Storia della letteratura italiana (De Sanctis 1890)/IV: differenze tra le versioni

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quelli è prossimo di Dio, che sa tacere a ragione.
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Esercizio utilissimo a' giovani sarebbe il raffronto delle tre versioni, che ti mostra la lingua ne' diversi stati della sua formazione. La terza versione, pubblicata dal Manni, ha per compagna l'Etica di Aristotile e la ''Rettorica'' di Tullio. Questa ''Rettorica'' di Tullio è il ''Fiore di rettorica'', attribuito a frate Guidotto da Bologna, e da altri con più verisimiglianza a [[Autore:Bono Giamboni|Bono Giamboni]], e che comincia così: «Qui comincia la ''Rettorica nuova'' di Tullio, traslatata da grammatica in volgare per frate Guidotto da Bologna». Che importanza avesse la rettorica, e quali miracoli potea produrre, si vede da queste parole del traduttore:
 
"Fu uno nobile e vertudioso uomo, cittadino nato di Capova del regno di Puglia, il quale era fatto abitante della nobile città di Roma, che avea nome Marco Tullio Cicerone, lo quale fu maestro e trovatore della grande scienzia di rettorica, la quale avanza tutte le altre scienzie per la bisogna di tutto giorno parlare nelle valenti cose, siccome in far leggi e piati civili e cherminali, e nelle cose cittadine, siccome in fare battaglie, ed ordinare schiere, e confortare cavalieri nelle vicende degl'imperii, regni e principati, e governare popoli e regni e cittadi e ville, e strane e diverse genti, come conversano nel gran cerchio del mappamondo della terra."
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«Ebrietade, secondo che dice santo Agostino, è vile sepoltura della ragione e furore della mente». Anche dice: «La ebrietà è lusinghiere demonio, dolce veleno, soave peccato. Anche dice: la ebrietà molti ne ha guasti, toglie il senno, fa venire infermitadi, ingrossa lo ingegno, accende alla lussuria, mai non tiene segreto, induce a male parole.» Santo Basilio dice: «l'ebro, quando pensa bere, sì è beuto: come lo pesce che con grande desiderio inghiottisce l'esca nella sua gola e non sente l'amo; così l'ebro, bevendo il vino, riceve in sè nemico senza ragione.» E santo Paolo dice: «non t'inebriare di vino, imperò che di vino esce lussuria.»
 
Nè solo «fiore» o «giardino», ma si diceva pure «tesoro» o «convito», quasi mostra di ricche pietre preziose, o di elettissime vivande. [[Autore:Brunetto Latini|Brunetto]], che scrisse il ''Fiore'', avea già scritto il ''Tesoro'', «in romanzo o lingua francesca», come «più dilettevole e più comune che tutti gli altri linguaggi», e voltato poi in volgare da [[Autore:Bono Giamboni|Bono Giamboni]]. Il ''Tesoro'' è il ''Cosmos'' di quel tempo, l'universalità della scienza come s'insegnava nelle scuole, la somma o il compendio del sapere, e per dirla con le parole di Brunetto, «un'arnia di mèle tratta di diversi fiori», un «estratto di tutt'i membri di filosofia in una somma brevemente». Prende capo dalla filosofia, siccome «radice di cui crescono tutte le scienze», ed è descrizione di Dio, dell'uomo, della natura. Segue l'etica, o filosofia pratica, e poi la rettorica, che ha come appendice la politica, o l'arte di ben governare gli stati. È il disegno di una prima facoltà universitaria, che prepara con questi studi i giovani alle scienze speciali. Questa vasta compilazione, di cui non era esempio, parve una maraviglia. Ma più importanti erano i trattati speciali, dove gli scrittori mostravano qualche originalità, come furono i tre trattati di Albertano e il famoso trattato ''De regimine principum'' di Egidio Colonna, dottissimo patrizio napolitano, volgarizzato da un toscano.<br />
Il luogo che teneva la fede, venne occupato dalla filosofia. Non che la filosofia negasse la fede, anzi era proprio di quel tempo aver fede in tutto quello che era scritto; ma sotto quella forma s'affermava la società colta, e si distingueva da' semplici e dagl'ignoranti. Il luogo comune di tutte le invenzioni era l'eterno Giobbe l'uomo colpito dall'avversità, che maledice prima alla vita e trova poi rimedio e consolazione nella filosofia, ovvero nello studio della scienza, nella visione delle opere divine e umane. Questo spiega la grande popolarità del libro di Boezio ''Della consolazione'', fondato appunto su questa base, dove la filosofia è rappresentata «in sembianza di donna, in tale abito e in sì maravigliosa potenzia, che cresceva quando le piaceva, tanto che il suo capo aggiungeva di sopra alle stelle e sopra al cielo, e poggiava a monte e a valle». Tale è pure la visione di ser Brunetto Latini nel ''[[Il Tesoretto|Tesoretto]]'', ch'è visione delle cose umane «secondo il corso stabilito a ciascheduna»:
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Io le vidi ubbidire,
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morire e 'ngenerare.
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La stessa base ha il libro, ''Introduzione alle virtù'', di [[Autore:Bono Giamboni|Bono Giamboni]]. È un giovine, «caduto di buono luogo in malvagio stato», che narra di sè in questo modo:
 
"Seguitando il lamento che fece Giobbe, cominciai a maledire l'ora e il die che io nacqui e venn'in questa misera vita, e il cibo che in questo mondo m'avea nutricato e governato. E pienamente luttando con guai e gran sospiri, i quali venieno della profondità del mio petto, fra me medesimo dissi: - Dio onnipotente, perchè mi facesti tu vivere in questo misero mondo, acciocch'io patissi cotanti dolori e portassi cotante fatiche e sostenessi cotante pene? Perchè non mi uccidesti nel ventre della madre mia, o incontanente che nacqui non mi desti tu la morte? Facestilo tu per dare di me esempio alle genti, che neuna miseria d'uomo potesse nel mondo più montare? - Lamentandomi duramente nella profondità di un'oscura notte nel modo che avete udito di sopra, e dirottamente piangendo m'apparve di sopra al capo una figura, che disse: - Figliuolo mio, forte mi maraviglio, che essendo tu uomo, fai reggimenti bestiali, perciocchè stai sempre col capo chinato, e guardi le oscure cose della terra, laonde sei infermato e caduto in pericolosa malattia. Ma se tu dirizzassi il capo e guardassi il cielo e le dilettevoli cose del cielo considerassi, come dee fare uomo naturalmente, e di ogni tua malattia saresti purgato, e vedresti la malizia de' tuoi reggimenti, e sarestine dolente. Or non ti ricorda di quello che disse Boezio: che, conciossiacosachè tutti gli altri animali guardino la terra, e seguitino le cose terrene per natura, solo all'uomo è dato a guardare il cielo, e le celestiali cose contemplare e vedere? - Quando la boce ebbe parlato... , si riposò una pezza, aspettando se alcuna cosa rispondessi o dicessi; e vedendo che stava mutolo, e di favellare neuno sembiante facea, si rappressò verso me, e prese i ghironi del suo vestimento, e forbimmi gli occhi, i quali erano di molte lacrime gravati per duri pianti ch'io avea fatto... Allora apersi gli occhi e guardaimi dintorno, e vidi appresso di me una figura bellissima e piacente, quanto più innanzi fue possibile alla natura di fare. E della detta figura nascea una luce tanto grande e profonda, che abbagliava gli occhi di coloro che guardare la volieno: sicchè poche persone la poteano fermamente mirare. E della detta luce nasceano sette grandi e maravigliosi splendori che alluminavano tutto il mondo. E io vedendo la detta figura così bella e lucente, avvegna che avessi dallo incominciamento paura, m'assicurai tostamente, pensando che cosa rea non potea così chiara luce generare. Cominciai a guardar la figura tanto fermamente, quanto la debolezza del mio viso poteva sofferire. E quando l'ebbi assai mirata, conobbi certamente ch'era la Filosofia, nelle cui magioni avea lungamente dimorato. Allora incominciai a favellare e dissi: - Maestra delle virtudi, che vai tu facendo in tanta profondità di notte per le magioni de' servi tuoi? - "