlo via di peso dal pericolo d’essere ucciso o soltanto ferito in quel primo istante. Senza di lui non si sapeva cosa sarebbe stato di quel gruppo d’uomini, fossero pur molti i grandi e i forti tra loro. Egli da solo era un esercito. Ma nessuno osava dirgli che si guardasse, nessuno, neppur Bixio, venuto via addirittura l’ultimo da bordo. Egli aveva voluto prima far portare a terra tutto ciò che gli era parso buono a qualcosa, poi [p. 96 modifica]non avendo più nulla da farvi, aperti egli stesso i rubinetti delle macchine affinchè il Lombardo s’empisse d’acqua, era disceso.

Intanto le navi borboniche continuavano a tirare. E fu saputo subito che le due fregate a vapore si chiamavano Stromboli e Capri, e che quella a vela, tanto maestosa, era la Partenope. Ah! la Stromboli! V’erano tra gli sbarcati quei tali sette che vi avevano navigato su nel 1859 fino a Cadice, con gli altri deportati che dovevano andare a finire in America. Ora la riconoscevano ai profili. Non erano più quei tempi, sebbene fossero ancora tanto vicini: nè era più l’11 luglio del 1849, quando, comandata da un Salazar, la Stromboli aveva inseguìto i trabaccoli siciliani che, fallito loro lo sbarco in Calabria, andavano a rifugiarsi nelle Ionie. La Stromboli allora aveva issato bandiera inglese, perfidamente ingannando quei siciliani, e li aveva catturati e condotti a lunghe pene nelle carceri dei Borboni. Adesso era lì mortificata con quegli altri due legni, cui non restava che pigliarsi il Piemonte per menarlo via. Quanto al Lombardo l’avrebbero dovuto lasciar là a giacere, come un mostro marino sputato sulla spiaggia.

Testimoni di quei fatti stettero i due vapori inglesi, ammirando la discesa e la prontezza e l’ordine con cui tutto era avvenuto. E non sapevano che si sarebbe subito gridato e ripetuto poi lungamente pel mondo che essi avevano aiutato Garibaldi, e che anzi per aiutarlo s’erano trovati là apposta. Furono voci false. L’Argus stava in quel porto da parecchi giorni per proteggere gli inglesi residenti in Marsala, l’Intrepid v’era giunto di passaggio da poche ore, e poche ore dopo se n’andava per Malta.