Storia d'Italia/Libro XIX/Capitolo XI
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XI
Cosí posate l’armi quasi per tutta Italia, per due rotte ricevute, nella estremitá di quella, da’ franzesi, i pensieri de’ príncipi maggiori erano volti agli accordi. De’ quali il primo che successe fu quello del pontefice con Cesare, che si fece in Barzalona, molto favorevole per il pontefice; o perché Cesare desiderosissimo di passare in Italia, cercasse di rimuoversi gli ostacoli, parendogli avere per questo rispetto bisogno dell’amicizia del pontefice, o volendo, con capitoli molto larghi, dargli maggiore cagione di dimenticare l’offese avute da’ suoi ministri e dal suo esercito. Che tra il pontefice e Cesare fusse pace e confederazione perpetua, a mutua difensione; concedesse il pontefice il passo, per le terre della Chiesa, all’esercito cesareo se volesse partire del regno di Napoli: Cesare, per rispetto del matrimonio nuovo e per la quiete di Italia rimetterá in Firenze i nipoti di Lorenzo de’ Medici nella medesima grandezza che erano innanzi fussino cacciati; avuto nondimeno rispetto delle spese fará per la detta restituzione, come tra il papa e lui sará dichiarato: curerá, il piú presto si potrá, o con le armi o in altro modo piú conveniente, che il pontefice sia reintegrato nella possessione di Cervia e di Ravenna, di Modena di Reggio e di Rubiera, senza pregiudicio delle ragioni dello imperio e della sedia apostolica: concederá il pontefice, riavute le terre predette, a Cesare, per rimunerazione del beneficio ricevuto, la investitura del regno napoletano, riducendo il censo dell’ultima investitura a uno cavallo bianco per ricognizione del feudo; e gli conceda la nominazione di ventiquattro chiese cattedrali, delle quali erano in controversia, restando al papa la disposizione delle chiese che non fussino di padronato, e degli altri benefici: il pontefice e Cesare, quando passerá in Italia, si abbocchino insieme per trattare la quiete di Italia e la pace universale de’ cristiani, ricevendosi l’uno l’altro con le debite e consuete cerimonie e onore: Cesare, se il pontefice gli domanderá il braccio secolare per acquistare Ferrara, come avvocato, protettore e figliuolo primogenito della sedia apostolica, gli assisterá insino alla fine con tutto quello che sará allora in sua facoltá, e converranno insieme delle spese, modi e forme da tenersi, secondo la qualitá de’ tempi e del caso: il pontefice e Cesare, di comune consiglio, penseranno qualche mezzo che la causa di Francesco Sforza si vegga di giustizia, legittimamente e per giudici non sospetti, acciò che trovatolo innocente sia restituito; altrimenti Cesare offerisce che, benché la disposizione del ducato di Milano appartenga a lui, ne disporrá con consiglio e consentimento del pontefice e ne investirá persona che gli sia accetta, o ne disporrá in altro modo come parrá piú espediente alla quiete di Italia: promette Cesare che Ferdinando re di Ungheria, suo fratello, consentirá che, vivente il pontefice e due anni poi, il ducato di Milano piglierá i sali di Cervia, secondo la confederazione fatta tra Cesare e Lione, confermata nell’ultima investitura del regno di Napoli, non approvando perciò la convenzione fattane col re di Francia, e senza pregiudizio delle ragioni dello imperio e del re di Ungheria: non possi alcuno di loro, in pregiudicio di questa confederazione, quanto alle cose di Italia, fare leghe nuove né osservare le fatte contrarie a questa; possino nondimeno entrarvi i viniziani, lasciando quello posseggono nel regno di Napoli, e adempiendo quello a che sono obligati a Cesare e a Ferdinando per l’ultima confederazione fatta tra loro, e rendendo Ravenna e Cervia, riservate eziandio le ragioni de’ danni e interessi patiti per conto di queste cose: faranno Cesare e Ferdinando ogni opera possibile perché gli eretici si riduchino alla vera via, e il pontefice userá i rimedi spirituali; e stando contumaci, Cesare e Ferdinando gli sforzeranno con le armi, e il pontefice curerá che gli altri príncipi cristiani vi assistino secondo le forze loro: non riceveranno il pontefice e Cesare protezione di sudditi, vassalli e feudatari l’uno dell’altro, se non per conto del diretto dominio che avessino sopra alcuno, né si estendendo oltre a quello; e le protezioni altrimenti prese si intendino derogate infra uno mese. La quale amicizia e congiunzione, perché fusse piú stabile, la confermorno con stretto parentado; promettendo di dare per moglie Margherita figliuola naturale di Cesare, con dote di entrata di ventimila ducati l’anno, ad Alessandro de’ Medici figliuolo di Lorenzo giá duca di Urbino, al quale il pontefice disegnava di volgere la grandezza secolare di casa sua; perché, nel tempo che era stato in pericolo di morte, aveva creato cardinale Ippolito figliuolo di Giuliano. Convennono, nel tempo medesimo, in articoli separati: concederá il pontefice a Cesare e al fratello, per difendersi contro a’ turchi, il quarto delle entrate de’ benefici ecclesiastichi, nel modo conceduto da Adriano suo predecessore; assolverá tutti quegli che, in Roma o in altri luoghi, hanno peccato contro alla sedia apostolica, e quegli che hanno dato aiuto consiglio e favore, o che sono stati partecipi o hanno avuto rate le cose fatte, approvatele tacitamente o espressamente o prestato il consenso; non avendo Cesare publicato la crociata, concessagli dal pontefice meno ampia che le altre concesse innanzi, il pontefice, estinta quella, ne concederá un’altra in forma piena e ampia, come furono le concedute da Giulio e da Leone pontefici. Il quale accordo, essendo giá risolute tutte le difficoltá, innanzi si stipulasse sopravenne a Cesare l’avviso della rotta di San Polo; e, ancora si dubitasse che per vantaggiare le sue condizioni non volesse variare delle cose ragionate, nondimeno prontamente confermò tutto quello che si era trattato; ratificando il medesimo dí, che fu il vigesimo nono di giugno, innanzi all’altare grande della chiesa cattedrale di Barzalona piena di innumerabile moltitudine, e promettendo l’osservanza con solenne giuramento.
Ma con non minore caldezza procedevano le pratiche della concordia tra Cesare e il re di Francia. Per le quali, poi che furono venuti i mandati, fu destinato Cambrai, luogo fatale a grandissime conclusioni; nel quale si abboccassino madama Margherita e madama la reggente madre del re di Francia; studiandosi il re, con ogni diligenza e arte, e con promettere (ancora quello che aveva in animo di non osservare) agli imbasciadori de’ collegati di Italia (perché il re di Inghilterra consentiva a questi maneggi) di non fare concordia con Cesare senza consenso e sodisfazione loro; perché temeva che, insospettiti della sua volontá, non prevenissino ad accordare seco, e cosí di non restare escluso dalla amicizia di tutti. Però si sforzava persuadere loro di non sperare nella pace, anzi avere volto i pensieri alle provisioni della guerra. Sopra le quali trattando continuamente aveva mandato il vescovo di Tarba in Italia, con commissione di trasferirsi a Vinegia al duca di Milano a Ferrara e a Firenze, per praticare le cose appartenenti alla guerra, e promettere che passando Cesare in Italia passerebbe anche nel tempo medesimo con esercito potentissimo il re di Francia; concorrendo per la loro parte alle provisioni necessarie gli altri collegati. E nondimeno si strigneva continuamente la pratica dello accordo, per la quale, a’ sette dí di luglio, entrorono, per diverse porte, con grande pompa tutte due le madame in Cambrai; e alloggiate in due case contigue, che avevano l’adito dell’una nell’altra, parlorono il dí medesimo insieme, e si cominciorno per gli agenti loro a trattare gli articoli; essendo il re di Francia (a chi i viniziani, impauriti di questa congiunzione, facevano grandissime offerte) andato a Compiagni, per essere piú presto a risolvere le difficoltá che occorressino. Convenneno in quel luogo non solamente le due madame ma eziandio, per il re di Inghilterra, il vescovo di Londra e il duca di Soffolt, perché senza consenso e partecipazione di quel re non si tenevano queste pratiche; e il pontefice vi mandò anche l’arcivescovo di Capua, e vi erano gli imbasciadori di tutti i collegati. Ma a questi riferivano i franzesi cose diverse alla veritá di quello che si trattava, essendo nel re o tanta empietá o sí solo il pensiero dello interesse proprio (che consisteva tutto nella ricuperazione de’ suoi figliuoli) che facendogli instanza grande i fiorentini che, seguitando l’esempio di quel che il re Luigi suo suocero e antecessore aveva fatto l’anno mille cinquecento dodici, consentisse che per salvarsi accordassino con Cesare, aveva ricusato; promettendo che mai non conchiuderebbe l’accordo senza includervegli, e che si trovava preparatissimo a fare la guerra; come, anche nella maggiore strettezza del praticare, prometteva continuamente a tutti gli altri. Sopravenne a’ ventitré di luglio l’avviso della capitolazione fatta tra il pontefice e Cesare, ed essendo molto stretta la pratica, si turbò in modo, per certe difficoltá che nacqueno sopra alcune terre della Francia Contea, che madama la reggente si messe in ordine per partirsi; ma per opera del legato del pontefice, ma piú principalmente dello arcivescovo di Capua, si fece la conclusione; ancora che, essendo giá conchiusa, il re di Francia promettesse le cose medesime che aveva prima promesse a’ collegati. Finalmente, il quinto dí di agosto, si publicò nella chiesa maggiore di Cambrai solennemente la pace. Della quale il primo articolo fu: che i figliuoli del re fussino liberati, pagando il re a Cesare per la taglia loro, credo, uno milione e dugento migliaia di ducati; e per lui al re d’Inghilterra, credo, dugentomila: restituire a Cesare, tra sei settimane dopo la ratificazione, tutto quello possedeva nel ducato di Milano; lasciargli Asti e cederne le ragioni; lasciare, piú presto potesse, Barletta e quel teneva nel regno di Napoli; protestare a viniziani che, secondo la forma de’ capitoli di Cugnach, restituissino le terre di Puglia; e in caso non lo facessino dichiararsi loro inimico e aiutare Cesare, per la ricuperazione, con trentamila scudi il mese e con dodici galee quattro navi e quattro galeoni pagati per sei mesi: pagare quello che era in sua possanza delle galee prese a Portofino, o la valuta, defalcato quello che poi avessino preso Andrea Doria o altri ministri di Cesare; abolire, come prima erano convenuti a Madril, la superioritá di Fiandra e di Artois, e cedere le ragioni di Tornai e di Arazzo, il possesso di Nivers, per disobligare Cesare dello stato sopra Brabante: annullare il processo di Borbone, e restituire l’onore al morto e i beni a’ successori (benché Cesare si querelasse poi che il re, subito che ebbe recuperati i figliuoli, di nuovo gli tolse loro): restituissinsi i beni occupati ad alcuno per conto della guerra o a’ suoi successori (il che anche dette a Cesare causa di querela, perché il re non restituí i beni occupati al principe di Oranges): intendessinsi estinti tutti i cartelli, ed eziandio quello di Ruberto della Marcia. Fu compreso in questa pace per principale il pontefice, e vi fu incluso il duca di Savoia, sí generalmente come suddito dello imperio sí specialmente come nominato da Cesare; e che il re non si avesse a travagliare piú in cose di Italia né di Germania, in favore di alcuno potentato, in pregiudicio di Cesare; benché il re di Francia affermasse, ne’ tempi seguenti, non essergli proibito per questa concordia di recuperare quello che il duca di Savoia occupava del regno di Francia, e quel che pretendeva appartenersegli per le ragioni di madama la reggente sua madre. Vi fu ancora uno capitolo che nella pace si intendessino inclusi i viniziani e i fiorentini in caso che, fra quattro mesi, fussino delle differenze loro d’accordo con Cesare (che fu come una tacita esclusione); e credo il simile del duca di Ferrara. Né de’ baroni e fuorusciti del regno di Napoli fu fatto menzione alcuna. Di che il re, che, fatto l’accordo, andò subito a Cambrai a visitare madama Margherita, non essendo però al tutto di atto tanto brutto senza vergogna, fuggí per qualche dí, con vari sotterfugi, il cospetto e l’udienza degli imbasciadori de’ collegati. A’ quali poi finalmente, uditi in disparte, fece escusazione che, per ricuperare i figliuoli, non aveva potuto fare altro; ma che mandava l’ammiraglio a Cesare per benefizio loro, e altre vane speranze: promettendo a’ fiorentini di prestare loro, perché si aiutassino dagli imminenti pericoli, quarantamila ducati; che riuscivano come l’altre promesse. E dimostrando farlo per loro sodisfazione, dette licenza a Stefano Colonna, del quale non intendeva piú servirsi, che andasse agli stipendi loro.