Storia d'Italia/Libro I/Capitolo XIII

Capitolo XIII

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XIII

Visita di Carlo VIII a Giovan Galeazzo Sforza infermo nel castello di Pavia. Notizia a Carlo giunto a Piacenza della morte di Giovan Galeazzo. Lodovico Sforza assume i titoli e le insegne del ducato di Milano. Sospetti e voci intorno alla morte di Giovan Galeazzo. Il re di Francia dopo nuove incertezze delibera di continuare l’impresa.

Ma non bastavano questi rimedi alla sua salute, perché Carlo, non ritenendo l’impeto suo né la stagione del tempo né alcun’altra difficoltá, subito che ebbe recuperata la sanitá, mosse l’esercito. Giaceva nel castello di Pavia, oppresso di gravissima infermitá, Giovan Galeazzo duca di Milano suo fratello cugino (erano il re e egli nati di due sorelle figliuole di [Lodovico secondo] duca di Savoia); il quale il re, passando per quella cittá e alloggiato nel medesimo castello, andò benignissimamente a visitare. Le parole furono generali per la presenza di Lodovico, dimostrando molestia del suo male, e confortandolo a attendere con buona speranza alla recuperazione della salute; ma l’affetto dell’animo non fu senza grande compassione cosí del re come di tutti coloro che erano con lui, tenendo ciascuno per certo la vita dello infelice giovane dovere, per le insidie del zio, essere brevissima. E si accrebbe molto piú per la presenza di Isabella sua moglie; la quale, ansia non solo della salute del marito e di uno piccolo figliuolo che aveva di lui, ma mestissima oltre a questo per il pericolo del padre e degli altri suoi, si gittò molto miserabilmente, nel cospetto di tutti, a’ piedi del re, raccomandandogli con infinite lacrime il padre e la casa sua di Aragona: alla quale il re, benché mosso dall’etá e dalla forma dimostrasse averne compassione, nondimeno, non si potendo per cagione cosí leggiera fermare un movimento sí grande, rispose che essendo condotta la impresa tanto innanzi era necessitato a continuarla.

Da Pavia andò il re a Piacenza, dove essendosi fermato sopravenne la morte di Giovan Galeazzo, per la quale Lodovico [p. 78 modifica]che l’avea seguíto ritornò con grandissima celeritá a Milano. Dove da’ principali del consiglio ducale, subornati da lui, fu proposto che, per la grandezza di quello stato e per i tempi difficili i quali in Italia si preparavano, sarebbe cosa molto perniciosa che il figliuolo di Giovan Galeazzo di etá d’anni cinque succedesse al padre, ma essere necessario avere uno duca che fusse grande di prudenza e d’autoritá; e però doversi, dispensando, per la salute publica e per la necessitá, alla disposizione della legge, come permettono le leggi medesime, costrignere Lodovico a consentire che in sé si trasferisse per beneficio universale la degnitá del ducato, peso gravissimo in tempi tali: col quale colore, cedendo l’onestá all’ambizione, benché simulasse fare qualche resistenza, assunse la mattina seguente i titoli e le insegne del ducato di Milano; protestato prima segretamente riceverle come appartenenti a sé per l’investitura del re de’ romani.

Fu publicato da molti la morte di Giovan Galeazzo essere proceduta da coito immoderato, nondimeno si credette universalmente per tutta Italia che e’ fusse morto non per infermitá naturale né per incontinenza, ma di veleno; e Teodoro da Pavia, uno de’ medici regi, il quale era presente quando Carlo lo visitò, affermò averne veduto segni manifestissimi. Né fu alcuno che dubitasse che se era stato veleno non gli fusse stato dato per opera del zio, come quello che, non contento di essere con assoluta autoritá governatore del ducato di Milano e avido, secondo l’appetito comune degli uomini grandi, di farsi piú illustre co’ titoli e con gli onori, e molto piú per giudicare che alla sicurtá sua e alla successione de’ figliuoli fusse necessaria la morte del principe legittimo, avesse voluto trasferire e stabilire in sé la potestá e il nome ducale; dalla quale cupiditá fusse a cosí scelerata opera stata sforzata la sua natura, mansueta per l’ordinario e aborrente dal sangue. E fu creduto quasi da tutti questa essere stata sua intenzione insino quando cominciò a trattare che i franzesi passassino in Italia, parendogli opportunissima occasione di metterla a effetto in tempo nel quale, per essere il re di Francia con tanto esercito [p. 79 modifica]in quello stato, avesse a mancare a ciascuno l’animo di risentirsi di tanta sceleratezza. Credettono altri questo essere stato nuovo pensiero, nato per timore che ’l re, come sono subiti i consigli de’ franzesi, non procedesse precipitosamente a liberare Giovan Galeazzo da tanta soggezione, movendolo o il parentado e la compassione della etá o il parergli piú sicuro per sé che quello stato fusse nella potestá del cugino che di Lodovico; la fede del quale non mancavano persone grandi appresso a lui che continuamente si sforzassino fargli sospetta. Ma l’avere Lodovico procurata l’anno precedente l’investitura, e fatto poco innanzi alla morte del nipote espedirne sollecitamente i privilegi imperiali, arguisce piú presto deliberazione premeditata e in tutto volontaria che subita e quasi spinta dal pericolo presente.

Soprastette alcuni dí Carlo in Piacenza non senza inclinazione di ritornarsene di lá da’ monti, perché la carestia de’ danari e il non si scoprire per Italia cosa alcuna nuova in suo favore lo rendevano dubbio del successo; e non meno il sospetto conceputo del nuovo duca, del quale era fama, che se bene quando partí da lui gli avesse promesso di ritornare, che piú non ritornerebbe. Né è fuora del verisimile che, essendo quasi incognita appresso agli oltramontani la sceleratezza di usare contro agli uomini i veleni, frequente in molte parti d’Italia, Carlo e tutta la corte, oltre al sospettare della fede, avesse in orrore il nome suo; anzi si riputasse gravemente ingiuriato che Lodovico, per potere fare senza pericolo una opera cosí abominevole, avesse la sua venuta in Italia procurata. Deliberossi pure finalmente l’andare innanzi, come continuamente sollecitava Lodovico, promettendo di ritornare al re fra pochi giorni; perché e il soprasedere del re in Lombardia, né meno il ritornarsene precipitosamente in Francia, era del tutto contrario alla sua intenzione.