Paola Di Bello
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PAOLA DI BELLO
Care of
Con l’invisibile noi siamo più
strettamente legati che col visibile.
Novalis
ANNOTAZIONI IN MARGINE
di Elisabetta Longari
L’opera di Paola Di Bello incarna le componenti più radicali dell’arte dando corpo all’ambiguità che scaturisce dal bisogno di dare fisionomia d’immagine ad un’idea che si presenta indissolubilmente alla coscienza d’inadeguatezza, d’impossibilità di una fedele traduzione. Iconicità ed iconoclastia. È una storia vecchia come il mondo. Da Platone agli Arabi e poi via via fino agli artisti concettuali. La radicalità della ricerca di Paola Di Bello traspare fin dalle tematiche che si incaricano della riflessione sui problemi fondamentali dell’immagine. Nascono i cicli delle “Ierofanie”, di “Mosè e Aronne” e lo scudo di “Medusa”. Il vitello d ’oro, il simulacro, il feticcio, l’adorazione delle immagini, lo scudo specchiante, il terrore che pietrifica colui che guarda, la morte. La letteratura mondiale è popolata di personaggi che incarnano la perdizione e la morte rapportala allo sguardo: Narciso, Orfeo ed Euridice, la moglie di Lot... Lo sguardo sin dagli albori del mondo viene considerato come la sfida più pericolosa. Paola Di Bello svolge la propria riflessione sull’immagine attraverso la fotografia, linguaggio riflesso per eccellenza. La Polaroid in bianco e nero, sottoposta all’ossidazione degli agenti atmosferici, crea una superficie specchiante e dorata che propone un’indefinita evocazione di immagini lontane, emerse come dal fondo di uno specchio. Come se lo specchio non fosse solo una superficie che ingloba una parte dell’ambiente e respinge in certo modo la luce ma come se fosse anche, carrollianamenle, una soglia tra due diversi regimi di realtà. Un diaframma che separa ed unisce il quotidiano e l’altro, uno schermo opaco che a volte si assottiglia per lasciare presagire l’ignoto con presenze sommerse nell’assenza.
Il segno tradizionale della fotografia risulta capovolto. La sua sintassi viene violata per restituire allo sguardo il desiderio e la capacità di stupefazione nell’era pornografica delle immagini.
Il procedimento inventato, che si vale dell’intervento degli agenti atmosferici per un tempo lento e indefinito in cui si attua la maturazione dell’immagine su stampa Polaroid, sovvertendone così il carattere principale d’istantanea per antonomasia, dà luogo a comportamenti luminosi in pane prevedibili ed in massima parte autonomi. Si direbbe una lenta captatio dell’aura. Un anelito del nascosto ad esistere e nascondersi nella luce.
Nell’isola di Ceylon, presso il Tempio del Dente a Kandy, è conservata la reliquia del canino superiore di Buddha. Sotto un tetto coperto da una cupola d’oro vi è una stanza dalla porta d’oro. Ogni giorno alle 18:30 nel corso della cerimonia la porta viene aperta ed è concesso alla gente un veloce transito di fronte alla stanza. Di forma rettangolare, vuota e lunga, questa contiene sul fondo una campana d’oro che abbaglia il passante. La reliquia è presente per assenza, è invisibile perchè nascosta dalla luce. Questa luce, come la luce greca protegge il nascosto e lascia che si mostri come tale anche nell’evidenza diurna. Così la luce delle immagini di Paola Di Bello. Fotografie che della fotografia non incarnano che l’essenza umbratile e che, come lo specchio ed il suo riflesso, hanno corpo nella luce che abbaglia ma è invisibile, che rivela ma non è rivelata. Il segreto è davanti agli occhi di tutti.
Ecco che la sfida, come in ogni propedeutica filosofica, si lancia innanzitutto a se stessi.
NOTA A "MEDUSA"
di Marco Biraghi
Nulla che non voglia rinunciare preventivamente alla possibilità di essere definito almeno alla lontana con il nome doppiamente imbarazzante dì "critica d’arte" potrà sottrarsi, di fronte a "Medusa" di Paola Di Bello, al compito invero assai arduo di distogliere dalla sua superficie enigmaticamente riflettente quell’alone di mistero nel quale il titolo dell’opera suddetta sembra sprofondarci proprio nel momento stesso in cui prometteva Iiberarcene. In sintesi il problema è in quale rapporto stiano la sola mortale delle Gorgoni, sorella di Steno ed Euriale, e lo scudo specchiante, dono di Atena a Persèo, a cui l’opera inequivocabilmente rimanda. Comprendere ciò significa afferrare d’un colpo in quale modo l’ultima discendente di una multimillenaria stirpe figurativa che ha per oggetto Medusa possa davvero rappresentarla senza che questa ormai neppure compaia.
La funzione dello scudo specchiante nell’economia del mito, come si conviene ad ogni strumento veramente appropriato, è decisiva. Soltanto se percepita per suo tramite, infatti, Medusa potrà venire uccisa. Si tratta dell’antidoto contro il potere annichilente dello sguardo di Gorgone, al cui carattere prodigioso viene così a contrapporsi un prodigio di natura ancora più forte.
Ma vi è un’altra interpretazione: che il potere dello scudo sia quello stesso che gli conferisce Medusa rispecchiandosi. Qui la vicenda mitica s’intreccia alla storia dell’immagine. Ed è quest’ultima che dovremo seguire, più che la filologia delle fonti, per giungere al cuore pulsante del mito, ove si irradia la sua verità. (II fatto che in qualche cosa di assolutamente essenziale quella che parrebbe essere una semplice tradizione iconografica si allontani del tutto coscientemente dal dettato mitologico sta a dimostrare una volta per tutte non soltanto la completa autonomia dell’arte di ogni tempo nei confronti di quei temi canonici che essa stessa pure s’impone, ma ancor di più la maggior forza di penetrazione nella verità che l’artista possiede sul litografo. La crucialità del mito dimora in ciò di cui la rappresentazione artistica si è impadronita). In questa direzione si sono spinti, più di ogni altro, Caravaggio e Bocklin. Per entrambi lo scudo in cui è immerso il volto sgomento di Medusa è qualcosa di più - pur comprendendo anche questo - della semplice condensazione, nell’unità complessa di una sola immagine, dei due momenti fatali e solo apparentemente antinomici dell’autoriconoscimento e della decapitazione. In senso
ancora più essenziale lo scudo è il luogo geometrico ove potere di asservimento e strumento liberatorio si fronteggiano, identificandosi. Al suo interno Medusa compare ormai solamente come memoria impressa di quella capacità pietrificante che lo scudo, riflettendola, domina - e che appunto perciò fa propria.
Non sembrerà spropositato affermare che, di questa parabola, "Medusa" di Paola Di Bello occupa un punto ben preciso, tanto distante dall’origine quanto destinato a non essere l’ultimo. Inoltre quest’opera conferma nella maniera più netta come la modalità specifica - e a ben guardare anche l’unica - di sopravvivenza del simbolo nella nostra epoca, sia l’occultamento. Il nostro occhio è troppo corazzato per farsi toccare da quello di Medusa. Mentre nello specchio non esitiamo ad affondarlo, indipendentemente da quello che vediamo. Da ciò il mito trae nuove forze. Medusa trionfa proprio nella sua sconfitta (non a caso il suo sguardo, si dice, aveva efficacia anche da morta). E uno sguardo invisibile è ben più tremendo di quello che si mostra. Ancora lo cerchiamo - ed esso già ci ha incatenato.
CITAZIONI PER “IEROFANIE”
L’associazione di questi nomi mette in luce ciò che in essi è profondamente affine: la dolorosa purezza della loro vita e del loro creare. Essa si irradia da loro come una luce che nell’aura a loro connalurata della solitudine fiammeggia in modo doppiamente intenso e abbagliante. (...) Fanno parte di coloro nel cui stretto spazio di vita il realizzare e il progettare sono accastastati l’uno sull’altro in un modo eccezionalmente grandioso e pericoloso.
Legare l’immagine alla transitorietà, alla brevità del tempo è romantico: l’immagine brucia come un fuoco di paglia.
A.C.
C’è un ordine
di mortali sulla terra, che invecchia
in gioventù, e muore prima della mezza età,
senza la violenza di una morte in guerra;
alcuni muoiono per i piaceri, altri di studio,
altri ancora consumati dalla fatica, o di mera stanchezza;
alcuni muoiono di malattia, altri di pazzia,
alcuni col cuore spezzato o inaridito.
Ché nulla ci accade di estraneo, ma solo quanto da lungo tempo ormai ci appartiene.
Angeli, e voi chi siete?
(...) - specchi
che la loro bellezza defluita
riattingono su, nel proprio volto.
R.M.Rilke
Luce accresciutasi nello spessore dell’ombra, fulgore che vendica il precoce dominio delle tenebre.
M.Biyagi
Un uomo che diventa spirito è nello stesso tempo uno spirito che diventa corpo. Questa specie superiore di morte, se posso esprimermi così, non ha niente a che vedere con la morte comune; sarà qualcosa che potremmo chiamare trasfigurazione.
Novalis
Sappi che mundus imaginalis è un universo spirituale di sostanza luminosa; da una parte ha affinità con la sostanza materiale, in quanto è oggetto di percezione o provvisto di estensione; dall’altra ha affinità con la sostanza intelligibile separata in quanto la sua natura è di pura luce. Ma non è né un corpo materiale composto, né una sostanza intelligibile separata, perché è un intermondo, un limite che separa l’uno dall’altro.
Dawud Qaysari
Insomma, è attraverso questo mondo e in questo mondo delle Forme immaginali che si corporizzano gli spiriti e si spiritualizzano i corpi.
Mohsen Fayz Kashani
Paola Di Bello è nata a Napoli nel 1961.
Vive e lavora a Milano.
- "Torino Fotografia", 1987
- "Opera Unica", International Polaroid Collection, Milano - Idea Books, 1989