Storia d'Italia/Libro V/Capitolo VII
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VII
Queste cose si moveano in Toscana, non apparendo ancora quel che fuori dell’espettazione degli uomini aveano a partorire. Ma maggiori e molto piú pericolosi movimenti, e da’ quali avevano a procedere importantissimi effetti, cominciavano a scoprirsi nel reame di Napoli, per le discordie che insino nell’anno precedente erano nate tra’ capitani franzesi e spagnuoli: le quali ebbono origine perché, essendo nella divisione fatta tra i due re aggiudicata all’uno la Terra di Lavoro e l’Abruzzi all’altro la Puglia e la Calavria, non furono espressi bene nella divisione i confini e i limiti delle provincie, donde ciascuno cominciò a pretendere che a sé appartenesse quella parte che è detta il Capitanato; dando occasione a questa disputazione l’essere stata variata la denominazione antica delle provincie da Alfonso di Aragona primo re di Napoli di quel nome, il quale, avendo rispetto a facilitare le esazioni delle entrate, divise tutto il reame in sei provincie principali, cioè in Terra di Lavoro, Principato, Basilicata, Calavria, Puglia e Abruzzi; delle quali la Puglia era divisa in tre parti, cioè in Terra di Otranto, Terra di Bari e Capitanato. Il quale Capitanato essendo contiguo all’Abruzzi, e diviso dal resto della Puglia dal fiume di Lofanto giá detto Aufido, pretendevano i franzesi (i quali non avendo in considerazione la denominazione moderna avevano, nel dividere, avuto rispetto alla antica) o che il Capitanato non si comprendesse sotto alcuna delle quattro provincie divise o che piú tosto fusse parte dell’Abruzzi che della Puglia; movendogli non tanto quello che in sé importasse il paese quanto perché, non possedendo il Capitanato, non apparteneva a loro parte alcuna dell’entrate della dogana delle pecore, membro importante dell’entrate del regno, e perché, essendo privato l’Abruzzi e Terra di Lavoro de’ frumenti che nascono nel Capitanato, potevano ne’ tempi sterili esserne facilmente quelle provincie ridotte in grandissima estremitá, qualunque volta dagli spagnuoli fusse proibito loro il trarne della Puglia e della Sicilia: ma in contrario si allegava non potere il Capitanato appartenere a’ franzesi, perché l’Abruzzi terminato ne’ luoghi alti non si distende nelle pianure, e perché nelle differenze de’ nomi e de’ confini delle provincie si attende sempre all’uso presente. Sopra la quale altercazione erano stati contenti, l’anno dinanzi, di partire in parti eguali l’entrata della dogana; ma il seguente anno, non contenti alla medesima divisione, ne aveva ciascuno occupato il piú che aveva potuto. E si erano aggiunte poi nuove contenzioni, nutricate insino allora (cosí era la fama) piú per volontá de’ capitani che per consentimento de’ re: perché gli spagnuoli pretendevano che il Principato e Basilicata si includesse in Calavria, che si divide in due parti, Calavria citra e Calavria ultra cioè l’una di sopra l’altra di sotto, e che Val di Benevento che tenevano i franzesi fusse parte di Puglia; e però mandorono ufficiali a tenere la giustizia alla Tripalda vicina a due miglia ad Avellino, ove dimoravano gli ufficiali de’ franzesi. I quali princípi di manifesta dissensione essendo molesti a’ baroni principali del regno, si intromesseno tra Consalvo Ernandes e Luigi d’Ormignacca duca di Nemors viceré del re di Francia; ed essendo venuti, per opera loro, Luigi a Melfi e Consalvo a Atella, terra del principe di Melfi, dopo pratiche di qualche mese, nelle quali anche i due capitani parlorno insieme, non trovandosi tra loro forma di concordia, convennono aspettare la determinazione de’ loro re, e che in questo mezzo non si innovasse cosa alcuna. Ma il viceré franzese, insuperbito perché era molto superiore di forze, avendo pochi dí poi fatta altra deliberazione, protestò la guerra a Consalvo in caso non rilasciasse subito il Capitanato, e dipoi immediate fece correre le genti sue alla Tripalda; dalla quale incursione, che fu fatta il decimonono dí del mese di giugno, ebbe principio la guerra: la quale continuamente proseguendo, cominciò senza rispetto a occupare per forza, nel Capitanato e altrove, le terre che si tenevano per gli spagnuoli. Le quali cose non solamente non furono emendate dal suo re ma, avendo giá notizia che il re di Spagna era determinato a non gli cedere il Capitanato, voltato con tutto l’animo alla guerra, gli mandò in soccorso per mare dumila svizzeri, e fece condurre agli stipendi suoi i príncipi di Salerno e di Bisignano e alcuni altri de’ principali baroni. Venne oltre a questo il re a Lione, per potere di luogo piú propinquo fare le provisioni necessarie all’acquisto di tutto il reame, al quale, non contento de’ luoghi della differenza, giá manifestamente aspirava, e con intenzione di passare, se bisognasse, in Italia.